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Di fact-checking, di trasparenza e futuro dei media (segnalazioni dal mondo)

Passando dall’impossibile ma molto desiderato progetto di fact-checking in Zimbabwe, attraverso la ricerca della trasparenza dei media mainstream con l’individuazione di indicatori standard fino al rapporto annuale del colosso svedese Schibsted, tornano le segnalazioni dal mondo. Buona lettura.


In mezzo alle turbolenze politiche nello Zimbabwe, un progetto di fact-checking segnalato su Poynter.

L’esercito ha negato che la mossa sia stata un colpo di stato, ma ha sequestrato il quartier generale dell’emittente nazionale ZBC e bloccato l’accesso agli edifici governativi nella capitale.

… prevede di lanciare il primo sito di fact-cheking  dello Zimbabwe entro l’inizio di dicembre.

il sito, provvisoriamente chiamato ZimFact, tenterà di verificare le rivendicazioni politiche in un paese in cui le falsità sono all’ordine del giorno.

Alla domanda su quale sarebbe lo scenario peggiore per ZimFact, Mujati (la giornalista che porta avanti il progetto) ha risposto immediatamente:

“Essere messo a tacere immediatamente dopo essere stato lanciato e con questo intendo dire di non poter operare in maniera legale”.

ZimFact indirizzerà la sua attenzione più su questioni che riguardano la vita quotidiana delle persone grazie al lavoro di tre redattori a tempo pieno, e di 15 corrispondenti freelance. Si occuperà di salute pubblica, infrastrutture statali ed economia.


Journalism.co.uk segnala il Trust Project.

The Trust Project – un consorzio internazionale di 75 organizzazioni media – ha diffuso i Trust Indicators un insieme di indicatori di affidabilità, una serie di informazioni standardizzate per chiarire gli standard da rispettare per la pubblicazione di contenuti, il processo di lavoro e il background dei suoi giornalisti. Al progetto partecipano La Stampa e La Repubblica  in Italia e gruppi come Google, Facebook, Bing e Twitter per il resto del mondo. Il progetto è finanziato dal Fondo Craig Newmark Philanthropich, da Google, dalla Fondazione Knight, dal fondo Democracy e dalla fondazione Markkula. Parte del progetto (grazie all’Istituto per Nonprofit News) è anche un plug-in per WordPress che permette a realtà più piccole di partecipare attivamente all’opera.

Gli indicatori sono stati individuati da un gruppo vario di agenzie di stampa da tutto il mondo grazie ad  interviste approfondite con il pubblico e i lettori riguardo a ciò che rende le informazioni attendibili. Ecco i primi otto standard da rispettare:

Best practice: quali sono gli standard da rispettare? Chi finanzia? Qual è la mission? Maggior impegno etico, voci diverse, più accuratezza, correzioni e altri standard;
Competenza dell’autore: chi ha scritto cosa? Dettagli sul giornalista che ha scritto la notizia, comprese le sue competenze e altre storie su cui ha lavorato;
Tipo di lavoro/prodotto: che tipo di contenuto è? Etichette/tag per distinguere le opinioni, il lavoro di analisi e i contenuti pubblicitari (o sponsorizzati) dalle notizie “vere”;
Citazioni e riferimenti: per inchieste e approfondimenti, maggiore accesso alle fonti dietro i fatti e il racconto;
Metodi: anche per approfondimenti, informazioni sul perché i giornalisti hanno scelto di seguire quel particolare fatto e come sono stati coinvolti nel processo;
A livello locale? Consente alle persone di sapere quando la notizia ha origine o da quale esperienza locale;
Diverse voci: gli sforzi della redazione di far sentire tutte le voci coinvolte nei fatti;  
Feedback processabile: gli sforzi di una redazione di coinvolgere il pubblico nell’individuazione dei contenuti da seguire grazie  al processo di segnalazione

La domanda è: dove sono le novità??? Questi standard devono essere  rispettati solo da oggi?

 


 

Il Washington Post è anche una software company ora,  e sta affrontando le proprie sfide odierne e per il futuro attraverso una piattaforma. Poi, con lo spirito di Amazon e di Bezos , al Post hanno capito che aiutare altri editori a fare lo stesso, poteva essere un vantaggio per tutti.

Dal 2014 il Post offre la possibilità ad altri media di utilizzare il proprio sistema di pubblicazione (il CSM content system management) : Arc Publishing che si impegna a garantire una buona esperienza di fruizione per il lettore, e  insieme consente ai giornalisti l’utilizzo di uno strumento all’avanguardia, paragonabile ad una versione di lusso di WordPress.

Il messaggio è: concentrati sul tuo lavoro di giornalista e crea contenuti di qualità, a distribuire il tuo lavoro e a farlo arrivare ai lettori nella miglior forma possibile ci pensano le macchine, meglio l’intelligenza artificiale come dire l’algoritmo, vogliamo chiamarlo software? Va bene lo stesso. Il messaggio è di quelli da tenere davvero sotto controllo. Così come tutta l’esperienza editoriale del Post va monitorata con attenzione, perchè a nostro avviso riassume in modo perfetto uno dei nuovi e più probabili e forse anche maggiormente sostenibili scenari dell’odierno  giornalismo.  

 

…utilizzano Arc il Los Angeles Times, Canada’s Globe e Mail, the New Zealand Herald, e alcune testate più piccole comeAlaska Dispatch News e Oregon’s Willamette Week… Mettendoli tutti insieme  il sito di Arc raggiunge 300 milioni di lettori.  

Gli editori pagano sulla base della larghezza di banda (utilizzata), ciò significa che più successo hanno nell’attirare lettori meglio è per Arc Publishing. Vendere e creare software non allontana il Post dal suo compito. Ma vendere software dà al Post un’entrata con una potenzialità di crescita che non può arrivare dagli abbonamenti e degli investimenti pubblicitari. 

La storia di Arc Publishing inizia prima dell’era Besoz, con un primo software chiamato PageBuilder che tentava di rispondere, nel 2013, alle nuove esigenze di pubblicazione online.

Ad esempio, quando lo staff editoriale si chiedeva se fosse possibile per il sito del WP visualizzare un’anteprima dei video con una clip in movimento anziché una foto.  Uno sviluppatore ha creato subito uno strumento per consentire agli editor di creare delle gif. : “riscontriamo una percentuale di clic più alta con l’uso delle GIF animate, rispetto all’uso delle immagini statiche”  afferma Jeremy Gilbert (direttore iniziative strategiche del gruppo).


Il futuro delle notizie è molto oltre, secondo il rapporto sulle ultime tendenze del gigante scandinavo dei media Schibsted.  Lo studio annuale è disponibile    – in parte previsione, in parte ricerca e in parte auto-promozione – e contiene riflessioni quasi su qualsiasi cosa: dalle promesse alle insidie dell’intelligenza artificiale fino alla sostenibilità delle biciclette come mezzo di trasporto e una ricerca sui millennial e il loro rapporto col “digitale”.

Ecco un estratto di alcuni dei punti più interessanti del rapporto che segnala il NiemanLab:

 

Il 54% dei millennials svedesi nell’ultimo anno ha cambiato le impostazioni del telefono per migliorare la propria privacy digitale (49% per i millennials spagnoli, 37% per i millennials francesi).

 

Per chi volesse approfondire la lettura qui trova il rapporto completo.

 

Noi chiudiamo le nostre segnalazioni  dal mondo ringraziandoVi per l’attenzione concessaci e proviamo a deliziarVi con una notizia tutta italiana, presa in prestito da facebook,  e copiaincollata qui sotto come esempio di gestione di una fake all’ombra del Cupolone o della Madunina, fate Voi, la sostanza non cambia :

 

(scrive Donata Columbro su facebook)

 

Il Buongiorno di Mattia Feltri su LaStampa stamattina si basa su un fatto non vero, quello della “sposa bambina musulmana violentata dal marito a Padova”. Arriva l’errata corrige, sì, ma resta il post su Facebook da 1K mi piace e 480 condivisioni.

E poi, certo, “la colpa delle fake news è dei social media e dei blogger”.

 

il post di Donata ha ricevuto 65 like e molti commenti fra i quali ci piace citare quello di Alessio Cimarelli che dice:

 

In realtà su facebook la rettifica dovrebbe essere efficace: chiunque abbia interagito con quel post (a meno che non abbia disattivato esplicitamente le notifiche per quel post) viene notificato di un commento a quel post (se hai interagito, lo “segui”). Quindi in caso di rettifica bisognerebbe modificare il post originale indicando l’errore E ANCHE commentare il post stesso indicando l’errore. Forse Facebook dovrebbe rendere più aggressive le notifiche di un post se derivanti da commenti fatti dallo stesso autore del post (lo fa già nella preview dei commenti, noto che spesso vedo in primis quelli dello stesso autore del post).

 

 

Roba tecnica da addetti ai lavori o processo di conoscenza che genera consapevolezza, Voi come la pensate?

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