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Antogia di vecchie e nuove proposte (capodanno e befana)

Ancora Auguri a Tutti e buona lettura!

Eccoci tornati a raccontar in breve gli ultimi sei mesi dell’anno 2017 come gli abbiamo visti e provati a narrare dal nostro particolare osservatorio. Eravamo rimasti a giugno più o meno e nel bel mezzo dell’ennesima richiesta di nuove leggi, nuovi regolamenti, nuovi balzelli, catene, piloni, recinti, steccati e quant’altro per limitare il rischio di “fake”dentro, sopra, sotto, e nel mentre delle notizie.

Non di balzelli non di costrizioni, non di censure abbiamo bisogno – a nostro personale e sindacabile avviso –  bensì di provare a farcene una ragione, di renderci edotti e consapevoli di come si costruiscono i circuiti viziati in cui vengono veicolate notizie fasulle come se piovesse.

Un modo per provare a capire come questo avviene potrebbe essere:  comprendere le regole che i padroni del vapore applicano o meglio, fanno applicare dagli algoritmi che regolano ad esempio la pubblicazione dei nostri post dentro il social più diffuso e frequentato del pianeta: facebook detto anche “faccialibro” per i più intimi. Sono regole davvero strane, verrebbe da dire bizzarre ma non vorremmo infrangere il nostro mandato che ci impone di osservare e non giudicare. Leggetele voi stessi e fateci sapere. Se poi volete indulgere fatevi anche un giro sull’altro social cardine dell’umana conoscienza  – anche meno  – che non raggiunge numeri imponenti come il cugino ma che se ben usato è davvero utile per tutti noi che operiamo nel variegato mondo dell’informazione: provare per credere, anzi meglio, leggere.

 

Come afferma e documenta in modo assai intenso ed esaustivo il sociologo del giornalismo Sergio Splendore nel suo saggio “giornalismo ibrido”:

 

 

La professione giornalistica muta – dice Splendore nell’introduzione al saggio – a un ritmo che prima le era sconosciuto e l’identità professionale diventa più incerta. Fintanto che le forme più innovative di produzione di informazione erano relegate ai margini il modo di fare giornalismo risultava pressochè immutato. Nel momento in cui (anche – aggiungeremo noi) l’Italia si è imposta una commistione tra pratiche innovative e tradizionali, sono cambiati anche il campo giornalistico e il peso delle sue principali determinanti: l’economia e la politica”.  (verrebbero da aggiungere molti punti interrogativi, permetteteci di aggiungere e non ce ne voglia il professor Splendore, visto quello che sta realmente accadendo almeno qui da Noi)

 

 

 

E in questo nuovo mondo, in questo mondo post rivoluzione digitale, in questo mondo in cui tutto è cambiato ma il mestiere, anzi meglio, la professione giornalistica non è in crisi – a nostro personale e limitato giudizio –  anzi vive un’epoca d’oro; diventa sempre più importante porre mano alla vera rivoluzione quella culturale, capirla e attuarla invece di sparare a zero giudizi e alimentare ignoranza. Per provare a capire ad esempio il cortocircuito delle false notizie forse un breve riepilogo della genesi, scrittura e poi diffusione di una notizia, magari fasulla anche se diffusa da fonte certa,  potrebbe farci davvero comodo. Che ne dite?

 

 

Dunque non è l’anno delle fake news come in molti vorrebbero bensì – sempre a nostro discutibilissimo e parziale avviso – quello degli algoritmi. L’anno in cui ci poniamo o almeno vorremmo porci, per la prima volta e per davvero sebbene con molta modestia, davanti al concetto matematico, antico e potente,  di algoritmo: poi diventato così noto e importante grazie all’uso che ne hanno iniziato a fare qualche decennio fa gli informatici, i programmatori, gli scrittori di codice. Gli spunti per affrontare il problema sono davvero molti, uno ci è arrivato dall’amico Robin Good e da una sua intervista, realizzata dal professor Gianfranco Marini,  che abbiamo riletto e analizzato.  In relazione proprio al fenomeno algoritmico ad un certo punto Robin Good dice così:

 

 

Google, verità, libertà
Vuol dire prendere possesso dello strumento di ricerca e non delegare il monopolio delle scelte a Google. Per farlo è necessario creare un’alternativa che ci renda autonomi e non ci faccia dipendere da una risorsa come quella di Google. Il rischio è di incamminarsi sempre di più nella direzione in cui sarà l’establishment, di cui Google fa parte, ad arrogarsi il potere di decidere quale sia la verità, rischio reso oggi ancora più minaccioso dalla paura per il terrorismo e per le Fake News.

Questa è la cosa che più mi preoccupa, così come mi preoccupano quelli che dicono; “facciamo una lista dei siti di cui ci si può fidare”. Questo è peggio che non avere la fake news, perché se per qualsiasi motivo, finisci in quella lista, allora, indipendentemente da ciò che scrivi e analizzi sarai tacciato di essere un terrorista.

Il problema in questo caso è che abbiamo abbandonato la nostra capacità di vagliare e selezionare le informazioni in maniera professionale. E’ questo che si è perso di vista. È su questo terreno che dobbiamo combattere, mettendo in discussione il luogo comune dell’esperto portatore della verità. Dobbiamo dimostrare che anche senza avere fatto medicina per 6 anni, io posso andare a verificare delle informazioni o farmi delle domande o andare a sentire delle altre campane diverse da quella ufficiale e poi farmi un’idea, magari anche per concludere che quella dell’establishment sia la più corretta. Ma se non mettiamo in discussione le fonti di informazione ufficiali, e talvolta gli esperti stessi, più passa il tempo e meno persone ci saranno in grado di riconoscere il falso e la propaganda dalle vere notizie”.

 

Un pensiero forte, quello di Robin Good, magari anche confutabile in alcune sue parti, chissà? Certamente una salutare scossa, un rimescolamento di carte indubbiamente utile, per riprendere possesso degli strumenti necessari per orientarsi in questo mare magnum dell’overload informativo in cui si è trasformata e si andrà sempre di più trasformando questa nostra società.  Un mondo che dovrà essere sempre di più amministrato attraverso l’uso – ci auguriamo consapevole e lucido –  dell’intelligenza artificiale a causa dell’aumento esponenziale e incessante di dati da vagliare, interpretare, tradurre o molto più semplicemente solo leggere.

 

 

 

E siccome il tempo sarà anche tiranno ma è soprattutto galantuomo avvicinandoci alla fine del nostro resoconto ci corre l’obbligo di ritornare rapidamente all’inizio del 2017 e alla questione commenti grazie a questo resoconto elaborato per noi da Claudia Dani dove si ritorna a parlare, siamo a settembre del 2017, di commenti e di come potrebbero arricchire – anche in senso lato (riempire le tasche) –  di giornalisti ed editori, guardate cosa dice Chris Krug, presidente del Franklin Center:

 

 

“I commenti rappresentano un modo significativo di interagire con i lettori e hanno permesso una crescita online esplosiva a quello che poteva rappresentare l’accesso alla rete per la maggior parte dei giornali che cercano di accrescere la loro presenza digitale

 

 

I commenti  sono diventati una “macchina per click” dei media, alimentando i loro siti dando visibilità a contenuti che altrimenti non avrebbero interessato molti.  Dal momento che il giornalismo mainstream continua a diminuire, i commenti spesso, sono più interessanti e intuitivi rispetto ai contenuti a cui sono legati”.

 

 

Ebbene nel mondo dei dati, quello in cui siamo e saremo sempre più immersi, ricordare concetti che sembrano obsoleti e che invece hanno ancora grandissima importanza e rilevanza ci potrebbe servire e ci potrebbe riorientare verso una dimensione molto più realistica e concreta, non trovate anche voi? A questo proposito il contributo concessoci a settembre dal Professor Piero Dominici sulla “potenza della teoria” è stato davvero illuminante:

 

 

Eppure – non è inutile ripeterlo –la teoria è quella “dimensione” (complessa e tutt’altro che lineare) che un po’ tutti disprezzano, considerano inutile, fuorviante, dispersiva (ai limiti del paradossale), soprattutto in un’epoca in cui si rivela sempre più egemone la convinzione/narrazione che i dati ci dicano tutto e che la realtà stessa sia costituita da “dati” che sono “dati di fatto”; una realtà talmente reale (misurabile) perché costituita da evidenze empiriche (quantitative e statistiche, big data etc.) che sono a tal punto auto-evidenti da non richiedere alcuna osservazione e/o interpretazione (individuazione di correlazioni e/o di nessi di causalità; osservazione e riconoscimento dei livelli di connessione etc.)“.

 

 

Algoritmi, cultura, intelligenza, lentezza, comprensione, consapevolezza: queste sono le parole che vorremmo porgerVi per riflettere e ragionare sul  futuro prossimo e sul recentissimo passato, quello dell’anno appena trascorso. Un anno in cui la questione del racconto e di come articolare un certo tipo di racconti di origine e natura giornalistica non sembra assolutamente risolta ma anzi pare porre nuovi e sempre più numerosi questiti, non solo di natura tecnica ma e soprattutto di natura concettuale, culturale, umana?

E come disse il poeta (non esattamente ma concedetecelo please): “ed è subito 2018” Auguri

 

 

 

 

 

 

 

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