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Algoritmi fantastici e come trovarli

Direttamente dall’ennesimo capolavoro  dell’autrice di Harry Potter nonchè mamma di Hermione e di tutto l’immaginario di maghetti e babbani ecco a Voi la  nostra parodia settimanale!!! (ma anche no).

 

 

Il mondo oramai è tutto un algoritmo, o forse lo è sempre stato? Domanda interessante caro Watson. Una domanda che proveremo presto o tardi a formulare direttamente ad uno scienziato o a molti di loro, ma per il momento limitiamoci ad osservare, e proviamo a raccontare. Questo in fondo è quello che sappiamo fare. E poi non siamo forse giornalisti?

 

 

Dopo l’edizione del 28 ottobre di digit tutta dedicata agli algoritmi l’attenzione del mondo su questo argomento, non certo grazie a noi, sembra essere aumentata a dismisura. Non si parla d’altro. Sui giornali, in tv, alla radio, per non parlare del web, luogo d’elezione per l’uso dei ragionamenti matematici definiti algoritmi. Allora vorremmo mettere in fila alcune riflessioni che abbiano come finalità proprio la migliore e maggiore conoscenza di questa tematica e delle sue applicazioni. Ci proviamo almeno.

 

 

Ci sono algoritmi di tutti i tipi, e soprattutto questi algoritmi vengono utilizzati per svolgere qualunque tipo di operazione dalla più semplice alla più complessa. Proviamo a metterli in fila uno dietro l’altro prendendo spunto da una rubrica specifica che nel frattempo è nata sul sito della nostra manifestazione “digit” e che si chiama: digitSegnali.

 

 

In questa rubrica settimanale giunta già al suo quarto appuntamento Claudia Dani lavorando di curation in curation prova a fare il punto su algoritmi e loro tematiche mettendo in pratica una delle finalità principali che da sempre cerchiamo di diffondere qui e a digit, ovvero: prendiamo coscienza di cosa ci circonda e rendiamoci consapevoli.

 

 

Abbiamo scoperto proprio a digit ad esempio che attraverso l’uso di uno specifico algortimo un’equipe di scienziati italiani guidata dal professor Mario Rasetti del Politecnico di Torino è stata in grado di predire le evoluzioni e la diffusione delle ultime epidemie, le più gravi  e per nostra sfortuna  incurabili malattie da H1N1, all’inflenza aviaria, da Ebola a Zika.

 

E proprio grazie all’uso di questo stesso algoritmo, come lo stesso professor Rasetti ci ha appena spiegato,  che gli scienziati torinesi dell’equipe della fondazione ISI sono stati in grado di contenere il contagio e infine debellare le epidemie stesse. In particolare nel caso di ebola gli scienziati per rendere più efficace l’algoritmo hanno dovuto collaborare non solo con  i medici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ma  anche con i militari, in particolare i marines dell’esercito americano,  che hanno aiutato scienziati e dottori ad acquisire dati pressochè inesistenti ma fondamentali per poter raffinare l’uso dell’algortimo e renderlo davvero efficace – come ci ha raccontato lo stesso Rasetti in un incontro precedente a digit – la collaborazione scienziati/militari    ha avuto luogo in uno dei paesi dell’Africa dove il virus ebola si era diffuso con maggior virulenza: la Liberia.  

 

 

L’espediente usato e poi realizzato con l’aiuto dei militari è stato ricavare dati dove non c’erano grazie alla visualizzazione tramite i satelliti delle maggiori concentrazioni di luce sul territorio dello stato africano. Maggiori concentrazioni di luminosità corrispondevano ad un numero maggiore di persone e quindi ad un aumento del rischio di diffusione della malattia. Unendo le rilevazioni alla capacità di programmazione degli esperti l’equipe guidata dal professor Rasetti è stata in grado di mettere a punto il giusto algortimo e contenere l’epidemia.

 

 

Nello stesso modo e sempre rimanendo in campo medico l’uso degli algortimi ci permette di individuare ad esempio le persone depresse. Un team di ricercatori utilizzando l’espediente matematico ha potuto realizzare una specifica analisi dei dati estratti da uno dei social più utilizzati e diffusi: twitter, et voilà il gioco è stato semplice e il risultato garantito. Beh in realtà in questo caso non proprio. Infatti pare che il campione statistico estratto e analizzato attraverso i dati del social non fosse abbastanza rappresentativo rispetto a tutto il genere umano e quindi non abbastanza accurato per farne un’uso specifico. Però l’idea di poter prevedere con largo anticipo l’arrivo della malattia fra le persone solo studiando i cambiamenti nel modo di esprimersi, di scrivere post, di commentare sulle bacheche di amici e followers; ci sembra decisamente interessante. La ricerca arriva da alcune università americane e potrebbe forse fornirci uno strumento in grado di prevedere le tendenze suicide delle persone?

 

 

Ancora dal settore della diagnostica medico sanitaria arriva un altro uso degli algortimi. L’autore della ricerca è un professore dell’Università di Roma Tor Vergata, Giovanni Saggio, docente di elettronica presso l’ateneo capitolino. Gli studi eseguiti dal professore e dalla sua squadra di ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto stretto e specifico fra il nostro stato di salute e la nostra voce. Un modo algoritmico per svecchiare la tecnica da sempre in uso fra i medici di auscultare i propri pazienti, avete presente la celeberrima espressione: “dica trentatre”. L’algoritmo elaborato dagli scienziati dell’università romana serve a catalogare le voci e a metterle in relazione con le malattie. Dallo studio delle onde sonore e poichè la voce umana è il risultato di una serie di processi complessi sottoposti a parametri altrettanto complessi e variabili, gli studi e le campionature vocali eseguite su migliaia di pazienti hanno permesso agli studiosi di realizzare un’associazione fra le caratteristiche della voce e lo stato di salute di quello specifico paziente e poi di associare le sonorità similari a specifiche malattie. Scienza o fantascienza? Ai posteri la sentenza, intanto gli scienziati romani per colpa dell’italica burocrazia hanno dovuto realizzare il proprio studio in India.

 

 

Dunque l’utilità degli algoritmi è indiscutibile in questa nostra società sempre più sommersa dai dati, dati che continueranno a crescere in modo esponenziale, anno dopo anno. Avete presente quella slide che gira in rete e che ci racconta quante cose si fanno online in un minuto?

Ecco quello è un modo semplice per comprendere il cosiddetto “overload informativo”. Quello che ci ha spiegato molto bene il professor Rasetti a digit è stato ad esempio che nessuna macchina sarà mai in grado di sostituire il cervello umano, nè ora nè mai. Il rischio di un hal 9000 che ci ruba il nostro libero arbitrio e ci schiavizza come ci racconta da tempo la fantascienza non si porrà mai. Nemmeno in un futuro lontano. La complessità del cervello umano e la sua funzionalità non sono replicabili. Ma l’uomo proprio per gestire in modo efficente tutta questa enorme mole di dati in repentina e inarrestabile crescita dovrà sempre di più fare ricorso all’Intelligenza Artificiale e fare in modo che le intelligenze artificiali dialoghino fra loro realizzando – per il nostro esclusivo benessere – operazioni sempre più complesse e sempre più veloci. Fra due, tre anni, il mondo sarà ancora più veloce, totalmente coperto di sensori che dialogheranno fra loro a velocità crescenti e sempre meno comprensibili e gestibili dal nostro cervello. Con l’avvento del 5g le operazioni automatiche saranno la maggioranza. Come, ad esempio, quelle necessarie per guidare con assoluta precisione e perfezione un veicolo lanciato a forte velocità nel traffico. Dovremmo dunque fidarci? No non direi, anzi dobbiamo sin da ora pretendere di comprendere sempre meglio e sempre di più come funzionano questi meccanismi. Non la complessità scientifica. Non formule e calcoli complicati, bensì l’architettura della macchina, il suo funzionamento complessivo, il modo in cui vengono prese le decisioni attraverso l’applicazione degli algoritmi. Il problema di facebook insomma, come ci spiegava proprio a digit l’esperto di dati, io oserei definirlo “data scientist” con il vizio del giornalismo, ma lui non ne sarà sicuramente contento: Luca Corsato.

 

 

Luca a digit ha portato un workshop intitolato “l’agoritmo dell’algoritmo”, due ore in cui, assieme a Vittorio Pasteris,  ha tentato proprio di spiegare mediante l’illustrazione di un progetto realizzato dalla sua società, come funzionano gli algoritmi che reggono un social come facebook e come noi tutti, nessuno escluso, compresi naturalmente tutti coloro che non posseggono particolari competenze tecniche, possano, (possiamo), comprendere il funzionamento di tale algoritmo, e in questo modo rendersi/renderci impermeabili alla sua ingerenza nella nostra vita, se ci fa piacere, se lo desideriamo. Ecco questa è la filosofia che ci permettiamo di consigliare a tutti, l’approccio a nostro avviso migliore per vivere il presente, fuori dalla dietrologia – che oggigiorno regna sovrana – e fuori soprattutto dal pozzo senza fondo dell’ignoranza crassa nella cui pancia capiente sembriamo tutti sul punto di cadere quando ci facciamo prendere la mano da trollismi, fake news e altri dibattiti cosi poco ricchi di sostanza. Come riporta nel primo articolo della nuova rubrica di digit: digitSegnali la collega Claudia Dani commentando un’iniziativa di alcuni ricercatori dell’università del Massachusets :

“Quando automatizziamo sempre più decisioni, capire come l’intelligenza artificiale “pensa” è sempre più importante.

 

 

In un articolo pubblicato sull’arXiv, i ricercatori affermano di avere scoperto un modo per mitigare il problema degli algoritmi il loro essere black box. Hanno lavorato sugli strumenti per dare un’occhiata a quello che succede sotto il cofano, ma il problema è diffuso e cresce.

 

 

Se l’azienda non è disposta a rilasciare informazioni su come funziona il suo sistema, i modelli di approssimazione come quelli di questa ricerca sono un mezzo per ottenere una panoramica, afferma Brendan O’Connor, professore aggiunto presso l’Università di Amherst nel Massachusetts.

 

 

“Dobbiamo essere consapevoli che questo sta accadendo e non chiudere gli occhi e comportarci come se queste cose non si stessero verificando ogni giorno”, dice fra le altre cose il professor O’Connor”.

 

 

Un monito utile e un’altrettanto utile attività di ricerca che ci porta di filato alla considerazione finale: dobbiamo sforzarci di capire noi stessi per primi, dobbiamo però anche riuscire a  partecipare, dobbiamo entrare nelle attività di costruzione e realizzazione degli algoritmi attraverso nostri rappresentanti, o forse tutti noi direttamente  dobbiamo concorrere alla realizzazione degli algoritmi e alla loro applicazione dentro  spazi comuni, pubblici e condivisi? Del resto non funziona così l’ecosistema orizzontale dove siamo tutti emittenti e riceventi? Non lo pensate anche Voi?

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