Usa: fallisce cordata digitale, ma non il modello

ThunderdomeNei giorni scorsi Digital First Media ha deciso di chiudere un’ ambiziosa iniziativa di “editoria interattiva” lanciata tre anni fa, e si appresta a liquidare tutto, giornalisti inclusi.

Si tratta del Project Thunderdome, esperimento centralizzato e puntato ai device mobili, con una redazione di oltre 50 persone basata a New York City.

 

L’ attuale incarnazione del gruppo Digital First Media include la recente integrazione formale di MediaNews e Journal Register, catene minori già gestite dal 2011, per un totale di 75 quotidiani diffusi sul territorio nazionale, mentre in ambito digitale raggiungerebbe, secondo dati forniti dall’azienda, «67 milioni di lettori al mese sparsi su 18 Stati Usa».

 

A scanso di equivoci, la chiusura di Thunderdome fa parte dei tagli complessivi del gruppo, pari a oltre 100 milioni di dollari, dovuti soprattutto alla picchiata delle inserzioni sulle testate cartacee: oltre il 50% in meno rispetto all’ apice di 49 miliardi di dollari raggiunto nel 2005.

 

Tutt’altro che colpa del digitale, quindi. Da cui se ne deduce che «gli obiettivi degli investitori in Digital First Media erano l’ antitesi della pazienza e dell’ impegno multimilionario»,  commenta Alan D. Mutter, noto esperto del settore. Aggiungendo tuttavia che sarebbe un errore considerare questa chiusura come «il fallimento dell’ informazione digitale o un motivo per non provare altri modelli di successo».

 

L’ ambito digitale è importante, prosegue l’ analisi, perché i «consumatori odierni, inclusi quelli sopra i 55 anni, preferiscono seguire l’ attualità grazie a una serie di piattaforme, tra cui computer, tablet, smartphone e ‘smart tv’. E anche l’ American Press Institute, braccio della Newspaper Association of America, recentemente ha sostenuto che ‘la maggioranza degli americani di ogni generazione oggi ricorre a svariate fonti e tecnologie per seguire l’ informazione settimanale’».

 

Motivo per cui, senza voler caricare il ritorno al successo dei grandi gruppi editoriali solo sulle spalle delle succursali digitali, quest’ ambito rimane comunque assai invitante per investimenti mirati. Tra gli ultimi esempi, si citano infatti Vox Media (che ha raccolto 60 milioni ) e BuzzFeed (46 milioni), secondo quanto riporta la nota testata TechCrunch, che a sua volta ha tirato su altri 25 milioni di dollari.

 

In definitiva, quest’ esperimento digitale tentato (e fallito) da John Paton, CEO di Digital First Media, rivela che «le entrate non si sono materializzate abbastanza in fretta rispetto ai dollari sprecati dal cartaceo, che pur in quest’ avanzato stato di crisi richiede attenzione perché continua a produrre la gran parte delle entrate per la sua azienda (come anche per altri grandi catene di quotidiani)».

 

Certo, per queste ultime il passaggio dall’ ambito tradizionale al digitale rimane più arduo del previsto, ma non è una ragione per smettere di sperimentare nuove opportunità e trovare investitori più accorti.