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Una ”Battle Cross” anche per i giornalisti decapitati?

La decapitazione del giornalista americano, James Foley , per mano dei membri del cosiddetto Stato Islamico ha sollevato un’ondata di indignazione: tra i nomi che hanno reso omaggio al fotoreporter selvaggiamente ucciso, quello di Gary Varvel , autore di fumetti, il quale ha pubblicato un disegno su  indystar.com.

 Su Culturevisuelle, Patrick Peccatte ricostruisce i meccanismi di costruzione di immagini legate in qualche modo alla guerra e la diffusione che alcuni dispositivi iconografici hanno avuto al di là del campo bellico.

 

 

À propos d’un dessin en hommage à James Foley

di Patrick Peccatte

(Culturevisuelle)

 

L’ immagine qui sopra rinvia di sicuro al simbolo del fucile con il calcio rivolto al Cielo, sormontato da un elmetto, infilzato al suolo mediante baionetta e vicino al quale sono poste delle calzature da marcia. Abitualmente definito Fallen Soldier Battle Cross, o più semplicemente Battle Cross, questo caratteristico dispositivo iconografico viene frequentemente usato negli Stati Uniti in forma di omaggio verso i soldati uccisi; sotto questa precisa forma, con le calzature da marcia, esso risale alla guerra del Viet Nam.

 

 

Prendendo una costruzione utilizzata inizialmente per i soldati “rimasti sul campo”, uccisi con onore, il disegno di Varvel sembra essere stato inteso, in taluni casi, come un pericoloso avvicinamento tra i rispettivi, specifici ruoli del giornalista di guerra e dei militari in azione.

 

Nel momento in cui ho postato questa vignetta su Facebook, il giornalista Marc Mentré ha commentato: “Questa immagine è un assoluto controsenso…”. Se è vero che l’autore del tributo è conosciuto per le sue opinioni conservatrici, le quali si riflettono nella maggior parte delle sue vignette di satira politica, possiamo davvero dire che questa immagine è una aberrante manifestazione patriottica? Per mezzo ed a causa di questo omaggio, formalmente analogo ad un dispositivo militare, il lavoro di testimonianza giornalistica è più o meno assimilata o assimilabile ad un atto di guerra?

 

Due argomenti dimostrano in realtà che la scelta grafica del disegnatore non è così balzana, soprattutto se considerata nel contesto statunitense.

 

Il giornalista di guerra come avventuriero.

 

La vicinanza, se non la convivenza, dei giornalisti e dei soldati nei teatri di guerra è ben conosciuta: ma, al di là delle necessità logistiche, molteplici testimonianze di giornalisti di guerra mettono in risalto la fascinazione subita per l’ azione militare e, per alcuni, un vero e proprio gusto per la guerra. Pubblicato nel 1977, il libro di Michael Herr, “Dispatches” (1 ) menziona così a più ripresa la bellezza delle granate, dei missili, delle pallottole traccianti (un esempio a pagina 139) ed il suo autore, infine, riconosce perfino quanto abbia amato la guerra… In tempi più prossimi ai nostri: Michel Puech si è recentemente stupito , nel 2013, di questa apologia del combattimento, all’ epoca degli incontri in concomitanza del Premio Bayeux-Calvados (2,): e, poco innanzi la sua morte, in Siria, all’ inizio di quest’anno, il reporter Olivier Voisin scriveva:

 

“E’ vero, io sono drogato di questa telecamera di merda: nessun’altra droga potrà mai essere potente come l’adrenalina, che in un baleno immette in noi sensazioni incredibili, in particolare quella del voler vivere…”( 3).

Puech ha anche sottolineato che numersi giornalisti sono ex militari: senza esser stato lui medesimo un soldato, James Foley aveva lavorato per qualche mese in Afghanistan per il quotidiano “Stars and Stripes”, giornale delle forze armate americane.

 

L’ estensione della diffusione della Battle Cross.

 

Nel 1952, nel film Red Ball Express , di Budd Boetticher, il soldato onorato con una Battle Cross non è morto sul campo di battaglia: è un autista, nero, della Red Ball Express, il cui camion ha fatto esplodere una mina.

 

Sino agli anni ’60, tuttavia, l’ omaggio in questione riguardava unicamente i soldati deceduti in battaglia; il cinema ha, dunque, anticipato la pratica oramai instauratasi: da allora, negli Stati Uniti, il simbolo in questione non è più riservato ai soli soldati deceduti in azione…L’onore reso mediante la Battle Cross si estende ora a tutti i soldati caduti in azione, quale che sia la ragione del decesso.

 

L’onnipresenza del simbolo nelle cerimonie, nei memoriali, presso i monumenti, al cinema, in svariate produzioni grafiche e nella cultura popolare americana ha condotto, alla fine degli anni ottanta, all’apparizione di motivi grafici ispirati al dispositivo formato dal fucile sormontato da un elmetto: questi nuovi disegni non sono più esplicitamente militari, ma rimangono, tuttavia, collegati, in un modo o nell’altro, a questo contesto d’ origine: essi permettono di estendere visivamente il tributo reso a categorie civili della popolazione statunitense.

 

Due esempi.

 

 

Visibilmente di origine americana, a giudicar dall’arma e dall’elmetto rappresentato a sinistra, i due dispositivi di questa vignetta associano l’operaio morto sul lavoro al soldato “carne da cannone” ucciso sul campo di battaglia. L’immagine risulta particolarmente interessante: essa dimostra, in effetti, che determinati adattamenti del simbolo della Battle Cross, che la portano fuori dal suo contesto originale militare, non sono filo militaristi o reazionari (ben al contrario, dato che si tratta di una immagine, di un manifesto di un movimento sindacale rivoluzionario).

 

 

In questa vignetta, pubblicata nel 1988, due militari rendono omaggio, con l’aiuto di una penna che sostituisce un fucile, al disegnatore Milton Caniff, recentemente scomparso. L’uomo raffigurato a destra nell’immagine è Steve Canyon, uno dei personaggi principali creati da Milton Caniff: il disegno è di Bill Mauldin, amico di Caniff ed autore della striscia comica Willie e Joe.

 

Queste variazione della Battle Cross in qualche modo ampliano l’omaggio agli scomparsi anche se non sono necessariamente soldati: qui conta il personaggio cui si rende onore, non la sua funzione. In questo senso, anche se il dispositivo preciso della Battle Cross rimane riservato ai militari deceduti, i motivi originari cui essa si ispira significano che l’ omaggio simbolizzato, pur restando profondamente americano, ben si presta ad estendersi al di là della mera sfera militare.

 

Se guardiamo alla Battle Cross nello spirito essenziale, la sua grande popolarità negli Stati Uniti e le sue derivazioni fuori dal contesto militare (ma anche la prossimità fisica e di vita tra i giornalisti di guerra ed i soldati), il disegno di Varvel in tributo a James Foley ben appare come la coerente declinazione di un simbolo culturale rigorosamente statunitense.

 

Note

  1. Dispatches (1977)
  2. Michel Puech, Prix Bayeux-Calvados : l’odeur de la poudre ou celle de l’encre ? 11 ottobre 2013.
  3. Libération/AFP, Le photographe Olivier Voisin, blessé en Syrie, est mort, 24 febbraio 2013.

 

 

(traduzione a cura di Maria Daniela Barbieri)

 

 

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