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Un sistema di distribuzione assurdo impedisce ai magazine di nicchia di raggiungere il proprio pubblico

Una bella avventura finita troppo presto. Solo quattrro numeri. Horror Time, il mensile dedicato al cinema e alla letteratura del terrore, ha chiuso i battenti dopo soli quattro numeri.
 
Il motivo? Non le scarse vendite né  il mancato interesse da parte dei lettori, ma solo una pessima distribuzione. Regioni e città non coperte, senza che si riuscisse nemmeno a sapere il perché.
 
‘’Prendiamo atto che non è più possibile percorrere la via della carta e salutiamo ringraziando tutti gli splendidi lettori che ci hanno seguito con affetto per questi quattro numeri della rivista’’

 

 

di Fabio Dalmasso

 

È durata solo quattro numeri l’avventura editoriale di Horror Time, mensile dedicato a tutto ciò che gravita attorno alla paura e al terrore, come il cinema e la letteratura da brivido, che aveva fatto la sua comparsa nelle edicole nel settembre dello scorso anno. Una chiusura inaspettata che ha colto di sorpresa i molti lettori e annunciata con un comunicato firmato dai direttori, Andrea G. Colombo e Paolo Zelati, e pubblicato sul sito della rivista e sulla relativa pagina Facebook.

 

“In accordo con l’editore – si legge nel comunicato – abbiamo alzato bandiera bianca dichiarandoci impotenti dinnanzi all’ inefficacia della distribuzione che in questi quattro mesi non è mai stata in grado di farci arrivare là dove richiesto. Nei fatti, le regole che dominano l’attuale mercato rendono impossibile per un prodotto nuovo (e di nicchia come il nostro) di raggiungere il proprio pubblico”.

 

Una dichiarazione di impotenza forte e decisa in cui si sottolinea come le segnalazioni e le proteste contro la distribuzione non abbiano sortito alcun effetto: “Non siamo riusciti a cambiare la situazione perché ogni nostra segnalazione è caduta nel vuoto. A quanto pare nemmeno richiedendo spiegazioni è possibile capire perché in una data città la rivista non sia presente, né è stato possibile cercare di cambiare la situazione laddove si riscontravano problemi”.

 

 Regioni e città non coperte
Intere regioni non coperte e città servite in modo pessimo: Colombo e Zelati riportano gli esempi della Sicilia, dell’ Umbria, della Calabria e della Campania che “sembrano inghiottite da un buco nero” mentre il problema delle città riguardava centri come Como, Pavia e la provincia di Varese, ma anche Torino, dove arrivava un numero si e uno no. E poi i supermercati: “Come mai, poi, in alcune città la rivista non veniva data alle edicole ma la si trovava solo nei supermercati? Decine di copie mandate a morire in un supermercato piuttosto che un altro mentre i lettori battevano come disperati le edicole cittadine. Non solo avremmo dovuto chiedere ai nostri lettori “girate le edicole”, che già rappresenta di suo una bella seccatura per chi ci vorrebbe leggere, ma anche “setacciate i supermercati”?” La chiusura del comunicato è un’amara resa: “Molto semplicemente prendiamo atto che non è più possibile percorrere la via della carta e salutiamo ringraziando tutti gli splendidi lettori che ci hanno seguito con affetto per questi quattro splendidi numeri di Horror Time. Sappiate che il vostro sostegno affettuoso ed entusiasta è stato il carburante che ci ha consentito di navigare in questo mare in tempesta”.

 

 Destino segnato?

 

Un problema, quello della distribuzione, che non è certo nuovo e con cui il mercato editoriale italiano deve fare i conti: nell’ articolo dedicato al 500esimo numero de Il Giornale dei Misteri, ad esempio, il direttore Francesca Vajro ci aveva detto che “la scelta di togliere “Il Giornale di Misteri” dalle edicole nel 2012 è stata dettata dagli aumenti dei costi tipografici e distributivi”. Per molti giornali, quindi, non resta che affidarsi agli abbonamenti, con annessi rischi postali non così sporadici, o rifugiarsi sul web, dove la distribuzione non può fare danni.

 

Un futuro segnato per le riviste di nicchia dunque? Forse si, ma per capire meglio le vicissitudini che hanno portato alla chiusura di Horror Time abbiamo intervistato il direttore, Andrea G. Colombo, che rassegnato si chiede se si possa ancora intervenire per cambiare davvero qualcosa.

 

Quando e perché è nato Horror Time?

 

È nata a settembre 2013 perché un editore ha chiesto a Paolo (Zelati, n.d.r.) e a me di progettare una rivista horror. Abbiamo cercato di dissuaderlo, ma dopo la sua insistenza abbiamo accettato il lavoro.

 

Come andavano le vendite della rivista?

 

Per il disastro distributivo che subivamo, direi che vendeva anche bene. Ma al di sotto di quanto avremmo desiderato. E meritato. Tuttavia come puoi sperare di cambiare le cose con la situazione che abbiamo toccato con mano? Non è nemmeno stato possibile immaginare altri scenari, per questo abbiamo mollato il colpo.

 

Se non sbaglio su Facebook c’è stata un’ ottima risposta da parte dei lettori, c’era curiosità attorno alla rivista.

 

Non sbagli. Il prodotto piaceva e abbiamo avuto una risposta dai lettori insperata. Ondate di affetto che non ci aspettavamo. Per questo è stato difficile chiudere il progetto: sapevamo di aver fatto breccia nel cuore degli appassionati.

 

Quando e come avete avuto sentore dei problemi di distribuzione?

 

Dai primo giorno! La rivista non era nelle edicole. Quando è apparsa lo ha fatto solo a Roma e a Milano. Poi a macchia di leopardo, ma è stato uno stillicidio. C’è gente che ha aspettato due settimane per vedere apparire il prodotto nella sua città, come se il prodotto fosse consegnato a dorso di mulo. Avevamo pianificato un lancio on-line e ci siamo ritrovati con una sfilza di lamentele di lettori che uscivano per comprare la rivista e tornavano a casa a mani vuote. Inutile dire che la situazione non è cambiata coi numeri seguenti.

 

Quali problemi erano?

 

La rivista non usciva nelle edicole al giorno prestabilito. Ma sempre prima. O dopo. E in giorni diversi a seconda della città. La gente quante volte può andare in una edicola a cercare una rivista da comprare prima di stufarsi? In alcune città non siamo mai riusciti a esserci. E non si sa il perché. In altre eravamo presenti, ma solo nei supermercati. Solo che non sapevamo in quali supermercati. Non ci veniva detto. A Milano ho visto edicole vuote e otto copie della rivista sullo scaffale di un’Esselunga. Molto utili, no? Aggiungi poi che la rivista restava in molte edicole meno di una settimana, poi veniva resa. In questo modo non veniva pagata. Quindi facevamo un mensile con l’esposizione di un settimanale…

 

Nel comunicato stampa di chiusura avete scritto: “le regole che dominano l’attuale mercato rendono impossibile per un prodotto nuovo (e di nicchia come il nostro) di raggiungere il proprio pubblico”. Quali sono queste regole?

 

Semplice: o fai parte di un grande gruppo editoriale che ha la forza di imporsi e di essere presente e fisso sul banco dell’edicola per tutto il mese, oppure scompari. Alcune edicole nemmeno esponevano la rivista, regolarmente consegnata. Tornava indietro il pacco intonso.

 

Conferma, come avete scritto, che “intere regioni […] Sicilia, Umbria, Calabria, Campania sembrano inghiottite da un buco nero”? In queste regioni i problemi della distribuzione erano maggiori?

 

Ci è stato detto che “la Sicilia è persa”. Di alcune regioni si sapeva solo che “il prodotto è stato distribuito”, ma non era possibile sapere dove, né in quali quantità. Come se si trattasse di remote zone antartiche in cui le comunicazioni sono rese proibitive dalle avverse condizioni climatiche.

 

Ho letto che anche grandi città non erano coperte dalla distribuzione, come ad esempio Torino.

 

A Torino c’era un nostro collaboratore, che quindi controllava la situazione direttamente. E mi scriveva ogni santo giorno per dirmi che non riusciva a trovare la rivista nonostante girasse mezza città, edicola per edicola. Così per altre città dove collaboratori o lettori avevano il polso diretto della distribuzione. C’è poco da inventarsi: con la rete, si sa tutto subito e in tempo reale. E noi abbiamo potuto costatare come la rivista non si trovasse.

 

Come bisognerebbe cambiare la distribuzione secondo lei?

 

Non ne ho idea, ma mi chiedo innanzi tutto se non sia troppo tardi per discuterne. Temo che non sia più possibile cambiare nulla, ormai.

 

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