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Sullivan (The Dish): la pubblicità ‘nativa’ ha ucciso il giornalismo

“La base economica dell’editoria giornalistica è talmente cambiata da uccidere il concetto stesso di giornalismo. La pubblicità si è intrufolata nelle pagine di informazione nel modo che avrebbe sempre voluto. Era un assioma che l’impegno dei giornalisti era resistere a questa pressione e sostenere la chiara distinzione tra pubblicità e informazione. Ma il giornalismo ha ceduto”.


Lo sostiene Andrew Sullivan, il giornalista-imprenditore che ha lasciato il Daily Beast quasi un anno e mezzo fa per lanciare The Dish
, testata d’informazione ad abbonamenti.

 

 

Il sito non ha pubblicità e gli  875.000 dollari che Sullivan ha rastrellato l’anno scorso mostrano che la gente è disposta a pagare per i contenuti online.


In una conferenza alla Nieman Foundation for Journalism di Harvard Sullivan ha parlato di ” Come la pubblicità ha sconfitto il giornalismo“. Un tema riproposto in una intervista a DigiDay, di cui riportiamo i passi essenziali.

 

 

 Allora: in che modo la pubblicità ha sconfitto il giornalismo?

La base economica dell’ editoria giornalistica è talmente cambiata da uccidere il concetto stesso di giornalismo. La pubblicità si è intrufolata nelle pagine di informazione nel modo che avrebbe sempre voluto. Era un assioma che l’ impegno dei giornalisti era resistere a questa pressione e sostenere la chiara distinzione tra pubblicità e informazione. Ma il giornalismo ha ceduto.
Puoi fare un esempio?

Un mio amico una volta guardò BuzzFeed e disse: “E’ destinato a fallire. Non ci sono inserzioni. Come può sopravvivere?”. Io replicai: ‘’Non hai capito niente. E’ una unica, grande inserzione pubblicitaria!”.

 

BuzzFeed è basato sul native ad, ma…

Native ad. Contenuti sponsorizzati. Ma che cavolo vuol dire? Branded content? Per carità. Appena cominciano a parlare in maniera incomprensibile, è chiaro che stanno facendo qualcosa di male.

Però  siti come quello del New York Times e dell’ Atlantic differenziano in modo chiaro i loro annunci nativi, giusto?
Fanno un lavoro migliore. Ma la questione è a quale livello di inganno ti poni. Il problema oggi è tutto qui. Se non volevano ingannare, avrebbero messo questa roba come inserzioni e non come articoli ‘’sponsorizzati’’.


Ma allora qual è il modello che funziona?

Se uno è abbastanza bravo dovrebbe essere in grado di convincere i lettori ad abbonarsi al suo sito. Noi siamo un sito piuttosto piccolo e con relativamente poche risorse. Non ho nemmeno un ufficio commerciale, non c’ è neanche un editore. E siamo riusciti a raggiungere  30.000 abbonati o giù di lì, quasi 900 mila dollari di entrate l’ anno scorso, e il nostro tasso di rinnovo degli abbonamenti viaggia intorno all’ 85%.

Beh , complimenti.

Siamo solo un piccolo blog. Ma perché BuzzFeed non potrebbe un giorno sognare di chiedere ai suoi lettori di abbonarsi? Daily Beast non può chiedere ai suoi lettori di pagare. Gawker non può convincere la gente a pagare per i suoi prodotti. Ma non si sentono imbarazzati per il fatto che non possono ottenere dai loro lettori un sostegno al loro lavoro? Perché?

 

Tu però sei un’ anomalia. E il problema con il Web è che siamo tutti abituati ad avere contenuti gratuitamente.

La gente vuole avere tutto e subito. E, visto che il modello è libero, non hanno altra scelta che gettarsi in balia degli inserzionisti. Ma, non avendo abbonati, non hanno nessuno strumento per contrastare la loro influenza.

Ho sentito il direttore di una grande testata tradizionale sostenere che, sempre di più, i giornalisti devono prestare la loro esperienza editoriale ai contenuti dei grandi brand.

Questo non è giornalismo, è copywriting. E’ pubblicità! Dire che nessun giornalista può finanziare il proprio lavoro con il contributo economico dei lettori è un atto d’ accusa sorprendente nei confronti del giornalismo e una mancanza di fiducia in questo settore industriale.

 

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