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Giornali: l’ossessione del primato della carta

“Le abitudini e le tradizioni costruite in oltre un secolo e mezzo di giornalismo su carta sono una potente forza conservatrice nella transizione al digitale – non c’ è niente di più forte dell’attrazione gravitazionale della Prima Pagina. […] Ma è sempre più chiaro che non ci stiamo muovendo con sufficiente urgenza”.

 

E’ uno dei passaggi chiave del rapporto interno del  New York Times sul faticoso processo di passaggio dalla carta al digitale. Dopo la diffusione del documento, il dibat­tito, rileva Pier Luca Santoro, si è con­cen­trato soprattutto sulla ‘morte’ della home page. Ma quel rapporto contiene anche altro: una lettura diversa viene da Frédéric Filloux che, sulla sua Mondaynote, propone un’interessante analisi sulle difficoltà che le (grandi) testate tradizionali incontrano nel processo di trasformazione da strutture centrate sul cartaceo alle ‘macchine digitali’.

 

Secondo Filloux, quel rapporto è importante per due motivi principali:
 

– Il New York Times è considerata una delle poche testate tradizionali trasformatesi con successo in una spettacolare creatura digitale. Va da sé che molti organi di informazione non sono riusciti a fare neanche la metà di quello che ha fatto il NYT, se si guarda ai risultati del suo modello di abbonamenti o all’alto tasso di rendimento della pubblicità – il tutto riuscieendo comunque a conquistare vari premi Pulitzer.
 
E poi, aggiunge:
 
– Raramente, se non mai, si è vista un’analisi interna espressa in termini così franchi. Di solito, per evitare di irritare qualcuno, rapporti di questo genere vengono attentamento soppesati – e questo finisce per essere il modo migliore per preservare lo status quo. Ancor più, le testate tendono a prendere le distanze e a non avallare in prima persona le conclusioni provenienti dal “management”. Nel caso del Times, invece, il documento è stato espressamente approvato dalla direzione (Abramson e il suo secondo al comando, Dean Baquet, che ora è al vertice del giornale).

 

Filloux a questo punto cerca di ricostruire cosa c’ è dietro l’ intento originale di questo documento e quindi dietro l’ interrogativo: ‘’perché reinventare il quotidiano, rapidamente e da cima a fondo’’?
 
Fino alla scorsa settimana, il riferimento in materia – scrive – era una email inviata nel gennaio 2013 da Lionel Barber , direttore del Financial Times (il testo completo è sul Guardian), in cui stabiliva una chiara tabella di marcia per lo spostamento delle risorse dalla stampa al digitale:
 

[ Noi] proponiamo un trasferimento di alcune risorse dal lavoro notturno a quello diurno e dalla stampa al digitale. Ciò richiede un forte impegno del FT per formare i nostri giornalisti ad operare al meglio delle loro capacità . E richiede una leadership decisa e autorevole ( … )
A desk unificati, dobbiamo diventare editor di contenuti piuttosto che di pagine. Dobbiamo ripensare il modo con cui pubblichiamo i nostri contenuti, quando e in che forma, se attraverso notizie convenzionali, blog, video o social media.

 
Un anno dopo i numeri chiave del FT erano impressionanti:

 

– Nel 2013 un profitto per 55 milioni di sterline (92milioni di dollari, 67 milioni di euro) per il Gruppo FT (che comprende la quota Pearson del 50 % nel Gruppo Economist); pari a un aumento del 17 % , mentre le vendite sono leggermente in calo, con un meno 1%, a 449 milioni di sterline (755 milioni di dollari, 551 milioni di euro).

– 415.000 abbonati digitali ( +31 % in un anno), che rappresentano i due terzi dell’ audience totale del FT ( 652.000 complessivamente: +8 %, includendo una impressionante crescita del 60 % degli utenti aziendali,  a 260.000)

– Un aumento degli abbonati digitali che compensa il calo della pubblicità che ora è pari al 32 % del fatturato del FT Group mentre toccava il 52 % nel 2008.

– Per la prima volta nel 2013 i ricavi dei contenuti digitali hanno superato quelli da carta.

 

Il FT sarà pure in vendita, ma il suo management ha fatto abbastanza bene.
Riecheggiando l’ analisi di Lionel Barber sulla riassegnazione di risorse- continua Filloux -, il Rapporto sull’ Innovazione del New York Times usa dei termini altrettanto forti.
 


Nei prossimi anni , il New York Times ha bisogno di accelerare la sua transizione da giornale che produce anche del giornalismo digitale ricco e di forte impatto in una testata digitale che produce anche un quotidiano ricco e di forte impatto. Non è una questione di semantica. Si tratta di una trasformazione critica, difficile e , a volte, dolorosa, che ci chiederà di ripensare gran parte di ciò che facciamo ogni giorno. [ pagina 81 ]

Gli articoli in genere vengono messi a punto a fine giornata. Le nostre applicazioni mobili sono organizzate seguendo le sezioni del giornale di carta. I desk seguono e costruiscono meticolosamente le varie sezioni ma non dedicano molto tempo a pensare alle strategie social. Le competenze del giornalismo tradizionale sono la priorità assoluta nelle assunzioni e nelle promozioni. Le abitudini e le tradizioni costruite in oltre un secolo e mezzo di giornalismo su carta sono una potente forza conservatrice nella transizione al digitale – non c’ è niente di più forte dell’ attrazione gravitazionale della Prima Pagina. […] è diventato sempre più chiaro che non ci stiamo muovendo con abbastanza urgenza. [ pagina 59 ]

 

La redazione dovrebbe iniziare una revisione intensa delle tradizioni della carta e delle esigenze del digitale – e creare una road map per la difficile transizione che abbiamo davanti . Abbiamo bisogno di sapere dove siamo, dove stiamo andando e dove vogliamo andare. [ pagina 82 ]

Citazioni dal dibattito interno a  una testata giornalistica che non ha mai rinunciato al grande giornalismo che, secodo Filloux, possono essere utili per tutti coloro che stanno lottando disperatamente per trasformare le redazioni . Ed è anche un appello alla necessità di disfarsi dell’ ossessione per il primato della carta.

 

Che, dice Filloux:

 

– Impedisce di modernizzare il processo di reclutamento visto che i giornalisti sono ancora troppo spesso scelti per le loro capacità di scrittura, mentre sono necessari molte altre competenze e capacità.

– Limita le iniziative per lo sviluppo del rapporto con il pubblico. Nelle redazioni attuali orientate tutte intorno alla carta, la maggior parte dei redattori e di chi scrive considerano concluso il proprio lavoro una volta che l’ articolo è stato depositato nel CMS (nel sistema editoriale). Peccato che invece, in tutte le testate digitali di rapida crescita, come Buzzfeed, HuffPo, Politico, Quartz , Vox Media, che ormai fanno pienamente parte del panorama mediatico, pubblicare la storia online è in realtà solo l’ inizio. La capacità di provocare il riverbero di una notizia all’ interno della sfera sociale è oggi importante quanto la qualità della scrittura.
– Come viene indicato nel Rapporto del  Times, convincere una testata sull’ obbligatorietà del cambiamento nel campo delle risorse è solo una parte del percorso; la maggior parte del peso della trasformazione è sulle spalle della redazione.
– Al New York Times come ovunque, la vecchia guardia (indipendentemente dall’ età, in effetti)  è il principale ostacolo al riavvicinamento fra momento editoriale e momento economico. Per esempio, rifiutando l’ idea che il branded content possa essere avere un grande beneficio dalle competenze della redazione (anche se tutti sono d’ accordo che a un giornalista non si deve mai chiedere di scrivere un pubbliredazionale) o che una conferenza possa essere un’ iniziativa editoriale efficace rivolta a un segmento di pubblico di buon valore, le posizioni conservatrici stanno di fatto ridimensionando l’ azienda fino a ridurla alle sue componenti più fragili.

 

– Lo stesso vale per gli aspetti relativi all’ analytics. Ho visto decine di esempi in cui le redazioni chiedevano  ulteriori strumenti e indicatori ma poi li utilizzavano raramente. Gli editor dovrebbero essere sostenuti da squadre di tattiche di analisi (anche a livello delle riunioni di redazione) in grado di fornire le tendenze di breve e medio termine oltre a strumenti decisionali sul piano editoriale.

Una delle parti più difficili della trasformazione dei media tradizionali non viene però affrontato né nel Rapporto del Times né in quella del FT. Essa – conclude Filloux – riguarda il futuro degli stessi giornali fisici (il layout del Times rimane terribilmente fuori moda). Come dovrebbe evolvere? Quali dovrebbero essere i loro obiettivi primari per affrontare e sedurre un pubblico ormai sopraffatto dalle valanghe di notizie-commodity? Quali dovrebbero essere i principali KPI (gli Indicatori chiave di efficacia) di un giornale moderno? E quali dovrebbero essere i contenuti: tipi di storie, lunghezza, attualità temporale, valore aggiunto? E dovrebbe continuare a restare quotidiano?

 

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