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Freedom of information act: perchè i media italiani lo ignorano?

Gli anglofili lo conoscono come Freedom Of Information Act, l’ acronimo F.O.I.A. circola liberamente in rete e sui giornali di carta da anni, se non decenni; i paesi più evoluti lo hanno adottato da tempo, negli Stati Uniti è legge dello stato dal 1966, da noi non è nemmeno nei pensieri del legislatore.

 

O meglio, era stato inserito nei proclami del nostro premier.
 

Addirittura era il primo punto del suo programma di governo, quando ancora era un sindaco quasi segretario di partito con buone chances di arrivare in vetta e comandare il Paese. Poi più niente. Nessuna commissione. Nessun percorso parlamentare. Nessun accenno in successivi proclami.

 

Abbiamo provato a parlarne a #digit14 assieme a Raffaele Fiengo, giornalista e professore universitario e promotore assieme a tutti noi di Lsdi da anni di un F.O.I.A. italiano, Peter Gomez co-fondatore del Fatto Quotidiano e direttore del Fatto Quotidiano.it, Marco Giovannelli direttore di Varese News, Angelo Cimarosti fondatore di You Reporter e Daniele Chieffi responsabile comunicazione digitale di Eni.

 

Di seguito il primo dei video del panel del 20 settembre scorso e la trascrizione integrale dei primi interventi. Seguiranno gli altri, con relativa trascrizione di ogni singolo intervento.

Buona lettura/visione/partecipazione/condivisione/discussione.

 

 

Raffaele Fiengo:

<< Nel titolo di questo panel – ‘‘Perché i media italiani ignorano il Foia?’‘ – c’ è un giudizio drastico sullo stato del giornalismo italiano rispetto a uno strumento manchevole. l’ assenza di un FOIA e quindi il fatto che la comunità non abbia accesso continuo e libero ai fatti pubblici che si creano è un vulnus che sta contribuendo al declino del Paese.

Il fatto poi che i direttori dei giornali non sembrano preoccuparsene è un’ aggravante.

 

Realisticamente l’ assetto generale dell’informazione, il giornalismo della rete, quello paludato e mainstream, quello delle imprese, fa a meno di un elemento indispensabile che è quello di rapportarsi con la comunità attraverso un’informazione tempestiva. Io esagero ma scriverò il capitolo finale di un libro intitolandolo “il giornalismo che non c’ è”.

 

Citerò due esempi. In questo periodo il Corriere della Sera come sapete versa in condizioni economiche difficili e il management sta realizzando azioni a dir poco singolari. Una è che la Gazzetta dello Sport ha creato una propria società di scommesse sportive…allucinante. Ma in questo quadro Rcs vuole vendere un terreno in Milano, un parco, che ha un campo di calcio, dei campi da tennis, bocce, 408 alberi di pregio; un terreno donato dalla vecchia proprietà Crespi ad una funzione civile e così anche definita nelle carte del Comune.

 

Io ero stato incaricato di andare a vedere. Al Comune di Milano non si trovavano le carte. E negli uffici competenti mi hanno detto “nella nostra prassi se un procedimento è ancora in corso gli atti preliminari non vengono dati”. Allora gli ho citato la convenzione di Ahrus e altri atti e alla fine dopo un lungo tempo e forse perchè un pochino intimiditi dalla mia conoscenza della materia mi hanno fatto vedere queste carte. “Non si spaventi – mi hanno apostrofato – perchè al posto del prato ci sono disegnate 14 palazzine”. Ecco la ragione per cui l’ atto è segreto.

 

Il secondo episodio che vorrei citare riguarda una tesi di laurea che ho assegnato ad una mia studentessa sul giornalismo di guerra: ho chiesto alla mia allieva di confrontare la strage di My Lai con la strage del ponte di Nassiriya . Fuoco amico che uccide cittadini inermi. Cose che possono capitare ma rispetto a Nassirya la stampa italiana non ha diffuso la notizia o l’ha diffusa in modo molto poco evidente. Una notizia che poteva invece generare una grande operazione di trasparenza di atti e completezza dell’informazione.

 

Pensate ai 300 naufraghi di Lampedusa. In quell’occasione io e l’avv. Belisario avevamo preparato per i giornalisti presenti una domanda per la capitaneria di porto per avere le email che avevano mandate ai comandi per sapere se dovevano intervenire per salvare la gente. In questo modo la polemica sulla legge Bossi-Fini si sarebbe liberata dallo scontro politico e con l’ausilio dei dati si sarebbe chiarito se l’applicazione di questa legge è stata in qualche modo la causa della morte di 300 persone, per i ritardi nella macchina dei soccorsi.

 

Gli stessi giornalisti hanno rifiutato di porre questa domanda. Non è nelle abitudini nostre. L’ assenza grave da parte di tutti i direttori. Il presidente della Fieg uscente mi ha confessato l’ indifferena totale delle imprese giornalistiche del cambiamento in atto nel giornalismo. Questa è una sede in cui cominciare un discorso. Il giornalismo italiano nel cambiamento manca di un elemento essenziale perchè i tre elementi: la comunità, la cosa pubblica e l’informazione non sono in una sintonia corretta perchè l’informazione non è tempestiva e non è autentica per mancanza del FOIA. Evento singolare visto che nel ‘400 a Siena già esisteva qualcosa di simile. Se un funzionario pubblico di Siena non rispondeva alle domande sul suo operato da parte dei cittadini riceveva una multa pesantissima.

 

Peter Gomez:

 

<< Io vorrei partire da un esempio, che poi è uno dei motivi scatenanti della nascita del Fatto Quotidiano. Quando siamo andati in edicola, la prima notizia con cui partiamo è la notizia scritta da me e Marco Lillo che riguardava un’ indagine della magistratura su Gianni Letta. Non si trattava di un nostro scoop, bensì di una notizia nota a quasi tutta la stampa italiana, addirittura già uscita come breve su una prima edizione de La Repubblica per poi scomparire sulla seconda edizione del quotidiano di Scalfari.

 

Noi abbiamo voluto raccontare questa notizia non tanto perchè Letta fosse un politico quanto perchè in quel momento Letta era sottosegretario del governo in carica con delega all’ editoria. Questo fatto è emblematico di quello che accade nella stampa italiana: da una parte è un problema storico legato agli editori, abbiamo troppi editori che non sono editori puri e che non ambiscono a guadagnare con il loro giornale ma che vogliono attraverso il loro organo di informazione interloquire con il potere.

 

L’esempio classico di tutto questo è rappresentanto dagli Angelucci gli editori di Libero che sino a qualche tempo fa editavano anche Il Riformista. Perchè gli Angelucci avevano un giornale di destra e uno di sinistra ? Perchè il loro core business erano le cliniche e per avere cliniche convenzionate era necessario convenzionarsi a volte con regioni di destra e con regioni di sinistra. Secondo me è emblematico della questione della stampa italiana e perchè la stampa stessa non reclami tutti quegli strumenti che sono gli strumenti caratteristici di tutte le democrazie più evolute nel cercare non solo di riportare notizie ma di svolgere il proprio fondamentale ruolo di controllo del potere. Nel momento in cui gli editori non hanno come proprio obiettivo il “far soldi” tutto questo viene a cadere.

C’è uno studio molto interessante di una serie di storici dell’economia americani che lega l’innovazione tecnologica e la diffusione di massa dei giornali con la diminuzione di tasso di corruzione tra le loro classi dirigenti. Durante tutto l’800 negli States le classi dirigenti americane venivano considerate le più corrotte di tutto il mondo. I giornali generalmente all’ epoca erano legati al potente locale e venivano pubblicati localmente cittadina per cittadina. Nel momento in cui l’ innovazione tecnologica attraverso l’ introduzione delle rotative ha permesso di stampare migliaia e migliaia di copie e quello diventa un business, una serie di imprenditori si dà all’editoria su larga scala ed essendo editori puri si rendono conto che ad interessare molto al pubblico non sono solo le “tre esse del giornalismo: sangue, sesso, soldi”, ma anche i comportamenti degli amministratori pubblici.

 

Ciascun lettore vuole sapere come vengono spesi i soldi dei contribuenti. E in questo modo fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 inizia una guerra fra editori a colpi di scoop su sindaci, governatori e membri del congresso che porterà ad un miglioramento della classe dirigente, nessuno vuole essere sputtanato e finire sui giornali.

 

Questa è un pò, secondo me, la chiave di lettura da cui dobbiamo partire se vogliamo interpretare quello che è accaduto nel nostro Paese. Non mancano ottimi giornalisti in questo o quel giornale. Ma le scelte che vengono fatte a livello editoriale sono scelte di tipo diverso. Del resto lo sappiamo, lo dice il contratto di lavoro giornalistico. Il garante dell’ autonomia della redazione è il direttore ed è l’unico che può interfacciarsi con l’editore, nel momento in cui a causa dell’innovazione tecnologica e a causa del mutamenti di comportamento da parte dei lettori e di tutti noi che abbandoniamo progressivamente la carta per rivolgerci al digitale; nel momento in cui i direttori si trovano in acque particolarmente brutte a causa della crisi economica e hanno brutti bilanci, scade anche la qualità giornalistica.

 

Un cane che si morde la coda. Ci sono ottimi giornalisti. Meglio nelle altre testate che da noi anche solo per il grande bagaglio di esperienza. Io penso però che i lettori si accorgano di una serie di differenze. Vi faccio un esempio pratico: Repubblica di oggi (20 settembre): ieri il Fatto Quotidiano da una notizia che ha una rilevanza politica importante, racconta come il candidato alla Corte Costituzionale Donato Bruno sia sotto inchiesta ad Isernia, ovviamente per Bruno come per tutti vale la presunzione di innocenza. E’ altrettanto vero che da un punto di vista etico, politico e morale è inusuale, non è mai successo, che venisse eletto alla Corte Costituzionale qualcuno che avesse un’inchiesta in corso, se non altro perchè se l’inchiesta andasse male ci troveremmo con un giudice che potrebbe essere condannato o in conflitto di interesse e alla fine decidere una eccezione di costituzionalità sul proprio processo. Questa è evidentemente un’enormità ed è una delle cause per le quali siamo criticati all’estero. Uno dei problemi che viene spesso sollevato da imprenditori ed economisti esteri è la diffusa illegalità presente nel nostro Paese a tutti i livelli, corruzione, mafia, burocrazia inefficente.

 

Oggi Repubblica decide di riprendere questa notizia con rilevanza di piede in basso. Io penso che questo non vada inquadrato nella classica invidia fra giornali e che quindi un pezzo non si riprende perchè lo scoop l’ha fatto un altro. Io penso, ed è una mia opinabilissima opinione, che sia una legittima scelta di linea politica di Repubblica che però si può rivelare da una parte una scelta editoriale controproducente e un pessimo esempio per le classi amministrative del Paese.

 

Abbiamo un difetto culturale legato al fatto che proveniamo dal ‘900, la storia di molti di noi che siamo più anziani è una storia novecentesca, e si pensa che i giornali possano o abbiano il compito ancora di influenzare in qualche modo la politica. Secondo me questo è un punto di vista sbagliato. Per me il nostro primo compito come giornalisti è duplice: dire la verità, e cercare di guadagnare e far guadagnare il più possibile i nostri editori. Abbiamo il dovere di farci leggere. Perchè la sostenibilità economica è uno dei cardini della nostra indipendenza. Questa scelta è doverosa da parte nostra ma è una scelta che gli editori non condivono.

 

Pensiamo a quello che sta per accadere al Corriere della Sera, ne parlavo prima con Raffaele Fiengo. Si parla sempre più insistentemente di una sorta di maxi testata unica che andrebbe in un prossimo futuro a inglobare Corriere, Stampa e Secolo IXI. Raffaele sollevava tutti i problemi legati alla perdita di pluralismo rispetto all’informazione nazionale e io sono d’accordo però dall’altra parte però secondo me con perdite economiche come questa i giornalisti sono inermi dal punto di vista editoriale quella è la soluzione più semplice da perseguire per tentare di tenere in piedi tutto quel sistema.

 

Dobbiamo, ribadisco, farci leggere il più possibile e per farlo c’è un unico sistema, dobbiamo scrivere quello che cercano i lettori sia online che sulla carta. Io voglio leggere qualcosa che non so che non ho trovato da un’altra parte. E questo riguarda qualunque settore.

 

Chi si trova al potere ha la tendenza ad eternare se stesso. Le notizie invece tradizionalmente rendono il re nudo. Non solo migliorano alla lunga i comportamenti della classe dirigente. Ma nell’immediato sono assolutamente scomode. Quindi io immagino che questa giusta battaglia per l’adozione di un FOIA anche in Italia, una battaglia giusta per i giornalisti non l’affronteremo con gli editori al nostro fianco. Gli editori in buona parte hanno interessi diversi da questo.

 

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