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First Line Press: l’ utopia del giornalismo indipendente

Dopo poco più di due anni di vita ha chiuso i battenti First Line Press, una delle realtà giornalistiche italiane più interessanti e originali dell’ ultimo periodo, creata da tre giovani freelance che hanno tentato di smuovere e rinnovare il panorama nazionale dell’ informazione.
 
Un sito e un magazine fatti da giovani con un’ età media di 30 anni che fornivano approfondimenti e reportage di qualità, ottenendo un ottimo riscontro dalla comunità di lettori che si era creata attorno al progetto.

 

Lsdi ha intervistato Domenico Musella e Lorenzo Giroffi, due dei fondatori della testata.

 

A cura di Fabio Dalmasso

 

Come e quando è nata First Line Press?

 

L’idea nasce nell’estate 2012, e si concretizza nell’ autunno dello stesso anno, da parte di quello che era il nucleo iniziale, cioè noi due – Domenico Musella e Lorenzo Giroffi – e Andrea Leoni, tutti freelance passati attraverso varie esperienze di lavori in giornali, radio, media in generale, stage non pagati etc… cioè tutta la classica trafila. Abbiamo quindi deciso di fare questo esperimento, cioè unirci come freelance e gestire autonomamente un sito Internet nel quale non dovevamo sottostare a tutta una serie di ricatti o scelte altrui che avevamo vissuto in altri posti di lavoro.

 

Perché avete scelto questo nome?

 

L’ idea di base, cioè quello che costituiva la caratteristica principale del nostro giornale, era “la prima linea”, da cui il nome, First Line Press. Prima linea perché ci siamo trovati tutti tre a fare dei viaggi come freelance e a raccontare le storie che incontravamo. Quello che, se vogliamo, dovrebbe essere il lavoro canonico dell’ inviato di una qualsiasi testata, ma che purtroppo le attuali condizioni dell’ informazione impediscono di fare all’ interno di testate mainstream e conosciute. La maggior parte delle testate, infatti, anche quelle di grossi editori, si appoggiano sostanzialmente sui freelance. Qualcuna ha corrispondenti e inviati, ma, spesso, avendoli visti e conosciuti nei diversi luoghi dove abbiamo lavorato, gli inviati “arruolati” nei media mainstream non vanno molto tra le persone, sulla prima linea appunto. Abbiamo quindi deciso di metterci in proprio e pubblicare sul sito alcuni nostri lavori.

 

Come riuscivate a sostenervi economicamente?

 

Dal punto di vista economico, l’idea iniziale era quella di arrivare a una forma se non di totale auto sostentamento, comunque di un rimborso delle spese di gestione e del nostro lavoro. Abbiamo iniziato con obiettivi abbastanza ambiziosi: oltre alle storie di approfondimento, che rappresentavano il cuore del nostro lavoro, abbiamo deciso di inserire anche un flusso giornaliero di notizie che è proseguito per circa sei mesi. Si trattava di sei articoli quotidiani: due più approfonditi, cioè reportage nostri o lavori fatti con un approfondimento più particolareggiato, e altri quattro brevi molto focalizzati sugli esteri, il settore in cui l’ informazione italiana è meno attrezzata e fornita. C’erano anche alcune notizie sulla realtà italiana, ma anche in questi casi abbiamo sempre cercato di fornire un’ informazione da una prospettiva diversa, quasi come se fossimo all’estero e stessimo guardando cosa stesse succedendo in Italia.

 

Sul sito ci sono anche degli e-book scaricabili

 

Si, parallelamente al sito abbiamo infatti portato avanti altri progetti, sempre come First Line Press. Uno di questi è stata appunto la pubblicazione di e-book. Ne sono usciti alcuni, sempre di storie conosciute viaggiando, come ad esempio Vene Kosovare, una sorta di diario scritto da Lorenzo Giroffi in Kosovo, e Latitudini dell’Immaginario – Memorie e conflitti tra la Jugoslavia e il Kosovo di Gianmarco Pisa, una delle persone che ci hanno sostenuto in questo cammino. Un’ altra caratteristica da sottolineare è che, per scelta, abbiamo voluto aprire il sito ad altre voci, lanciando dei piccoli blog, però esclusivamente fatti da persone che volontariamente davano il loro contributo, quindi senza i ritmi di una redazione, senza una cadenza fissa, senza obblighi particolari: solo persone che spesso erano coinvolte in associazioni e progetti di volontariato e che avevano una tribuna alternativa per raccontare il loro lavoro. Inoltre lo scorso anno abbiamo allargato la redazione trovando altri “pazzi” che condividevano appieno il progetto.

 

Ho visto che avevate anche un vero e proprio magazine, scaricabile in pdf (qui l’ultimo numero)

 

Si, diciamo che abbiamo voluto cambiare la prospettiva del sito, organizzando diversamente il lavoro, riducendo il flusso di notizie quotidiane e focalizzandoci sull’ approfondimento. Già nel primo periodo c’ era il Settimanale di First Line Press, un magazine che ospitava gli articoli più approfonditi: con la nuova redazione l’ abbiamo trasformato in una sorta di rivista on-line, cioè il First Line Press Magaizne, di cui era disponibile il pdf. L’ idea era di diffonderla in futuro anche su stampa.

 

Un altro obiettivo era quello di provare ad avere un rapporto diretto, personale con il pubblico, calare cioè nel vivo l’interazione che si era creata con i lettori sui social media o tramite commenti sul sito, incontrare quindi dal vivo queste persone. Cosa che abbiamo fatto in alcuni eventi portando gli e-book e copie del magazine stampate. Tutto questo sempre autofinanziandoci.

 

Avete avuto riscontri positivi del vostro lavoro?

 

Sicuramente si, sia con i commenti sui social media che durante gli eventi fisici, organizzati da noi oppure con stand e interventi durante alcune manifestazioni. Il riscontro è sempre stato molto positivo, si è creata una comunità di lettori che si è fatta sentire anche nell’ ultimo periodo quando già c’erano alcune avvisaglie della fine con il rallentamento dell’ aggiornamento del sito.

 

La mancanza di un editore ha significato libertà e indipendenza, ma anche mancanza di fondi: è questo che ha causato la fine del progetto?

 

Sicuramente è stato un fattore importante, ma più che di un editore direi la mancanza di una forma di finanziamento che non necessariamente deve passare attraverso un editore. L’ obiettivo iniziale era quello di riuscire a auto sostenerci attraverso la realizzazione di una comunità, campagne di sponsorizzazione etica e raccolta fondi. Dico sponsorizzazione etica perché su Internet è possibile a ricorrere a pubblicità come Google Ads e simili, ma per scelta non abbiamo voluto questo tipo di sponsorizzazione perché le storie che raccontavamo spesso denunciavano azioni poco simpatiche fatte da aziende e multinazionali e ritrovarcele a fianco alla notizia come pubblicità sarebbe stato poco coerente, sarebbe andato contro il senso del progetto.

 

Quindi per voi è comunque possibile fare del giornalismo indipendente?

 

È possibile, ma è molto, molto difficile. Bisogna riuscire a mobilitare tutta una serie di interessi e finanziamenti, una comunità che sostenga il progetto e la cosa può richiedere anni, con uno sforzo, inoltre, enormemente maggiore rispetto a un progetto tradizionale. Avendo una motivazione molto forte e riuscendo a fare un prodotto di qualità, nel lungo periodo, è possibile. Ripeto, per farlo sono necessari molta forza di volontà, motivazione, un gruppo unito e disposto a fare una serie di sacrifici. Questo se si vuole fare un progetto professionale, altrimenti esiste anche un’ottima informazione fatta a livello di volontariato o sui blog, ma non era il tipo di informazione che ci interessava. Volevamo essere una realtà professionale a tutti gli effetti e farlo in maniera indipendente.

 

Nel vostro comunicato di chiusura dite che il sito “resterà attivo, come una sorta di magazzino e di archivio, perché crediamo che in questi due anni qualcosa di buono siamo riusciti a realizzarlo e ci sembra giusto lasciarne una testimonianza”.

 

Si, il sito resta perché quello che abbiamo fatto voleva essere un racconto della storia contemporanea: non voleva solo essere cronaca, inseguire le notizie e lasciarle lì. Quello che abbiamo fatto è stato raccontare la storia dei tempi che viviamo e vogliamo che la memoria resti. Poi magari potremo ripartire con altri progetti che possano andare oltre l’ editoria, creare anche fisicamente posti dove poter sperimentare forme di comunicazione e nuove forme di incontro.
 

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