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Basta con l’ ”aggratis”: dare voce agli autori web sottopagati e sfruttati

Slate.com: 300 dollari per una recensione o un pezzo di critica di 1.000-2.000 parole (con diritto di ripubblicarlo altrove dopo 3 mesi). Vice.com: 50 dollari per un post semplice, 100 per un pezzo di 500 parole con citazioni originali, 250 per un’ analisi articolata di 1000-1250 parole. Ampie ma concordate le limature degli editor.

 
Per testate importanti (The Atlantic, Salon, The Nation) si va dai 100 ai 250 dollari per pezzi online, qualcosa di più se si riesce a raggiungere il cartaceo, dove si paga ancora a parole, ma meno per recensioni o racconti.

 

Queste solo alcune delle tariffe comunemente in vigore per chi riesce a farsi commissionare un articolo su vari siti e riviste Usa, blasonate o meno. Almeno secondo “Chi paga gli autori?“, una sorta di database che raccoglie proprio questo tipo di segnalazioni. Si tratta ovviamente di un elenco anonimo e di taglio crowd-sourcing, con annesso account Twitter (@whopayswriters), curato dal team di una nuova avventura digitale – Scratch Magazine – il cui motto è “Writing + money + life” (ovvero, farsi pagare e campare scrivendo).

 

Iniziativa decisamente utile, soprattutto in questi tempi di freelancing diffuso e (peggio) lavoro gratuito con la scusa della visibilità online, per mettere allo scoperto una piaga che riguarda le tante testate che traggono vantaggio dall’entusiasmo di giovani autori disposti a scrivere comunque e “aggratis”.

 

Oltre a interventi quotidiani sul sito, Scratch Magazine è una rivista trimestrale (20 dollari l’ abbonamento annuale, 6 dollari a numero e relativa app per iOS) con approfondimenti, interviste e analisi che affrontano il quadro economico dietro l’ editoria online Usa, visto dalla parte degli autori o dei potenziali giornalisti, troppo spesso “sfruttati e felici”.

 

Il tutto è nato proprio da conversazioni tra Manjula Martin, freelance che ha avviato il progetto insieme a Jane Friedman, e alcuni di questi autori sul fatto che tante pubblicazioni online chiedono donazioni o sono zeppe d’ inserzioni eppure non pagano i collaboratori. La stessa Martin racconta fra l’ altro di una recente esperienze in cui, dopo aver sudato non poco per concordare un certo articolo, si è resa conto che i responsabili della pubblicazione davano per scontato per lei avrebbe fatto tutto gratis.

 

In beve, con il prestigio e la visibilità non ci si paga l’affitto, questo il messaggio di Scratch Magazine, i cui obiettivi vengono sintetizzati così: «offrire consigli per aspiranti reporter interessati a fare giornalismo di alta qualità, e a farsi pagare il dovuto, esplorando i modi in cui in cui s’ intersecano arte e commercio nel lavoro, nella vita e nell’ editoria. … Nessuno sa come funzionano davvero queste cose, e Scratch non pretende di avere tutte le risposte, ma sappiamo che il futuro dei mezzi d’ informazione è intelligente, flessibile, e assolutamente trasparente. Ed è tutto nelle nostre mani».

 

Insomma, un onesto tentativo di base di portare alla luce questo mondo sommerso e le sue palesi contraddizioni, almeno nell’odierno ecosistema mediatico Usa. E in Italia, dove tutto ciò è da tempo la norma, a cominciare dai grandi quotidiani? Vogliamo mica sollevare il coperchio di questo vaso di Pandora…?

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