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Turchia: Twitter vs. mainstream media

“Il sistema nervoso di questo movimento, che non ha eguali nella storia della politica turca, sono i social media (“la più grande minaccia”, come li ha definiti Erdoğan)”, ha scritto il 5 giugno sul quotidiano Radikal Serdar Kuzuloğlu, esperto di comunicazione e giornalista.

In Turchia si stanno ripetendo i meccanismi  alla base di molte fasi della cosiddetta ‘’primavera araba’’ e i social media si confermano uno strumento chiave della lotta politica e dei movimenti per la democrazia.

E’ una delle questioni affrontate in un ampio dossier sulle recenti vicende della Turchia appena pubblicato sull’ Osservatorio Balcani e Caucaso.

 

In uno degli articoli, in particolare,  Alberto Tetta  analizza il ruolo di Twitter (‘’Twitter conteso’’) raccontando che

 

‘’ per gli attivisti che stanno scendendo in piazza in questi giorni in Turchia i social media sono uno strumento indispensabile per organizzarsi e tenere informata l’opinione pubblica sulle proprie iniziative ma per il primo ministro Erdoğan rappresentano una minaccia’’.

 

Tetta analizza in particolare il ruolo incerto e ambiguo dei media tradizionali, osservando come,

 

dopo il ritiro della polizia da Piazza Taksim il primo giugno e la riconquista da parte dei manifestanti del Parco Gezi migliaia di persone hanno protestato davanti alle sedi delle emittenti Ntv e HaberTürk e del quotidiano Sabah contro “il silenzio della stampa”: “non vogliamo media partigiani” lo slogan più gettonato. Critiche che insieme alle dimissioni di importanti giornalisti e conduttori come Ömer Aykar, Dilara Eldaş e Mehmet Turgut, hanno spinto alcune emittenti a cambiare linea dando maggiori informazioni sulle manifestazioni.

 

“Tentando di essere imparziali abbiamo fatto degli errori e ce ne scusiamo – ha scritto il 4 maggio in un messaggio ai propri dipendenti, ripreso dai media, il presidente del gruppo Doğuş Cem Aydın a cui fa rifermento l’emittente Ntv, una delle all-news più importanti del paese – Siamo consci del fatto che abbiamo lavorato molto per conquistare la fiducia che le persone avevano in noi. Abbiamo sbagliato, ce ne scusiamo. D’ora in poi faremo il nostro lavoro nel modo più corretto possibile”.

 

Nonostante l’inversione di tendenza di emittenti come CnnTürk, Ntv e Sky, i sostenitori del movimento Occupy Gezi non si fidano dei media tradizionali – secondo un sondaggio realizzato dai ricercatori dell’Università Bilgi di Istanbul il 91% di loro pensa che il silenzio dei media sia stato un elemento determinate nello spingere i cittadini a manifestare – e preferiscono comunicare e informarsi usando i social media o gli streaming video delle manifestazioni.

 

Proprio per permettere agli attivisti di Occupy Gezi di comunicare con l’esterno in maniera diretta il 6 giugno è nata la web-tv del Parco Gezi, si chiama “Çapul Tv”, “Tv Saccheggio”, termine usato con ironia dai manifestanti da quando Erdoğan, la scorsa settimana ha definito i cittadini che manifestavano “çapulcular” (vandali, saccheggiatori, in italiano).

 

“Il sistema nervoso di questo movimento, che non ha eguali nella storia della politica turca, sono i social media (“la più grande minaccia”, come li ha definiti Erdoğan)”, ha scritto il 5 giugno sul quotidiano Radikal Serdar Kuzuloğlu, esperto di comunicazione e giornalista, rilevando inoltre che “il coordinamento, lo scambio di informazioni, l’organizzazione delle manifestazioni che i media tradizionali hanno ignorato fino a quando migliaia di manifestanti non hanno protestato alla porta delle loro redazioni sono stati realizzati esclusivamente attraverso i social media. Video, foto, avvenimenti sono circolati online. Per questo si può dire che le manifestazioni per il Parco Gezi sono il primo movimento davvero fondato sui social media ”.

 

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