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Spagna, RSF denuncia repressione ed intimidazioni contro i fotografi

Madrid – L’ ultimo capitolo di una lunga serie di attacchi alla libertà di stampa in Spagna é stato scritto a metà mattina dello scorso 23 di maggio. La denuncia arriva da Reporteros Sin Fronteras (RSF), che dettaglia come una pattuglia della “Brigada de Información” – corpo speciale della polizia nazionale iberica – prelevava dalle loro case due fotografi indipendenti, Raúl Capín, collaboratore di Diario Digital Independiente e di Mundo Obrero; e il freelance Adolfo Lujàn. I due venivano portati in questura da agenti col volto coperto. L’ accusa: attentato contro l’ autorità.

 

La repressione e l’ intimidazione a giornalisti è un tema d’ attualità tra i professionisti spagnoli dell’ informazione. E in questi termini se ne fa eco RSF, riportando le opinioni di una ventina di fotogiornalisti sulla propria condizione di lavoro durante la copertura delle ultime proteste sociali. Secondo l’ Organizzazione, giornalisti e fotografi sono ormai “nel mirino delle forze di sicurezza statali per la loro costante copertura delle molteplici e crescenti proteste dovute alla situazione di crisi economica che attraversa il Paese”.

 

Il caso di Lujàn e Capín ha peró riaperto una ferita mai cicatrizzata. I due erano stati identificati mentre svolgevano il proprio lavoro, rispettivamente il 25 aprile e il 23 febbraio del 2013. Nessuno di loro, peró, era poi stato informati delle accuse ricevute. Come conseguenza dell’ arresto, “un’ esagerazione” secondo i colleghi intervistati da RSF, i due hanno passato 24 ore tra interrogatori e cella.

 

Nessuno dei due fotografi apparteneva ad una testata tradizionale e, anzi, coprivano le proteste per conto dimedia indipendenti e chiaramente posizionati a favore delle stesse. Tanto che, poco piú di un mese prima dell’ arresto, il quotidiano conservatore ABC parlava di questo tipo di professionisti come di “estremisti infiltrati nelle manifestazioni”, citando informazioni interne al corpo nazionale di polizia.

 

Il Ministero dell’ Interno spagnolo, da parte sua, chiede dal febbraio del 2012 che tutti i fotografi indossino una pettorina identificativa (bianco con la scritta “prensa” -stampa- in nero) in modo da non essere confusi con i manifestanti. Una richiesta accettata e in parte promossa da due grandi associazioni della stampa iberica, alle quali, peró, nessun periodista é tenuto ad essere affiliato per poter svolgere il proprio lavoro: non si tratta dunque di un’ identificazione che il Ministerio renda obbligatoria. Senza contare, inoltre, la sempre maggior presenza di “citizen journalists”, il cui diritto di informare viene relegato ad un secondo piano.

 

I due giornalisti del caso, Lujàn e Capìn, non portavano la famosa pettorina. Un oggetto che, secondo alcuni fotografi, come il freelance Mario Munera, serve solo a “far risaltare i giornalisti indipendenti sui giornalisti legati ai media ‘tradizionali'”.

 

Cristóbal Manuel, fotografo di El País dal 1985, ricorda come negli anni ’90 la situazione fosse la stessa: “la repressione sui fotogiornalisti durante proteste scomode continua ad essere la stessa”, dichiara a RSF, “ma oggi é piú sottile e diretta ai meno protetti, come i freelance o chi lavora per media piú piccoli”.

 

Un altro degli intervistati dalla ONG, il fotoreporter Gabriel Pecot, ricorda che nel settembre del 2011, fu identificato tre volte in una sola giornata di proteste e successivamente denunciato per ostacolare il lavoro della polizia. Fu un giudice chi stabilì la falsità dell’ accusa, basandosi su video e foto realizzati da altri giornalisti presenti alla manifestazione.

 

Uly Martín (El País) e Pedro Armestre (AFP), entrambi ben noti in Spagna, richiamano peró alla responsabilità: “Puó darsi che chi collabora con media indipendenti soffra di pú, ma alcuni hanno un’ attitudine eccessiva: non so che interesse informativo possa avere, per esempio, la faccia di un poliziotto antisommossa ritratto da mezzo metro di distanza”, afferma Martín.

 

“La critica al trattamento dell’ informazione é legittima, ma le aggressioni sono assolutamente intollerabili”, avverte Christophe Deloire, segretario generale di RSF. L’organizzazione ha rilevato una situazione simile in Francia, in occasione, lo scorso 26 maggio, delle manifestazioni contro il matrimonio omosessuale: “attacchi di questo tipo rappresentano un disprezzo del dibattito pubblico e costituiscono una grave deriva democratica. Non bisogna smetter di denunciarli”.

 

Daniele Grasso

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