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Quali trend per il giornalismo USA nel 2013? Le previsioni del Nieman Lab

Lasciatoci alle spalle un 2012 inevitabilmente ricco di alti e bassi, proviamo a vedere qualche previsione d’oltreoceano per i “nuovi giornalismi” nel 2013. A partire da quanto propone il Nieman Journalism Lab di Harvard, che ha interpellato all’ uopo un nugolo di smart people.

Fra le repliche più stimolanti, diversi sottolineano l’arrivo di utili innovazioni contenutistiche (quindi non solo tecniche) per le news sui device mobili di nuova generazione, che continueranno a conquistare ampie fette di mercato:

Nei prossimi 12–18 mesi, molte testate d’informazione superaranno la soglia del 50 per cento di utenti che leggeranno le news su smartphone e tablet che su computer desktop o portatili (Fiona Spruill).

 

Per il sempre critico Nicholas Carr, le trasformazioni cruciali dell’industria sono avvenute anni or sono, e da allora ha preso piede una “inquitetante stabilità” con cui avremo ancora a che fare per un bel pezzo.

In altri termini:

Il futuro è incerto, vero, ma è stato tale da tempo. […] Forse il 2013 sarà l’anno in cui finalmente smetteremo di parlare di “tecnologie dirompenti”, per dare così attenzione al nostro modo di usarle e vedere quel rimane e quel che cambia davvero.

C’è chi non manca di sottolineare come i social media andranno sempre più imitando il broadcast model, tipico della TV, perchè è quello più “palatabile per gli ultimi arrivati del social” ed è anche l’ambiente che gli “inserzionisti conoscono meglio e in cui sono disposti a spendere”.

 

Sul fronte opposto, Amanda Zamora si augura invece l’avvento di uno “slow movement nei social media”: l’abbandono dell’ossessione per le news in real time per creare invece narrative più ampie e articolate. Onde dar forza al “giornalismo nell’interesse pubblico”, che è poi la mission dell’organizzazione in cui lavora, ProPublica, e spingere alla partecipazione dei cittadini-reporter: è l’esempio del sito (in beta) Syria Deeply, che propone la mappatura della guerra civile in corso nel contesto delle fatalità e dei rifugiati sul campo.

 

Rimandando ulteriori previsioni alle pagine web del Nieman Journalism Lab, in prima fila rimane la spinosa questione del paywall, che sembra in arrivo perfino nel Bel Paese con l’Edicola Italiana. Analogo passaggio in arrivo, fra le parecchie testate USA, anche per il mensile The Atlantic. Va detto che solo dal 2008 i suoi contenuti erano stati “aperti” a tutti sul web, fatto che ha portato a discreti successi anche economici. Oggi però lo scenario generale è ben diverso, come puntualizza un’analisi di Forbes.com:

C’è bisogno di una “strategia olistica”, sostiene [il presidente] Scott Havens, indicando il New York Times come prova del fatto che il paywall può diventare opzione vincente per tutti, portando nuovi introiti per gli abbonamenti digitali senza limitare in modo singnificativo il traffico.

Ma i netizen ci staranno davvero? In attesa di capire meglio, è vero che il trend va prendendo ulteriormente piede — anche per le testate indipendenti. Lo rivela la mossa appena annunciata dal noto giornalista Andrew Sullivan: a partire dal primo febbraio, il suo blog The Dish lascerà il portale The Daily Beast, fondato nel 2008 e rilanciato a febbraio 2011 con l’incorporazione di Newsweek, che ha prodotto il suo ultimo numero cartaceo il 31 dicembre scorso. Il suo blog tornerà a essere, come in passato, del tutto indipendente. Nel motivare il cambio, lo stesso giornalista spiega fra l’altro:

Ecco il principio base: vogliamo creare un ambito dove siano soltanto i lettori a sostenere economicamente il sito. Non ci sarà nessun gruppo mediatico o venture capital a sovvenzionarci, e, fatto ancor più cruciale, niente inserzioni pubblicitarie a intralciare il progetto.

Tuttavia è ovvio che un simile business model non può certo funzionare per tutte le testate online, amatoriali o professionali: Andrew Sullivan è “forse uno dei cinque nomi che vantano una enorme seguito sul Web” e quindi può permettersi di avere il solo sostegno dei lettori — considerando altresì che “va stipendiato lo staff di tre persone ben pagate, oltre a costi enormi per banda e server e spese personali non da poco (nel cuore di Manhattan)”, come segnala uno dei tanti commenti che plaudono all’iniziativa.

 

Nel giro di 24 ore, al pomeriggio del 3 gennaio 2013, il blog segnala di aver già raggiunto 333.000 dollari, un terzo della somma annuale prevista, con quasi 12.000 sottoscrittori paganti (incluso il sottoscritto) alla media di 28 dollari l’anno (cifra minima 19.99 dollari). Altro dettaglio interessante, i micro-pagamenti sono gestiti da TinyPass, sistema di e-commerce progettato proprio per siti sostenuti direttamente dagli utenti.

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