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‘’Licenziare i fotografi? Agli editori sembra naturale, ma l’ erosione della qualità è dolorosa e pericolosa per la democrazia’’

L’ annuncio del licenziamento in blocco di 28 addetti alla Redazione fotografica del Chicago Sun-Times ha provocato una forte impressione negli ambienti giornalistici, non solo americani. ‘’Ma come è possibile?’’ si sono chiesti in molti. Tra l’ altro fra i licenziati c’ era anche un premio Pulitzer, John H. White, segnala Alan D. Mutter su Reflections of a Newsosaur.

E spiega amaramente: ‘’Certo, è tremendo ma non è assurdo. Nonostante il mio profondo rispetto per il fotogiornalismo e i fotoreporter, è chiaro che tecnologie relativamente economiche, affidabili e facili da usare, come quelle di smartphone, Photoshop e Instagram rendono possibile a chiunque, ovunque e in qualsiasi momento di scattare, addolcire e condividere una foto in qualsiasi momento’’.

 

E infatti, ogni giorno vengono pubblicate sul web 530 milioni di foto. Ma, conclude Mutter dopo una lunga analisi della situazione, ‘’l’  erosione insidiosa e implacabile della qualità dei giornali del paese non è solo dolorosa per i professionisti dell’ informazione e pericolosa per la salute della nostra democrazia . E’ anche un cattivo affare, perché, nel lungo periodo, i prodotti di cattiva qualità quasi mai hanno successo’’.

 

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How can they fire the photographers? Easy.

di Alan D. Mutter

(Newsosaur.blogspot.it)

 

(…)

L’ esplosione delle immagini prodotte dai cittadini è stata, appunto, esplosiva. Il numero delle foto pubblicate sul web dovrebbe toccare quest’ anno i 530 milioni al giorno, con un aumento di più del 10.000 (diecimila) per cento rispetto ai 5 milioni quotidiani del 2007,  secondo  Mary Meeker, del KPCB, una importante azienda della Silicon Valley. E’ importante segnalare che la tabella qui sotto riguarda solo Facebook, Flickr, Instagram e Snapchat. Ma una gran quantità di immagini vengono scaricate anche su vari altri siti.

 

E non ci sono solo le foto. YouTube riporta che  ogni minuto vengono scaricate 100 ore di nuovi video, mentre erano solo 10 ore al minuto nel 2007. Dieci volte in più.

 

Anche uno studente  di economia alle prime armi sa che la crescita dell’ offerta abbassa il prezzo che il consumatore è disposto a pagare, di qualsiasi cosa si tratti, dalle app agli zucchini. Per chi non è ancora troppo sveglio:

 

Quando un mercato è invaso da un particolare prodotto o servizio, il fattore primario che determina il valore dell’ oggetto in questione è la sua disponibilità.
Siccome uno staio di grano è un bene come un altro, l’ unica cosa che resta da decidere al Chicago Board of Trade è quanto vale in quel particolare momento. Quando il grano scarseggia, i prezzi aumentano. Quando ce n’ è in eccesso, i prezzi scendono.

 

Ecco. Riparliamo di fotografi:

 

L’ espansione in modo esponenziale della pubblicazione di immagini create dal cittadino significa che siamo arrivati ​​al punto che tutte le immagini sono disponibili. Come avevamo previsto qui nel 2007, questo rende i fotografi “le specie più a rischio nei nostri giornali.”

 

L’ esplosione dei contenuti nei media digitali, ovviamente, non si ferma a immagini e video. Si estende anche a notizie, informazioni, opinioni, libri auto-pubblicati, musica, dati e qualsiasi altra cosa che viene in mente.

 

Se l’ inondazione di contenuti generati dagli utenti può essere una miniera d’ oro per i consumatori, essa può essere disastrosa per la sopravvivenza dei creatori di contenuti professionali come i fotografi del Sun-Times.

 

Una volta che i manager dei Sun-Times hanno capito  che era possibile avere tutte le immagini di cui avevano bisogno, senza alcun costo aggiuntivo, da schiere di persone armate di iPhone o dal web, hanno  convocato i fotografi in una sala da ballo di un albergo all’inizio di maggio e li hanno licenziati. L’ azione è stata copiata immediatamente da una piccola catena di giornali in Georgia. E probabilmente verrà ripetuta ancora.

 

Certo, ci sono migliaia di argomenti giornalistici ed estetici per sostenere che non è possibile valutare una foto – o il suo autore – solo in dollari e centesimi. Ma qui stiamo parlando di industria. E tutte le aziende di media devono far quadrare il bilancio, comprese espressamente quelle senza scopo di lucro che vogliono continuare a produrre nel lungo termine.

 

Le regole della selezione naturale impongono di realizzare un profitto sufficiente a sostenere l’ attività da un anno all’altro. In caso contrario, l’ azienda chiude. Se i profitti sono insufficienti (o, peggio, assenti, come sembra sia il caso della società cui fa capo il Sun-Times), i manager hanno l’ obbligo inequivocabile di prendere le misure necessarie per cercare di passare dal rosso al nero.

 

La redditività un tempo tanto invidiata dei quotidiani si è afflosciata da quando i ricavi pubblicitari complessivi del settore hanno cominciato a precipitare dal livello record di 49,4 miliardi dollari raggiunti nel 2005. Oggi, essi sono meno della metà di quello che erano nel 2005 – e il calo non si ferma.

 

Quando i manager non possono intervenire sul lato vendite, l’ unica altra strada per mantenere la redditività è tagliare  le spese. La pratica è stata messa a punto alla perfezione dalla maggior parte dei giornali che negli ultimi anni hanno tagliato persino la tradizionale festa per gli auguri di Natale, ridotto i contributi malattia e i congedi non retribuiti, compresso lo spazio per le notizie, esternalizzato il lavoro pubblicitario, eliminato i supplementi televisivi, tagliato le redazioni e/o ridotto i giorni di uscita.

 

Il licenziamento dei redattori fotografi non era certo la prima misura di risparmio adottata dal Sun-Times, che aveva cercato di conservare la redditività di fronte alla costante contrazione dei ricavi pubblicitari. Vari editori della testata nel corso degli ultimi anni sono ricorsi ai licenziamenti, eliminato le edizioni locali poco redditizie e affidato all’ esterno, al Chicago Tribune, il ‘’nemico’’ storico, stampa e diffusione. Anche l’ accordo per la stampa in outsourcing è stata travagliata, e secondo notizie di stampa, il Sun-Times ha tardato a pagare le sue fatture,  annunciando al Tribune che avrebbe risolto il contratto nel 2015.

 

Se l’ eliminazione del reparto fotografico è stato doloroso da vedere, si tratta di una logica conseguenza delle tendenze inesorabili che stanno scardinando l’ attività dei media tradizionali:
∷ In primo luogo, le varie tecnologie digitali consentono a chiunque abbia un computer, uno smartphone, un tablet, una macchina fotografica o (presto) i Google Glass di essere un editore.

∷ In secondo luogo, i consumatori stanno esercitando quel potere in maniera vendicativa.

 

Prima delle macchine fotografiche digitali con la messa a fuoco automatica e la stabilizzazione dell’ immagine, la fotografia era scienza oltre che arte. Per produrre una grande immagine,  i fotografi non solo dovevano essere nel posto giusto al momento giusto, ma dovevano anche fare dei calcoli istantanei per stabilire la velocità dello scatto, la quantità di luce disponibile, e così via. Utilizzando dei mirini ottici invece che i display digitali, i fotografi dovevano impostare in maniera approssimativa l’ inquadratura delle loro immagini. Prima delle 35 mm. ad avanzamento rapido, non si potevano concedere il lusso di ‘’sparare’’ scatti a ripetizione nella speranza di catturare un’ azione. Dovevano fare un solo scatto o due. E, naturalmente, non c’era Photoshop che ti permetteva di correggere gli errori.

 

In breve, dovevi sapere quello che stavi facendo.

 

Oggi, chiunque può puntare e fare clic e produrre una foto decente. Forse non è una grande inquadratura. Ma, come i proprietari dei Sun-Times sembrano credere, ma sarà una foto abbastanza buona. (Questo sito Tumblr, che mette a confronto le foto del Tribune e del Sun-Times ogni giorno, potrebbe affrontare la questione).

Se il diluvio di informazioni include anche una epica ondata di sciocchezze , non si può incolpare gli imprenditori digitali e gli editori pressati dalla necessità di fare profitto di utilizzare strumenti digitali sempre più sofisticati per estrarre un numero sufficiente di pepite per lanciare pubblicazioni che sperano siano commercialmente accettabili . E il web è il luogo ideale per scroccare contenuti gratuiti :

La maggior parte delle foto e dei video sono pubblicati in maniera open sul web dove sono facilmente individuabili attraverso i motori di ricerca e liberamente accessibili per la stampa, l’ online e il broadcast. Anche se i loro autori potrebbero in teoria, e giustamente, chiedere una ricompensa per il riutilizzo delle loro opere originali, la maggior parte di loro sono entusiasti di vederla pubblicata – e pochi sono disposti o abbastanza informati per spendere il tempo o il denaro necessario per coltivare una causa per violazione copyright . Inoltre,  editori ed emittenti potrebbero affermare, del tutto legittimamente  nella maggior parte dei casi , che l’ uso di una immagine di attualità tratta dal web è legittimo (fair use,  diritto di cronaca, ndr) e , quindi , esente da protezione del copyright.

 

Anche see una clip o una foto catturata in strada da un iPhone non saranno da Pulitzer, quelle immagini possono tappare un buco sul sito web o sulla pagina di domani . E quindi, sì, è possibile ottenere contenuti sufficientemente buoni per lanciare una nuova testata.

La domanda che gli editori e le emittenti attenti ai costi  devono porsi , tuttavia, è se un contenuto “sufficientemente buono” sarà in grado di sostenere il valore dei loro prodotti di fronte alla crescente concorrenza da parte dei media digitali .

Alle prese con delle sfide finanziarie così estreme e prolungate, i manager del Sun-Times puntano sul fatto che a lettori e inserzionisti non interessa se una immagine è di secondo piano, e figuriamoci quindi la giuria del Pulitzer, la cui approvazione non è evidentemente un parametro importante nel modello economico del quotidiano cartaceo. Il Sun-Times evidentemente pensa – e non a torto – che poche persone vanno a piedi all’ edicola per confrontare le foto sui giornali concorrenti e decidere quale testata comprare.

A differenza di una nuova borsa o un paio di scarpe, i giornali vengono comprati soprattutto per abitudine . Nelle comunità in cui c’ è un solo giornale – cosa che avviene nella maggioranza dei casi –  la scelta è ancora più semplice: o leggi quello o non leggi il giornale.

 

Nell’ era pre-digitale, in mancanza di alternative, era veramente una scommessa il fatto che una raccolta di notizie, piccoli annunci, sport, servizi, coupon, andamento della borsa e programmi TV potesse attirare quel pubblico così ampio e prezioso che loro – e , soprattutto, i loro inserzionisti – volevano raggiungere.

 

Oggi, il flusso di contenuti,  infinitamente più ricco e senza dubbio più economico – che scorre attraverso i media digitali -, ha  preso il posto dell’ insieme di notizie e informazioni commerciali che un tempo erano l’ essenza dei giornali.

In altre parole , i media digitali hanno reso disponibili all’ estremo notizie, intrattenimento e shopping. Fatta eccezione per una manciata di persone tecnicamente recalcitranti che ancora dipendono dalla carta, nessuno ha bisogno di un giornale per  essere ben informato o ben intrattenuti. Uno compra un giornale solo se proprio lo desidera.
Come hanno risposto gli editori a questa profonda sfida per la sopravvivenza? Non bene .

 

Incapaci di tamponare la contrazione delle vendite di più del 50% dal 2005 e cercando disperatamente di conservare almeno un 20-30 % degli utili al lordo delle imposte che i giornali producevano nei giorni felici,  la maggior parte degli editori hanno annacquato e svuotato i loro prodotti , al punto che i lettori più esigenti ora si rendono conto perfettamente i giornali non sono più quelli che erano abituati ad avere.

 

Una recente ricerca dimostra che i lettori dei giornali sono davvero esigenti. Un anno fa , il Pew Research Center ha riferito  che solo il 29 % degli americani aveva letto un giornale il giorno precedente, rispetto al 56 % nel 1991. Nel mese di luglio , un sondaggio della Gallupp ha rilevato che solo il 9 % degli americani ha indicato i giornali come fonte primaria di notizie , rispetto al 21% per Internet e il 55 % per la televisione .

 

Gli editori non possono essere biasimati per il declino della stampa, che mette i quotidiani in uno svantaggio insormontabile rispetto agli smartphone nell’ informazione sul mercato azionario, ad esempio, o sulle ultime notizie. Non si può criticare la carta perché non riesce a competere con l’ esplosione multimediale di un tablet .

 

Ma gli editori possono invece essere criticati per la logica perversa che li spinge a pensare di poter competere con la concorrenza digitale sempre più potente rendendo i giornali – e i prodotti digitali corrispondenti (web e telefonia mobile), che in genere rispecchiano i contenuti del giornale cartaceo – meno completi, meno competenti e meno convincenti che mai.

 

L’ erosione insidiosa e implacabile della qualità dei giornali del paese non è solo dolorosa per i professionisti dell’ informazione e pericolosa per la salute della nostra democrazia . E’ anche un cattivo affare, perché, nel lungo periodo, i prodotti di cattiva qualità quasi mai hanno successo.

 

 

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