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Jeff Bezos cambierà il WP ispirandosi ad Amazon

I cambiamenti al Washington Post saranno probabilmente l’ argomento più in vista nei prossimi mesi – o, forse, anni – sulla scena mediatica.

 

Ne è convinto Frederic Filloux  che dedica la sua ultima Mondaynote all’ argomento.

 

Filloux, giornalista ed esperto di media, ipotizza in questo primo articolo (ad esso ne seguiranno altri) che Jeff Bezos, ‘’con la sua comprovata capacità di reinventare vecchi modelli di business’’, ricorrerà alle strategie che sono alla base di Prime Service, un grande successo di Amazon.

 

Adottando al quotidiano della capitale Usa ‘’le due ossessioni celebri che nella sua azienda sono diventate una religione: la massima efficienza applicata nei minimi dettagli  e una cura senza precedenti dei clienti’’.

 

Perché il quotidiano della capitale americana resterà al centro del dibattito sull’ industria dei media?  

Prima di tutto perché, con la Saga del Watergate, il Post rappresenta il punto più alto nella storia del giornalismo scritto. Quella vicenda – racconta Filloux – ‘’combinava la fiera indipendenza di una grande testata giornalistica e il coraggio di due persone – Katherine Graham , proprietaria del giornale , e il direttore, Ben Bradlee – che insieme scommisero sulla tenacia e l’energia di due giovani giornalisti, Bob Woodward e Carl Bernstein . Per la mia generazione, quei tempi fanno parte della mistica del grande giornalismo’’.

 

I protagonisti del Watergate

In secondo luogo – continua -, il Washington Post è stato venduto (a buon mercato , solo  250 milioni di dollari), perché aveva di fronte a sé una morte sicura. La sua diffusione nei giorni feriali era scesa del 60% rispetto al 2003 (oggi vende sulle 470.000 copie) , e gli inserzionisti sull’ edizione della domenica dovevano fare i conti con meno di metà del pubblico di un tempo (maggiori dettagli in questa analisi di Alan Mutter). Quanto alla pubblicità digitale , il Post non è stato in grado di compensare l’ emorragia che si verificava sulla carta, guadagnando nell’ online solo 1 dollaro rispetto ai 16 dollari perduti nella carta – come del resto accade anche ad altre testate.

 

Come la maggior parte dei suoi coetanei , il Post è stato troppo lento nel suo passaggio al digitale – spiega ancora Filloux -, lasciando campo aperto a iniziative nuove e più agili , come Politico, un soggetto digitale puro che è riuscito a produrre grande talento da una redazione tradizionale. Alla fine, il management del Post ha cercato di fare il meglio che poteva intervenendo in tutti i settori del giornale (se ne  parla diffusamente qui) ma non è riuscito a invertire la tendenza.

 

Ma le ragioni principali per osservare attentamente le prossime mosse di Bezos – osserva Mondaynote – restano il suo ‘’appetito’’ e la sua comprovata capacità di reinventare vecchi modelli di business . Lo ha fatto con il commercio al dettaglio, eccitato da due delle ossessioni celebri che nella sua azienda sono diventate una religione: la massima efficienza applicata nei minimi dettagli  e una cura senza precedenti dei clienti.

 

 

Questi due ingredienti si possono applicare anche all’ industria giornalistica?

Per quanto riguarda la cura del cliente, la stampa ha una lunga strada da fare. ‘’Per quanto io sia un consumatore forte (vedi i miei tanti abbonamenti digitali ) e un professionista dei media di lungo corso, posso offrire molte testimonianze spiacevoli sul servizio clienti in questo campo. Per i tempi di evasione degli ordini (settimane in alcuni casi) e i servizi di assistenza clienti, l’ editoria giornalistica si trova al polo opposto rispetto al settore digitale, e ad Amazon in particolare.

(…)

Se Amazon si fosse comportato nello stesso modo, non sarebbe mai diventato il colosso delle vendite al dettaglio che è oggi. Ha iniziato nel 1995 senza alcuna credibilità – in realtà , anzi, aveva anche una immagine negativa legata ai ‘’sospetti’’ che allora circondavano lo shopping online. Come gli altri, Amazon ha dovuto costruire la sua reputazione un cliente alla volta . Sono stato uno dei primi e , oggi , la mia dipendenza da Amazon continua a crescere costantemente (ci sono stati alcuni inconvenienti lungo il percorso, ma sono stati risolti rapidamente)’’.

 

Si parla di customer service non certo per la necessità di prendersi cura di un abbonato digitale o cartaceo – che dovrebbe essere il minimo indispensabile, osserva. Ma perché un mezzo di comunicazione come il Post alla fine si troverà a vendere molti altri prodotti e servizi oltre alla notizia: e, quindi, costruire una forte mentalità di servizio alla clientela è un prerequisito essenziale per espandere la propria attività in altre aree. E poi, il passaggio al digitale alza notevolmente lo standard della cura del cliente. Per il Post, inoltre, più che per qualsiasi altra testata giornalistica, secondo Filloux, i clienti guarderanno al livello dei servizi Amazon come il punto di riferimento per quanto riguarda la qualità .

 

L’ Amazon Prime Service

‘’Scommetto che Jeff Bezos si ispirerà all’ Amazon Prime Service. Per i lettori delle mie note che non sono americani, Amazon Prime è un servizio speciale che, per una quota annuale di  79 dollari (60 euro) , ti offre  una serie di benefici, fra cui lo streaming video gratuito e il diritto di prendere in prestito degli ebook Kindle in un catalogo di 350.000 titoli.

Il minimo che possiamo dire è che ha funzionato: più di 10 milioni di persone hanno aderito a Prime. E dovrebbe essere solo l’ inizio perché Amazon punta a raggiungere i 25 milioni entro il 2017’’.

 

Ancora più interessante, sottolinea Mondaynote: quando si scuciono 80 dollari l’anno per utilizzare il servizio, si tende anche a comprare di più, e questa è una delle più succose ricadute psicologiche del programma. Ne parla Farhad Manjoo, un esperto di tecnologia che su Slate ha scritto un pezzo molto interessante: If Anyone Can Save theWashington Post, It’s Jeff Bezos (‘’Se qualcuno è in grado di salvare il Washington Post, quello è Jeff Bezos’’) :

 

Recentemente ho riguardato l’ andamento dei miei ordini ad Amazon. Prima del 2006 , l’ anno in cui per la prima volta ho aderito a Prime, ho fatto meno di 10 ordini all’ anno. Poi Prime ha fatto cambiare completamente le mie abitudini: nel primo anno dopo aver aderito ho fatto 46 ordini. E quest’ anno sto sulla buona strada per quadruplicare quel numero.

 

Filloux a questo punto snocciola qualche dato a livello macro che conferma il successo:  il cliente Prime spende molto di più di un cliente normale: 1.224 dollari ( 930 € ) contro 524 dollari ( 400 € ) all’ anno. Inoltre, Prime ‘’pesa’’ per un terzo dei profitti di  Amazon (una analisi dettagliata sulla materia è su FastCompany). In breve, una immensa gamma di prodotti, serviti con un esecuzione quasi perfetta (un ordine Amazon viene spedito circa 2,5 ore dopo aver fatto clic sul pulsante ” Effettua l’ordine ” ), e rafforzato dall’  incentivo psicologico che ti ‘’parla’’ di  gratuito, veloce e conveniente, tutto cospira a generare una fedeltà e un ARPU (ricavo medio per unità di prodotto, ndr) ad alto livello:  proprio i due parametri economici che invece stanno facendo morire di fame i giornali.

 

Come si può applicare un tale ragionamento al nostro settore? I vecchi sistemi di offerte a pacchetti possono trarre dei benefici da queste tecniche e, per esempio, aprire la strada a una sorta di super- abbonamenti? Su quali strumenti Jeff Bezos può fare leva per realizzare tutto questo ?

 

Lo vedremo nelle prossime Note.

(frederic.filloux@mondaynote.com)

 

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