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Il nuovo pubblicismo, area fragile del giornalismo professionale

Dalla grande mole di materiali dell’ Inpgi abbiamo cercato di ricavare dei nuovi dati che permettessero di mettere meglio a fuoco le condizioni effettive dei giornalisti pubblicisti attivi.

 

Il primo dato, apparentemente un altro paradosso, è che Il lavoro giornalistico ufficiale, almeno sul piano numerico,  è in prevalenza nelle loro mani.

Sono  24.864  infatti i pubblicisti attivi, contro i 21.475 professionisti.

 

Il paradosso conferma però senza possibilità di smentite che di fronte alla crisi  il sistema industriale/editoriale del giornalismo italiano ha scelto la strada della minor resistenza, concentrandosi soprattutto  in una vasta operazione di esternalizzazione (outsourcing) .

 

 

Prosciugare quanto più è possibile  i poli produttivi centrali (le redazioni, dove il costo del lavoro è più alto), concentrando lì il minimo indispensabile di attività di progettazione, filtraggio, curation e assemblaggio,  e spostando invece all’ esterno tutta la fase della produzione della ‘’materia prima’’ (notizie e servizi), affidata a un nuovo pubblicismo sempre più robusto in termini numerici ma sempre più debole in termini di diritti e di reddito.

 

E’ un’ area con  una fisionomia del tutto lontana dal pubblicismo di 50 anni fa. Quasi il 40% dei 65.200 pubblicisti iscritti all’ Ordine hanno infatti una posizione all’ Inpgi e più di un terzo di questa area (oltre 20.000 persone) sono pienamente all’ interno del giornalismo professionale.

Un quadro che – come abbiamo visto col ‘’Il paese dei giornalisti’’ – pone al sindacato delle sfide molto complesse ma coinvolge fortemente anche l’ Ordine mostrando  l’ il urgenza di una riforma che preveda, fra l’ altro, il superamento della distinzione fra professionisti e pubblicisti  e l’ eliminazione dell’ alibi della tessera professionale utilizzata da molti editori e dirigenti editoriali surrettiziamente come ‘’moneta’’ e ‘’sotto-salario’’.    

 

 

di Pino Rea*

 

Il lavoro giornalistico ufficiale, almeno sul piano numerico,  è in prevalenza nelle mani dei pubblicisti.

Il paradosso (uno dei tanti paradossi che caratterizzano la professione giornalistica in Italia; vedi  ‘’Il paese dei giornalisti’’nasce dal fatto che fra i giornalisti attivi iscritti all’ Inpgi (in entrambe le gestioni) alla fine del 2012 i pubblicisti erano 24.864  contro i 21.475 professionisti.

 

I pubblicisti, certo, sono in forte minoranza nel campo del lavoro subordinato:

– 3.393 contro 15.530 professionisti.

 

Ma nel settore del lavoro autonomo o parasubordinato sono:

 

21.471 contro i 5.945 professionisti.

 

Rappresentano il  17,6% del lavoro subordinato e il 75,6% di quello autonomo.

 

Mentre i professionisti coprono l’ 80,4% del primo e il 20,9% del secondo.

 

Il resto – in entrambi i settori – è coperto dai praticanti.

 

 

I pubblicisti attivi rappresentano il 38,1% dei pubblicisti iscritti all’ Ordine (65.201) e il 22,2% di tutti gli iscritti (compresi pensionati, elenco speciale e stranieri).

 

I professionisti attivi rappresentano il  92,4% degli iscritti professionisti (23.233) e il 19,2% degli iscritti complessivi  (compresi pensionati, elenco speciale e stranieri.

 

 

Ma proviamo a mettere a fuoco meglio le caratteristiche principali del pubblicismo attuale, almeno sul piano quantitativo.

 

 

L’ ACCESSO ALLA PROFESSIONE

 

Per quanto riguarda l’ ingresso nella professione, e quindi nell’ Inpgi, come dicevamo nel Rapporto ‘’Il paese dei giornalisti’’ (pagg. 48-49), l’ accesso al lavoro dipendente, progressivamente in calo da almeno il 2007, ha ricevuto nel 2012 un forte scossone negativo, registrando un calo dei nuovi iscritti del 23,3%.

 

Le nuove posizioni all’ Inpgi sono state infatti solo 724, contro le 944 del 2011 (erano 1476 nel 2007).

 

I nuovi iscritti  nel 2012 sono stati in prevalenza pubblicisti: 393 (445 con i pubblicisti/praticanti) contro 152 professionisti e 127 praticanti .

 

Fino al 2009 i professionisti erano in numero nettamente superiore. Nel 2010 – come si può vedere dalla tabella qui sotto – c’ è stata la parità.

 

Dal 2011 il sorpasso – 280 professionisti contro 471 pubblicisti – confermato nettamente nel 2012.

 

 

Dal 2007 il numero di nuove iscrizioni fra i professionisti è andato costantemente calando, da 866 a 152, mentre quello dei pubblicisti ha oscillato fra i 300 del 2002 e i 487 del 2007 (punta massima).

E sempre dal 2007, in ogni caso, si registra un calo rilevante delle nuove iscrizioni: da 1.476 a 724 del 2012, con un calo del 51%.

 

Nel campo del lavoro autonomo, ecco la tabella relativa ai nuovi iscritti alla Gestione separata dell’ Inpgi:

 

 

Come si vede, il numero dei nuovi iscritti negli ultimi tre anni è rimasto più o meno stabile, ma i pubblicisti rappresentano sempre una quota rilevante: il 71,3% nel 2012 (nel 2010 erano il 66,2% e nel 2011 il 63%)

 

 

 

LAVORO DIPENDENTE

 

 

Numero di Rapporti di lavoro per categoria professionale dal 2001 (anno in cui i pubblicisti entrarono in massa all’ Inpgi1)  al 2012.

 

 

 

Come si può vedere l’ incremento dei rapporti di lavoro subordinato fra i pubblicisti è del 156,2%, contro il più 20,3% dei professionisti e il meno 63,8% dei praticanti.

 

Nel 2001 erano a nome di pubblicisti l’ 8,8% dell’ insieme dei rapporti di lavoro dipendente (1.526 su 17.394), ma la percentuale era salita al 13,6% nel 2006 (2.852 su 20.909) e al 17,4% nel 2012 (3.595 su 20.699).

Va segnalato che alla fine del 2012 i rapporti di lavoro (ex articolo 36) che si riferiscono specificamente ai pubblicisti  erano ben 3.082, quasi l’ intero campione dei rapporti di lavoro intestati a pubblicisti.

 

L’ ETA’

Per quanto riguarda l’ età, quasi un pubblicista su 3 (il 30,7%) dei titolari di rapporti di lavoro dipendente  ha meno di 35 anni.

Quelli da 36 a 50 anni sono il 46,1%, mentre il 23,2%hanno 51 anni e oltre.

Per i professionisti per le percentuali sono rispettivamente del 14,7%, 52,8% e 32,5%.

 

 

 

REDDITI

 

Da notare che in questa Nella fascia di reddito entro i 30.000 euro annui la percentuale dei pubblicisti è più del doppio di quella globale: sono il 35,3%, pur coprendo solo il 17,4% di tutti i rapporti di lavoro subordinato. 

Nel 2012 su 20.699 rapporti di lavoro subordinato, 7.057 – pari al 34,1% – producevano un reddito entro i 30.000 euro lordi annui.

Di questi 7.057 rapporti sotto i 30.000 euro, il  35,3% (2.489)  erano pubblicisti, il 53,4% professionisti e l’ 11,3% praticanti.

 

In tre anni comunque all’ interno di questa fascia la situazione non è cambiata sostanzialmente. Nel 2010 i rapporti di lavoro sotto i 30.000 euro erano 7.110 – pari al 33,4% – e fra di essi i pubblicisti erano il 34,7%. I professionisti 52,3% e i praticanti il 12%.

 

Scendendo un po’ in più profondità nell’ analisi dei redditi da lavoro subordinato entro i 30.000 euro si può osservare:

 

Rispetto ai valori totali la percentuale dei redditi sotto i 5.000 euro è cresciuta dal 14,8% del 2010 al 16,6% del 2012; quella dei redditi fra 5 e 10.000 euro è cresciuta dal 13,7% del 2010 al 15,5% del 2012; e quella della fascia fra i 10.000 e i 30.000 euro è calata dal 71,5% al 68%, oltre tre punti in percentuale in meno.

L’ ‘’impoverimento’’ complessivo degli oltre 7.000 rapporti di lavoro colpisce allo stesso modo, sostanzialmente, sia i professionisti che i pubblicisti.

Vediamo:

– la fascia sotto i 5.000 euro cresce sia per i professionisti (dal 13,7% al 15,6%) che per i pubblicisti (dal 15 al 17,1%);

– lo stesso vale per quella fra i 5 e i 10.000 euro:  dal 12,3% al 14% per i prof e dal 14,4 al 16,4% per i pubblicisti;

– cala invece quella superiore ai 10.000 euro passando dal 74,1% al 70,3% per i professionisti e dal 70,5% al 66,5% per  i pubblicisti.

 

Come si vede la differenza fra professionisti e pubblicisti non risulta particolarmente marcata: due punti percentuali nelle due fasce sotto i 10.000 euro e tre punti e mezzo in quella superiore ai 10.000 euro.

Non abbiamo  dati con la suddivisione per categoria professionale nelle fasce di reddito superiori (e bisognerà fare assolutamente un supplemento di ricerca in questo campo).

Ma si può presumere, in via induttiva, che la gran parte dei pubblicisti sia però concentrata nella fascia sotto i 30.000 euro visto che all’ Inpgi alla fine del 2012, su un totale di 3.595 rapporti intestati a pubblicisti, risultavano 3.082 rapporti di lavoro ex articolo 36 (pubblicisti nelle redazioni decentrate). Rapporti che difficilmente consentono di superare i 30.000 euro l’ anno.

 

E, sempre in questa ottica, si può aggiungere che fra gli 8.006 iscritti all’ Inpgi che hanno una doppia posizione (facendo sia lavoro dipendente che attività autonoma) figurano 1.635 pubblicisti. Considerando solo i redditi da lavoro subordinato però il 73,3% (1.198) ricavano redditi entro i 30.000 euro annui mentre per i professionisti la percentuale è del 32,8%.

 

Tra l’ altro sul piano della retribuzione media pensionabile annuale, rispetto alla media di 62.459 euro lordi annui quella dei pubblicisti era pari a 27.688 euro (più della metà), articolata in 24.639 euro per le donne e 29.929 euro per gli uomini.

 

 

Quella dei professionisti era invece pari a 59.541 per le donne e 78.622 per gli uomini (segno di gap economico di genere ma anche demografico in quanto l’ età media maschile è più alta rispetto a quella femminile e quindi la retribuzione ne risente).

 

Una ulteriore notazione per quanto riguarda i pubblicisti: la retribuzione media è sullo stesso piano di quella del pubblicista/praticante: 26.257 euro per le donne e 31.751 euro per gli uomini. Le medie dei primi, ragionando per via induttiva, sono destinate a salire molto più lentamente di quelle dei secondi che sono appena entrati (col praticantato) nel meccanismo professionale e contrattuale che porta verso l’ alto.

 

 

LAVORO AUTONOMO

 

Questa la composizione degli attivi per categoria ordinistica:

 

 

I pubblicisti iscritti all’ Inpgi2 erano 23.116, ma fra di essi 1.635 svolgevano anche lavoro subordinato e avevano quindi una posizione all’ Inpgi1. Per cui – come si vede dalla tabella – i pubblicisti che facevano solo lavoro autonomo erano  21.471.

Fra il 1997 e il 2012 la percentuale dei pubblicisti sul totale degli iscritti alla gestione separata è passata dal 59% (2.823 su 4.788 iscritti) al 63,5% (23.116 su 36.414).

 

La percentuale dei professionisti è scesa invece dal 40,1% del 1997 al 34,7%.

Il resto era composto da praticanti e pubblicisti/praticanti che è difficile conteggiare.

 

Escludendo i pubblicisti pensionati, la percentuale dei lavoratori autonomi sui pubblicisti iscritti all’ Ordine nel 2012 (65.201) era pari al 32,9%. Quella dei professionisti sui professionisti iscritti all’ Ordine (esclusi i pensionati) era pari al 14,6% (3.393 su 23.233).

 

 

ETA’ E REDDITI

 

Per quanto riguarda l’ età e i redditi da lavoro autonomo i dati che abbiamo non sono disaggregati per posizione ordinistica e quindi non è possibile approfondire gli aspetti che riguardano in particolare i pubblicisti. Proveremo comunque a farlo.

 

 

QUALCHE CONCLUSIONE

 

Dalla grande mole di materiali dell’ Inpgi abbiamo cercato di ricavare dei nuovi dati che permettessero di mettere meglio a fuoco le condizioni effettive dei giornalisti pubblicisti attivi. Il primo dato, apparentemente un altro paradosso, è che – come abbiamo visto – Il lavoro giornalistico ufficiale, almeno sul piano numerico,  è in prevalenza nelle loro mani. Sono  24.864  infatti i pubblicisti attivi, contro i 21.475 professionisti.

 

Al di là di tutto comunque il dato conferma che di fronte alla crisi  il sistema industriale/editoriale del giornalismo italiano ha scelto la strada della minor resistenza, concentrandosi soprattutto  in una vasta operazione di esternalizzazione (outsourcing) .

 

Prosciugare quanto più è possibile  i poli produttivi centrali (le redazioni, dove il costo del lavoro è più alto), concentrando lì il minimo indispensabile di attività di progettazione, filtraggio, curation e assemblaggio,  e spostando invece all’ esterno tutta la fase della produzione della ‘’materia prima’’ (notizie e servizi), affidata a un nuovo pubblicismo sempre più robusto in termini numerici ma sempre più debole in termini di diritti e di reddito.

E’ un’ area con  una fisionomia del tutto lontana dal pubblicismo di 50 anni fa. Quasi il 40% dei 65.200 pubblicisti iscritti all’ Ordine hanno infatti una posizione all’ Inpgi e più di un terzo di questa area (oltre 20.000 persone) sono pienamente all’ interno del giornalismo professionale.

Un quadro che – come abbiamo visto con l’ ultimo Rapporto di Lsdi –  pone al sindacato  delle sfide molto complesse ma coinvolge fortemente anche l’ Ordine mostrando  l’ urgenza di una riforma che preveda, fra l’ altro, il superamento della distinzione fra professionisti e pubblicisti  e l’ eliminazione dell’ alibi della tessera professionale utilizzata da molti editori e dirigenti editoriali surrettiziamente come ‘’moneta’’ e ‘’sotto-salario’’.

 

 

Pubblichiamo anche su Lsdi una integrazione, con i dati dell’ Inpgi, al Rapporto sulla professione giornalistica  presentato il 5 novembre scorso alla Fnsi. 

 

Il nuovo report è stato realizzato per Voltapagina – il nuovo sito su giornalismi e media animato da Claudio Visani sulla piattaforma Globalist – e  dedicato in particolare al nuovo pubblicismo in Italia.

 

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