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Rusbridger, la crisi può essere un’ opportunità ma quanto è duro sperimentare

La crisi economica globale può essere un’ opportunità per il giornalismo perché impone di sperimentare, ma sperimentare costa ed è difficile trovare risorse sul mercato, vista la riduzione degli investimenti pubblicitari, con il conseguente ricorso al taglio dei costi e dei posti di lavoro.

Alan Rusbridger, direttore del Guardian, intervenendo al Festival di Internazionale, a Ferrara, ha eluso il tema ‘’Fermate le rotative!’’ – per cui era stato invitato a parlare insieme a David Carr, uno dei principali columnist del New York Times – non ha fatto nessun riferimento alle voci di una possibile chiusura dell’ edizione cartacea del quotidiano inglese (seguite in questi giorni dalla notizia che Newsweek abbandonerà la carta), ma si è soffermato soprattutto sulle contraddizioni che caratterizzano la situazione editoriale contemporanea e scuotono anche la sua testata, sul rapporto fra giornalismo europeo ed americano e sull’ Open journalism.

 

 

di Leila Zoia

 

 

E’ giunta davvero l’ora di abbandonare la carta? Il giornale inglese The Guardian ha veramente intenzione di chiudere l’edizione cartacea?

“Fermate le rotative!” E’ l’argomento di cui hanno discusso Alan Rusbridger, direttore del Guardian e uno dei principali columnist del New York Times, David Carr, intervistati da Marino Sinibaldi, direttore di Radio 3 al Festival di Internazionale a Ferrara.

 

Nonostante il titolo dell’incontro, Rusbridger però non fa cenno alla decisione di una possibile chiusura dell’edizione cartacea, come invece era stato fatto trapelare da un’indiscrezione del Telegraph in questi giorni.

 

(da sinistra, Alan Rusbridger, David Carr, Marino Sinibaldi)

 

Il direttore del quotidiano espone più interrogativi che certezze, lasciando a bocca asciutta chi si era apprestato a fare una lunghissima fila per entrare all’evento sperando di sentire enunciare delle sentenze sul futuro del giornalismo da due conoscitori esperti di questo mondo. Perché il drammatico scenario italiano che vede calare in 5 anni il  consumo di media dal 67% al 45,5% ( 10/o rapporto Censis/Ucsi sui media in Italia), non è poi così diverso da quello inglese o americano.

 

Rusbridger cerca però di vedere nella crisi economica globale un’opportunità. Dice che questa è un’ottima era per il giornalismo, perché consente di sperimentare.  Il Guardian, ad esempio, non ha mai raggiunto un pubblico tanto numeroso come ora, andando ad attestarsi fra i cinque quotidiani online più letti al mondo e riuscendo ad imporsi persino sul mercato statunitense. Due terzi  dei lettori del giornale, infatti,  vivono fuori dai confini del Regno Unito. Ciò è dovuto al fatto che molte testate in America – spiega Rusbridger- stanno diventando molto più colloquiali, provinciali e lontane da storie internazionali. Il lettore va quindi alla ricerca di nuove fonti di informazione in grado di collocare i cambiamenti che stanno avvenendo in un contesto globale, per comprendere meglio la situazione attuale. I lettori dimostrano di apprezzare una tradizione giornalistica e politica diversa, come può essere quella europea.

 

Sperimentare, però, costa, diventa difficile reperire finanziamenti data la riduzione degli investimenti pubblicitari e questo incide sulla necessità di tagliare gli spechi e licenziare. La testata ha perso 63,6 milioni di euro nel 2009, 47,3 milioni nel 2010, 49,9 milioni nel 2011. Le vendite cartacee sono passate dalle 380 mila del 2008 alle  210 mila del 2012. Mentre si è assistito ad un incremento notevole degli utenti unici online (da 15 a 70 milioni in 4 anni). Fenomeno dovuto, almeno in parte, anche alla scelta di mantenere gratuiti i contenuti sul sito, e di far pagare una cifra simbolica l’edizione per IPhone (4,99 sterline all’anno) e per IPad (9,99 £ al mese). Alla strategia Free del Guardian si oppone la versione freemium del New York Times. Il lettore cioè può leggere un certo numero di articoli gratis, ma poi deve abbonarsi. Questa modalità garantisce il 10% delle entrate del giornale.

 

 

IL MONDO RISTRETTO DEL GIORNALISMO TRADIZIONALE vs L’OCEANO DELL’OPEN JOURNALISM

 

Si parla anche di Open Journalism e della differenza tra le competenze che un giornalista tradizionale può esprimere nel redigere un articolo rispetto a quelle di un Citizen Journalist. Per Rusbridger non c’è contraddizione. Le due voci possono benissimo convivere e contribuire insieme ad accrescere la qualità del prodotto giornalistico. I numerosi interventi e commenti del giornalismo Open possono aiutare a dare buona copertura ad un numero rilevante di eventi.

 

Spinto a rispondere alla fatidica domanda: “Se per una recensione scritta da un critico esperto il giornale deve sborsare un bel po’ di quattrini, mentre i commenti forniti dall’Open Journalism sono gratuiti, il direttore del giornale non sarà in futuro portato a scegliere quest’ultima opzione, data anche la necessità di ridurre il proprio organico?” Rusbridger risponde che se un direttore licenziasse il critico esperto, ne risentirebbe la qualità del giornale e il pubblico se ne accorgerebbe. Quindi sarebbe un risparmio unicamente nel breve, ma non nel lungo periodo e il quotidiano ci rimetterebbe in termini di immagine, qualità e successo. Se il Guardian dovesse rinunciare per esempio a investire sul giornalismo investigativo, basti il nome di Nick Davis, per intendersi, certamente il lettore non premierebbe questa scelta.

 

 

IL FUTURO

 

Rusbridger conclude l’intervista constatando la situazione attuale. “Si tratta di accettare di registrare delle perdite e non mollare  perché altrimenti si perde la speranza di entrare nel futuro dell’informazione. Questa è una fase di sperimentazione, non possiamo rimanere fermi su un’unica piattaforma pensando di essere sicuri del futuro”.

 

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