È quanto emerge dallo “State of the News Media 2012†del Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism.
(a cura di Andrea Fama)
Il Rapporto – che fotografa lo stato di salute del giornalismo statunitense attraverso l’ individuazione di tendenze e rilievi statistici, nonché l’ analisi dettagliata di otto settori mediatici differenti - smentisce subito una convinzione comunemente diffusa: i social media non spingono le notizie né le testate tanto quanto si potrebbe pensare.
Da un campione di 3.000 intervistati emerge che il fattore più importante nel decidere la fonte delle proprie informazioni è la reputazione o il nome della testata – soprattutto quando si accede da mobile piuttosto che da laptop o PC. Infatti, a dispetto dell’esplosione dei social network e dei relativi “mi piace†su Facebook o Twitter, i suggerimenti degli amici non sono ancora un elemento determinante nell’indirizzare il consumo di informazione.
Solo il 9% degli intervistati, inoltre, dichiara di seguire “molto spesso†le notizie suggerite da Facebook e Twitter – un valore comunque in crescita di ben il 57% rispetto al 2009. A conferma della tradizionale propensione a scegliere le notizie in base alla reputazione o al nome della testata, la maggior parte degli utenti accede alle news direttamente dal sito produttore (38%), il 29% accede attraverso la ricerca e il 27% tramite aggregatori (web o app).
Tuttavia, nel rapporto si legge anche che “se la ricerca di notizie è stata l’evoluzione più importante dell’ultimo decennio, la loro condivisione potrebbe essere tra gli sviluppi più importanti della decade a venireâ€. E Facebook, seguito da Twitter, domina questa intersezione tra social media e informazione.
In particolare,gli utenti Facebook sono più propensi a seguire i suggerimenti rispetto ai Twitterer. In termini più generali, invece, l’utilizzo dei social media quali veicolo di notizie cresce nel caso di utenti che usano sia smartphone che tablet, i quali ricorrono a certe reti sociali come ad aggregatori. In questo caso, il profilo più rispondente è quello degli uccellini, i quali risultano sì tecnologizzati, ma anche in parte “inconsapevoliâ€: il 19% dichiara, infatti, di non sapere da dove provengano le notizie suggerite.
Più mobile = più informazione (e più approfondimento)
Oltre quattro americani su dieci possiedono uno smartphone. Uno su cinque è proprietario di un tablet. Le nuove automobili sono prodotte con Internet annesso. Aumenta la mobilità , e di conseguenza il nostro grado di immersione nei social network. Ma non solo.
I dispositivi mobili, infatti, accrescono anche il consumo di informazione, rafforzano l’appeal delle testate tradizionali e favoriscono il giornalismo d’approfondimento. Otto possessori di smartphone/tablet su dieci, infatti, consumano informazione anche da PC o Lap Top, sfruttando appieno, nel corso della giornata, le differenti modalità di accesso (smartphone-tablet sulla strada per il lavoro; Lap Top sul divano di casa; PC alla scrivania; ecc.).
L’avvento del mobile non significa solo “più notizie su più dispositiviâ€, ma anche “più notizie, più spesso, e più a lungoâ€. Ad esempio, circa un terzo (34%) di coloro che consumano news attraverso desktop/laptop, lo fa anche via smartphone. Circa un quarto (27%) degli utenti smartphone accede alle notizie anche tramite tablet. Nel complesso, il 78% di questi onnivori digitali divora informazioni attraverso tutti i dispositivi a disposizione.
In aggiunta a ciò, si registra che la varietà di dispositivi fa sì che gli utenti ritornino più volte sugli stessi contenuti, e per sessioni di tempo mediamente più lunghe, favorendo così l’approfondimento e la riflessione, nonché l’engagement tanto caro agli inserzionisti.
Il controllo della tecnologia sul futuro dell’informazione
Un altro aspetto rilevante che emerge dal rapporto riguarda il ruolo sempre più marcato che gli intermediari della tecnologia rivestono nel controllo del futuro delle notizie.
Le ragioni sono due.
Intanto, il boom delle piattaforme mobili e dei social media aggiunge un ulteriore elemento tecnologizzante con cui i produttori di notizie devono tenersi al passo.
Ma, soprattutto, bisogna considerare la repentina ascesa di alcuni giganti della tecnologia (Google, Amazon, Facebook, Apple e qualche altro) nel porsi come produttori di “tutto†ciò che riguarda la nostra vita digitale, dall’hardware ai sistemi operativi, dai browser ai social network, fino ai servizi e alle piattaforme per acquistare, giocare, ecc. Naturalmente, tutta questa attività consente alle aziende di raccogliere dati personali dettagliati riguardo ai propri clienti.
Non a caso, già nel 2011, il 68% dell’intero comparto pubblicitario on-line era detenuto da cinque aziende – un elenco breve che, tra l’altro, non contempla Amazon né Apple, i cui ricavi derivano principalmente da transazioni, download e dispositivi. Secondo le previsioni, poi, entro il 2015 la vendita di un’inserzione digitale su cinque dovrebbe far capo a Facebook.
Nel report del 2011, gli autori del PEW Research Center scrivevano: “Il settore dell’informazione, tardivo nell’adattarsi e culturalmente più legato alla creazione di contenuti che all’ingegnerizzazione, si ritrova nella posizione di un follower piuttosto che di un leader nel dar forma al proprio mercatoâ€.
Ebbene, nel 2012 questa analisi è ancor più vera che in passato e ci pone davanti a una questione cruciale: questi giganti della tecnologia avranno interesse nell’acquisire i marchi storici dell’informazione quali parte integrante del “tutto†che offrono ai consumatori?
Le prime avvisaglie finanziarie in tal senso sono state già registrate. YouTube, nel perseguire il progetto di trasformarsi in un produttore di contenuti televisivi originali (una direzione intrapresa con decisione l’anno scorso), sta finanziando Reuters al fine di produrre format informativi originali. Yahoo ha recentemente siglato una partnership di esclusiva con ABC News per i contenuti video. AOL, dopo i tentativi di produrre contenuti in proprio, ha acquistato The Huffington Post. Con il lancio del Social Reader, Facebook ha ha creato una partnership con il Washington Post, il Wall Street Journal, il Guardian e altre testate. Proprio in questi giorni, infine, il co-fondatore di Facebook, Chris Hughes, ha acquistato la storica rivista New Republic.