Spagna: il giornalismo ha perso dal 2008 il 35% degli addetti

Libro-negroLa crisi dell’  industria giornalistica nel ‘’Libro negro del periodismo en Espana’’ – Su 82.000 posti di lavoro nei media solo 20.500 circa sono di giornalisti – Precarizzazione e disoccupazione – La pressione delle scuole di giornalismo e il calo dell’ offerta di lavoro – Servilismo e crisi della pubblicità – In mani straniere gran parte dei quattro grandi gruppi editoriali, che controllano il 70% delle informazioni diffuse

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Su 82.000 addetti nell’ industria dei media in Spagna solo il 25% sono giornalisti, ma sui 4.800 posti di lavoro eliminati nel settore dall’ inizio della crisi, nel 2008, quelli giornalistici erano 1.700, pari al 35%.

Sono alcuni dei dati della crisi del giornalismo che emergono dal ‘’Libro negro del periodismo in Espana’’, di Bernardo Díaz Nosty, docente di giornalismo all’ Università dell’ Unesco, presentato nelle settimane scorse a Madrid.

Intanto, solo quest’ anno sono usciti dalle facoltà di Giornalismo e Comunicazione audiovisiva del paese più di 3.000 aspiranti giornalisti mentre si calcola che i nuovi posti di lavoro nel settore saranno meno di 600. Una sfasatura fra diplomati e offerta lavorativa che, secondo l’ autore della Ricerca, ‘’aggrava un problema strutturale sorto più di 20 anni fa’’.

Stagisti precari. Anche in Spagna preoccupa il fenomeno degli stagisti e dei precari che a parità di posto di lavoro consentono agli editori di risparmiare fino al 75% del costo del lavoro, visto che i compensi per loro sono due o tre volte inferiori a quelli che si registrano nei maggiori paesi europei (il 37% dei giornalisti spagnoli guadagnano meno di 732 euro al mese, vedi Lsdi)

La precarizzazione e la disoccupazione non sono però gli unici mali del giornalismo spagnolo. Il continuo flirtare della professione con il potere e la politica è un’ altra delle minacce, visto che ne ‘’erode la credibilità’’ e ‘’la allontana dalla realtà sociale’’ facendogli perdere di vista la sua ‘’funzione di controllo democratico’’, afferma Diaz Nosty.

A suo parere l’ orientamento dei grandi media, segnata dal ‘’predominio di valori  mercantili e dal servilismo che cioò comporta’’ ha segnato l’ agenda pubblica e la qualità dei contenuti, ‘’progressivamente slittati verso il sensazionalismo e lo spettacolo’’.

Servilismo e crisi della pubblicità. La situazione, segnala Periodismoporelmundo in un articolo sul volume, porta uno stravolgimento dei principi etici alla base della professione. Il  54,7% dei giornalisti intervistati per la ricerca ritengono che sia un valore condiviso il rispetto degli interessi degli inserzionisti. Dall’altro lato lo ‘’Stato padre’’ ha chiuso il cordone della borsa: l’ investimento delle amministrazioni pubbliche ha registrato un calo del 70% fra il 2007 e il 2010, passando dai 269,5 milioni agli attuali 80,8 milioni di euro.

Pressioni esterne. Una inchiesta realizzata all’ inizio del 2008 fra i direttori dei quotidiani spagnoli a pagamento mostrò – ricorda Periodismoperelmundo – che l’ 86,5% degli intervistati aveva confessato di aver ricevuto pressioni dall’ esterno, indicando le istituzioni pubbliche come le responsabili delle pressioni maggiori sui contenuti.

I grandi gruppi nelle mani degli investitori stranieri. Tra 2007 e 2011 il capitale dei quattro grandi gruppi editoriali del paese, che gestiscono il 70% dei contenuti che nutrono l’ opinione pubblica spagnola (Unidad Editorial, Prisa, Mediaset e Planeta), è andato perdendo forza in maniera direttamente proporzionale alla crisi finanziaria. Basterebbe l’ esempio di Vocento, leader nel campo dell’ informazione regionale, il cui valore attuale sarebbe pari a 300 milioni di euro, contro i 1.875 milioni di euro del suo valore in borsa nel 2006.