La violenza sessuale e i media: quando la vittima diventa un fantasma

Viol

Il trattamento mediatico del fenomeno incide fortemente sul modo con cui esso viene percepito: confinati nelle pagine di cronaca gli episodi di violenza sessuale vengono presentati come una somma di storie individuali, come degli episodi tristi che accadono agli altri –  Così lo stupratore seriale è  largamente più presente del nonno che aggredisce i suoi nipotini. L’ eccezionale ha maggior peso – Quando una giovane donna viene violentata in un bosco mentre stava facendo del footing, tutti ne parlano. Un incesto non interessa quasi nessuno. I drammi che si consumano a bassa voce, frequenti ma poco visibili, non interessano i media. Perché quello che viene nascosto, dalla sfera familiare per esempio, è un argomento di inchiesta molto difficile. I giornalisti non hanno tempo e si precipitano su ciò che corre veloce – L’ analisi di Audrey Guiller e Nolwenn Weiler, due giornalisti francesi autori di ‘’Violenza sessuale, un crimine quasi ordinario’’, uscito un mese fa e di cui pubblichiamo la traduzione di un’ ampia parte, quella relativa ai media

—–

In occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne e come contributo al convegno in programma venerdì pomeriggio alla Sapienza, a Roma, su “Donne e Media’’ pubblichiamo la traduzione di una parte del capitolo 5° del saggio Le Viol, un crime presque ordinaire, pubblicato a ottobre dalle edizioni Le Cherche-midi [1], e dedicato appunto al trattamento mediatico della violenza sessuale.

Il saggio, scritto da due giornalisti francesi – Audrey Guiller e Nolwenn Weiler –  ricostruisce, sulla base di testimonianze delle vittime, interviste a giuristi, investigatori e analisi di criminologi e sociologi, quella che ‘’somiglia troppo, nonostante tutti i bei discorsi, a una tolleranza nei confronti di un crimine che non è affatto una fatalità’’.

LE VIOL DANS LES MEDIAS: UN FAIT DIVERS

di Audrey Guiller e Nolwenn Weiler

Una verità mutilata

I giornalisti parlano di violenza sessuale soprattutto in due casi: quando viene aperta un’ inchiesta dopo una denuncia e al momento del processo al presunto aggressore. Ora, gli episodi di violenza sessuale che arrivano in tribunale rappresentano meno della metà del 10% della totalità dei casi. Silenzio su tutti gli altri. Si percepisce la realtà del crimine come se si guardasse dalla parte opposta del binocolo. E il trattamento come fatti di cronaca (nera o giudiziaria) li presenta come una somma di storie individuali. Come degli episodi tristi che accadono agli altri.

Nello spazio mediatico lo stupratore seriale è  largamente più presente del nonno che aggredisce i suoi nipotini. L’ eccezionale ha maggior peso. ‘’Il trattamento mediatico della violenza sessuale non potrà essere soddisfacente fino a quando si darà valore alle informazioni più spettacolari e meno abituali, che non sono quelle più rappresentative –  prevede  Laurent Mucchielli, ricercatore al CNRS e direttore del Centro di ricerche sociologiche sul diritto e le istituzioni penali (Cesdip) -. Quando una giovane donna viene violentata in un bosco mentre stava facendo del footing, tutti ne parlano. Un incesto non interessa quasi nessuno. I drammi che si consumano a bassa voce, frequenti ma poco visibili, non interessano i media. Perché quello che viene nascosto, dalla sfera familiare per esempio, è un argomento di inchiesta molto difficile. I giornalisti non hanno tempo e si precipitano su ciò che corre veloce’’.

Ma come potremmo fare diversamente?, ribattono i giornalisti.

‘’I media parlano di quello che accade, della rottura dell’ ordine normale delle cose’’ sostiene la storica Anne-Claude Ambroise-Rendu, specialista di criminologia e di storia dei media. ‘’La banalità, da un punto di vista giornalistico non è interessante – aggiunge Brigitte Vital-Durand, capo del servizio Informazioni generali di Libération fino al 2007 e autrice di J’ai menti [2] -. Quello diventa il campo della sociologia. I giornalisti non sono che il riflesso di quello che che agita la società in un dato momento’’.


La ‘’cronaca’’

Questo genere giornalistico ha i suoi codici. Le pagine di questa sezione (che in francese  di solito viene classificata come « fait divers », ndr) sono pieni di racconti di crimini e catastrofi. Questo modo di rappresentare la violenza sessuale influisce sulla maniera con cui la percepiamo.

’Per invogliare a leggere queste pagine bisogna informare, divertire e far piangere la donna qualunque – si lascia andare la giornalista Natacha Henry, autrice di ‘’Les filles faciles n’existent pas [2]’’-. Bisogna creare dei personaggi: la ragazza facile, il barbaro, il giovane sensibile’’. La storia diventa più leggibile ma anche più caricaturale. ‘’Il problema della violenza – secondo il cronista giudiziario Paul Lefèvre [3] – è che si tratta di storie che fanno vendere. Mi ricordo dei colleghi della stampa scritta, a cui i capi dicevano: ‘per i dettagli ti lascio libero di scegliere, ma se puoi sapere la marca delle mutande…’’

La confusione tra aggressione e sessualità può conferire al trattamento dello stupro un carattere erotico, con uno spostamento dal piano della realtà dell’ aggressione. ‘’Qualche lettore si aspetta di trovare dei dettagli, non bisogna lasciarsi andare. Leggono quelle pagine dei giornali proprio per quello – ammette  Brigitte Vital-Durand-. Ma si può scrivere una buon articolo di cronaca se si punta solamente sull’ esigenza informativa. Le parole devono essere precise e ben ponderate, non essere macchinose o ammiccanti e bisogna evitare gli eufemismi’’.  Ma si fa più pubblicità all’ aggressione piuttosto che alla sanzione contro l’ aggressore, deplorano le femministe. ‘’Ci accusano di esserci soffermati troppo sulle ricostruzioni, ma è quanto è stato ricostruito durante il processo – obbietta Paul Lefèvre -. Sulla sentenza che volete che si dica più che ‘gli hanno dato 10 anni di reclusione’?’’.

Per scrivere l’ articolo il giornalista, di solito, non intervista né la vittima né l’ imputato. Racconta quello che succede al processo o quello che gli dicono la polizia, i carabinieri o la procura della repubblica. Il dibattimento è quindi  anche una sorta di gioco di comunicazione per gli avvocati, che possono servirsi della stampa per far passare questo o quel messaggio su un loro cliente. Il giornalista deve farsi una idea su un caso in qualche ora, per costruire un testo che verrà letto e consumato in qualche minuto. La polemica fa parte del gioco, secondo la storica  Anne-Claude Ambroise-Rendu : ‘’Quello che finisce per prevalere è lo scandalo: per esempio il notabile rispettato di cui si scoprono con orrore le pratiche. Alla fine i giornalisti trattano gli stupri più come fatti sensazionali che come delle inchieste giudiziarie. E si finisce per indicare l’ aggressore come un pedofilo, per esempio, anche se è una nozione che non esiste assolutamente nel codice penale’’ (francese, ndr)

E i miti si rafforzano. Perché sono pochi i violentatori che soffrono di una perversione come quella che viene sottintesa nel termine pedofilo.

Far esistere mediaticamente la vittima è difficile

Generalmente l’ aggressore è il centro dell’ articolo. ‘’E’ vero ma è normale – commenta Brigitte Vital-Durand-. Il processo è all’ imputato. E’ lui che viene giudicato. Si disegna il suo ritratto, si ricostruisce il suo percorso. E questo non significa che gli si cerchino delle scusanti’’.

Far esistere mediaticamente le vittime è complicato. Per molto tempo sono rimaste completamente invisibili.

’Nella cronaca  giudiziaria, inizialmente,  non si parlava di violenza sessuale – conferma Paul Lefèvre -. Si pensava che la ragazza avesse già sofferto abbastanza e che parlarne avrebbe significato aggravare la situazione, in maniera indecente. Poi le associazioni ci hanno convinto del bisogno delle vittime di essere riconosciute pubblicamente’’.

Molte di loro però ancora non lo vogliono. ‘’Un buon numero di processi si svolgono a porte chiuse proprio su loro richiesta – spiega Brigitte Vital-Durand -. Lo capisco. Se non avessero questa possibilità il numero di denunce presentate sarebbe ancora inferiore. E’ un diritto che assicura protezione, ma complica il compito del giornalista e rende le vittime invisibili. Bisognerebbe immaginare un procedimento che mantenesse l’ anonimato delle vittime permettendo però ai giornalisti di parlare lo stesso di queste udienze attualmente inaccessibili’’.  E’ difficile per i media tradurre in parole ed immagini quello che viene tenuto nascosto.

‘’Invece, la violenza coniugale interessa maggiormente i giornalisti – osserva Natacha Henry -. Perché implica storie di soldi, bambini, appartamenti, problemi amministrativi che hanno bisogno di un serio intervento sociale. Tutto ciò è visibile’’ (…)

In televisione le immagini delle vittime sono rare. Come nel caso eccezionale del caso d’ Outreau – – una inchiesta su presunti abusi su minori che scosse la Francia. Ci si ricorda bene che 13 dei 17 imputati furono assolti, ma non si parla mai del fatto che 12 dei 15 bambini al centro della vicenda erano stati riconosciuti vittime di violenza sessuale. Nel suo lavoro su quell’ episodio – Outreau, la vérité abusée [4] -, la psicologa Marie-Christine Gryson-Dejehansart, perito al processo, analizza come i 12 bambini siano diventati dei fantasmi.

‘’E’ l’ effetto perverso dell’ assenza di immagini dei bambini. Sono stati evocati attraverso i loro giocattoli, dei piani fissi di qualche parco giochi deserto – racconta -. Lo spazio delle vittime è stato riempito dagli imputati con la loro sofferenza. Ma quella dei bambini non è mai stata mostrata visivamente. Nessun genitore che piange davanti alle telecamere, nessuna intervista agli assistenti sociali, nessuna ombra con cui popolare un immaginario che deve solo compatire e proteggere. I bambini sono diventati così degli esseri virtuali’’.

E’ una difficoltà mediatica complessa, legata soprattutto al trattamento televisivo dell’ informazione. Una difficoltà per cui non è stata trovata ancora nessuna risposta. E’ normale che alcune vittime non abbiano nessuna voglia di essere mediatizzate. Altre invece sono frustrate.

’C’ è un risvolto malsano in questo banalizzare la violenza attraverso racconti orrorifici, in questo parlare dell’ aggressore come uno che ha del fascino – protesta Fanny, una vittima -. Mentre l’ eroina è la sopravvissuta! Ne è uscita e ora ha il coraggio di venire al processo!’’ (…).

Parlare di quello che non si vede è problematico. Soprattutto quando sembra regnare la più grande confusione, nella testa di alcuni giornalisti, fra quello che appartiene alla vita privata e l’ informazione su un reato presunto o provato. ‘’ Le grandi firme dei media francesi moltiplicano queste confusioni – scrive la giornalista Isabelle Germain sul sito d’ Informazione ‘’Les nouvelles news’’, all’ inzio dell’ affare DSK -. Infedeltà, orientamenti sessuali, frequentazioni di club per scambio di coppie, pratiche varie… Tutto questo riguarda solo i principali interessati e i media non dovrebbero impadronirsene. Se fra i protagonisti c’ è consenso, tutto questo riguarda la vita privata’’.

Il 18 maggio 2011, Nicolas Demorand scrive su Libération : ’Libération continuerà per principio a rispettare la vita privata degli uomini e delle donne politiche’’. Il Canard Enchaîné rincara: ‘’L’ informazione si ferma sempre davanti alla porta della camera da letto’’. ‘’Anche se dietro la porta si consumano delle violenze?’’, si chiede la giornalista. Un reato non è un affare privato.

E’ su questa base di confusione fra aggressione e sessualità che per esempio  Sud-Ouest ha potuto titolare, in relazione alla vicenda DSK : ‘’L’ uomo che ama le donne smodatamente’’.


Dalla ‘cronaca’ ai ‘problemi sociali’

E’ successo che lo stupro sia arrivato sulle pagine dedicate ai ‘’problemi sociali’’, ‘’idee e dibattiti’’ e ‘’la posta dei lettori’’ di quotidiani e magazine, oppure nelle trasmissioni di radio e tv nelle ore di grande ascolto.

‘’Quando svela un fenomeno nascosto per tanto tempo, la cronaca si trasforma in problema sociale – spiega Anne-Claude Ambroise-Rendu -. Cessa di essere una notizia qualunque, un avvenimento non classificabile, individuale e insignificante, e diventa un fenomeno sociale e collettivo’’. Ma si possono contare sulle dita delle mani le volte in cui questa sfera si è radicata nell’ attualità, investendo in modo duraturo  altre sezioni del giornale rispetto a quelle dei ‘’faits divers’’, della cronacaccia. E’ accaduto in occasione del processo a un gruppo di stupratori seriali, alla fine degli anni Settanta; nel periodo della ridefinizione giuridica e penale della violenza sessuale (nel 1980) ; durante lo scandalo delle violenze a ripetizione da parte di gang giovanili (soprannominate dai media ‘’tournantes’’); e, infine, nel contesto di violenze presunte o accertate commesse da celebrità:  Roman Polanski, Julian Assange e Dominique Strauss-Kahn. Osservare più da vicino questi moment-chiave può essere molto istruttivo.

Ma poi ci si accorge che nel momento stesso in cui il trattamento della violenza sessuale non si fa più sotto l’ angolazione della semplice cronaca e in cui si apre un dibattito, questo finisce a volte per rafforzare i nostri pregiudizi sulla questione.

Fine anni ’70: capovolgimento nel trattamento mediatico della violenza sui bambini. ‘’Per la prima volta l’ abuso sessuale sui bambini viene esumato dalle pagine di cronaca ed entra in quelle dei dibattiti sociali’’, segnala   Anne-Claude Ambroise-Rendu. Negli anni del dopo 68 la stampa alza il velo che era stato pudicamente steso sulla violenza ai minori e l’ incesto. Ma, paradossalmente, è ai difensori della ‘’pedofilia’’ che si deve la trasformazione del genere. Il primo dibattito nella società mediatica attorno alla violenza sessuale nasce infatti attorno a questa domanda: i bambini di meno di 15 anni hanno diritto a una sessualità? Alcuni giornali denunciano la violenza sui bambini, altri tentano di conferirle una sorta di ‘’dignità’’ iscrivendola in una rimessa in questione globale e radicale dell’ ordine sociale e morale.

’Tutto comincia, potremmo dire, nel gennaio del 1979, con la rivelazione fatta dal settimanale Minute dell’ arresto a Saint-Ouen di un istruttore sportivo, Jacques Dugué –  aggiunge la storica -. Convinceva i bambini a prostituirsi e aveva organizzato un traffico di fotografie dei suoi giochi sessuali. In alcuni giornali, fra cui Libération e Le Monde, si assiste all’ emergere di un personaggio inedito, lontano dal mostro di sempre. Un uomo che ama i rapporti sessuali con i bambini ma denuncia qualsiasi tipo di violenza e si definisce lui stesso come un pedofilo’’

Il 21 gennaio 1979, una lettera scritta da Jacques Dugué dalla prigione viene pubblicata da Libération. ‘’Un bambino che ama un adulto sa molto bene che non può ancora donare qualcosa, e quindi capisce e accetta molto bene di ricevere (…) questo fu il comportamento nei miei con fronti dei ragazzi che ho sodomizzato’’, afferma l’ uomo che il quotidiano loda per la ‘’sua franchezza in merito alla sodomia’’.

’Lo stupro infantile diventa così, allo stesso titolo dell’ amore libero, delle coppie informali, dell’ omosessualità e della zoofilia, una manifestazione di un diritto alla differenza che costituisce una nuova forma di rivendicazione allo stesso tempo culturale e politica’’, continua la storica. Però, non si dà la parola ai minori, si parla a loro nome. Ecco quindi in quale contesto si gioca questo primo dibattito mediatico sulle aggressioni sessuali: pro o contro la violenza sui minori?

Un altro episodio pilota: lo scandalo degli stupri collettivi dei ‘’tournantes’’. Tra il 2001 e il 2003 il tema invade brutalmente i media. Al pari di altre manifestazioni della presunta ‘’insicurezza’’ che domina in quel periodo tutti i dibattiti, questi comportamenti vengono presentati come un fenomeno nuovo, in piena espansione. Ancora una volta le violenze sessuali escono dalle pagine di cronaca. Ma…’’ il trattamento dei violentatori dei ‘tournantes’ nel dibattito pubblico ha imputato questo fenomeno alla supposta barbarie di giovani provenienti dagli ambienti degli immigrati’’, osserva il sociologo Laurent Mucchielli. Lo stupratore è l’ altro. L’ Arabo che sta dall’ altra parte della Periferica (il raccordo parigino, ndr). Nella sua opera ‘’Le scandale des « tournantes », dérives médiatiques, contre-enquête sociologique’’ [5], il docente smonta le affermazioni mediatiche di allora: ‘’Queste pratiche non sono una novità. Delle osservazioni analoghe sono state fatte nei quartieri popolari negli anni ’60 – spiega -. I violentatori erano uomini bianchi. E niente d’ altronde indica che ci sia stato un aumento di questi crimini. La sola statistica disponibile, quella giudiziaria, indica una stabilità globale negli ultimi venti anni’’.

Questo incendio mediatico nel pieno di una campagna elettorale concentrata sul tema dell’ insicurezza, delle violenze urbane, della paura dell’ Islam e delle violenze nei confronti delle donne. ‘’Il discorso mediatico finisce per de-colpevolizzare le misure repressive che saranno prese al posto del riesame delle cause reali di queste violenze’’.

Laurent Mucchielli mostra come le notizie di agenzia abbiano segnalato per anni i processi per stupri collettivi. Ma, prima del 2001, queste notizie non suscitano l’ interesse della stampa. Non producono senso: sono dei fatti di ‘’cronaca’’. ‘’Al contrario, a partire da allora, i giornalisti cominciano a precipitarsi nei tribunali per ‘coprire’ i processi per stupri di gruppo. Ormai si tratta di vicende di rilievo sociale, diventano cioè simbolo di qualcosa di più generale: il ‘male delle periferie’, la ‘crisi dell’ integrazione’, la gioventù ‘sempre più violenta’, ‘che non ha più nessun valore’ ‘’.

Ultimamente l’ interesse mediatico per le aggressioni sessuali si è cristallizzato attorno alle vicende Roman Polanski, Julian Assange, Georges Tron (il ministro francese coinvolto in uno scandalo sessuale, ndr)  e Dominique Strauss-Kahn. (…)

Parlare della violenza sessuale attraverso delle vicende che coinvolgono i potenti comporta un doppio effetto. Uno negativo: una mediatizzazione di tipo sensazionalista, una rincorsa alle informazioni ‘’people’’, che impediscono di porsi i veri interrogativi.

Un altro positivo (…). Clémentine Autain descrive nel maggio 2011, su Libération, il gelo che ha colto il pubblico e i giornalisti all’ annuncio delle accuse contro Dominique Strauss-Kahn. ‘’Nessuno, a parte i due protagonisti, sanno quello che è realmente accaduto nella suite del Sofitel newyorkese – commenta -. Ma il modo con cui l’ avvenimento è stato recepito racconta qualcosa di profondo sulle nostre rappresentazioni. Dopo la rivelazione, la Francia era in stato di chock. Quello che non si riesce a capire è come un uomo di potere così elevato abbia potuto violentare una cameriera d’ albergo’’.

Questa incredulità esibita da un gran numero di editorialisti non meraviglia affatto i sociologi, i quali spiegano come i giornalisti non abbiano mai introiettato il fatto che la violenza sessuale abita anche negli ambienti sociali più elevati. Abituati a trattarli come fatti da tribunale, in cui vengono condannati (…) una maggioranza di poveri.

’Il mondo politico e mediatico parigino è compost da persone che vengono dalle classi superiori, che capiscono solo quello che li disturba – osserva Laurent Mucchielli -. Spesso, quando parlano di violenza sessuale, l’ élite dirigente denuncia a gran voce la depravazione dei costumi delle classi povere. Tutto questo per non vedere quello che accade nelle loro strade’’.

Per  Natacha Henry, l’ affaire DSK potrebbe però cambiare il quadro. ‘’La vicenda ha permesso di mettere in mostra il cattivo gusto di alcuni intellettuali francesi totalmente sessisti, a cui i media danno largamente la parola. E, in modo nuovo, la gente è stata d’ accordo con le femministe nel dire che non se ne può più di questi discorsi!’’.

—–

Note

[1] Audrey Guiller e Nolwenn Weiler, Le viol, un crime presque ordinaire, Le Cherche-midi, collezione « Documents », Paris, octobre 2011, 208 pages, 14,90 euros.

[2] Éditions Michalon, 2008.

[3] Soprattutto per la trasmissione « Enquêtes criminelles », diffusa su W9.

[4] Hugo & Cie, 2011.

[5] La Découverte, 2005.

——-

(La traduzione è stata effettuata sul testo pubblicato da Acrimed)