Come recuperare il valore dei contenuti ”rubati”

Fair

Solo nel mercato Usa per i giornali e le 3 maggiori agenzie quel valore sarebbe pari a 250 milioni di dollari l’ anno – Frédéric Filloux rilancia la questione della violazione del copyright e ragiona su quale parte di questo valore potrebbe essere realisticamente recuperato, sostenendo che, secondo delle prime stime, si potrebbe ottenere almeno il 10% del valore sottratto – Gli editori stanno cominciando a pensarci seriamente – E un primo network pubblicitario ha aderito al Fair Syndication Consortium, un consorzio costituito per l’ occasione

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’’Per i giornali e le tre maggiori agenzie di stampa, il valore netto attuale dei contenuti rubati è pari a circa 250 milioni di dollari, solo sul mercato Usa’’, dice Jim Pitkow, cofondatore e Ceo di Attributor.  E solo per le tre grandi agenzie di stampa, il valore sottratto sarebbe pari al 40% dei ricavi globali.

Lo segnala  Frédéric Filloux sull’ ultima Monday Note , in una riflessione in cui rilancia i dati emersi da una ricerca compiuta in autunno da Attributor (vedi Lsdi) e ragiona su quanta parte di questo valore potrebbe essere realisticamente recuperato.

Secondo delle prime stime, riporta Filloux, si potrebbe ottenere almeno il 10% del valore sottratto. Gli editori stanno cominciando a pensarci, seriamente. E un primo network pubblicitario ha aderito al Fair Syndication Consortium, un consorzio costituito per l’ occasione.

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da

‘’Cashing in on stolen contents’’
di Frédéric Filloux
(Monday Note)

Editori, quanti soldi vengono persi per il furto dei contenuti? E quanti ne possono essere realisticamente recclamati?

Nelle scorse settimane ho acquisito una prospettiva di prima mano sulla tecnologia anti-pirati. La tecnologia è Attributor’s e la testata che vi ha fatto ricorso è l’ Agence France-Presse, una delle tre grandi agenzie mondiali di informazione insieme a AP e Reuters (Chiarimento: recentemente ho realizzato uno studio di 15.000 parole per l’ AFP sulla sua strategia e il suo futuro; non lavoro più per l’ agenzia, ma ho conservato rapporti stretti con la testata).

Ogni giorno, dunque, l’ AFP manda circa 400 servizi ad Attributor – una frazione della sua produzione quotidiana. Queste notizie vengono quindi ‘’seguite’’ su un insieme di siti web, sia di soci che di testate non socie dell’ agenzia. Usando una interfaccia molto semplice, Attributor compie una valutazione dei vari siti a seconda della loro propensione a riutilizzare quei contenuti. Per i clienti regolari, il sistema mostra quante notizie vengono usate, qual è la percentuale di utilizzo e se i siti le hanno correttamente attribuite e linkate.

Per i non clienti il sistema consente di tracciare i contenuti rubati, facendo una distinzione fra abusi secondari, errori evidenti e, invece, sistematiche trasgressioni, e i dati relativi vengono visualizzati dal punto di vista statistico e della frequenza.

Per ovvie ragioni, non posso rivelare i media che ho analizzato attentamente. Consentitemi solo di dire che i risultati sono stupefacenti. Il materiale della France Presse è predominante. Per farla breve, comunque, ci sono tre tipi di abusi del materiale coperto da copyright.

– Il primo è una insufficient attribuzione. Un giornalista, per esempio, mette la sua firma su un servizio dell’ Agenzia. In gran parte dei casi, la firma si riduce alle due iniziali con l’ aggiunta ‘’con le agenzie’’ (in Italia di solito sparisce anche questa aggiunta, ndr), come mostra l’ esempio qui sotto, dove il testo prelevato dall’ AFP è stato automaticamente sottolineato col colore…

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Per questo articolo, possiamno dire tranquillamente che il contributo di ‘’M. D.’’ è stato minimo e sarebbe stato molto più carino lasciare semplicemente il riferimento ‘’Afp’’ alla fine di questo copia-e-incolla. (In questo caso particolare l’ articolo dell’ Afp stesso è un esplicito riferimento a uno scoop del Figaro: un esempio tipico della infinita circolarità dei contenuti su internet). Da un puinto di vista legale, non c’ è nessun particolare problema. Si tratta solo di una questione etica.

Un secondo caso è il cattivo utilizzo dei contenuti da parte dei blogger. In gran parte dei casi, I blogger non hanno scarsa conoscenza sul significato e l’ uso del copyright. E i grandi media che li ospitano non li aiutano certo. Così, senza neanche pensarci, un giovane e appassionato blogger che sta ‘’coprendo’’ il suo campo, prenderà in perfetta buona fede un intero pezzo dell’ Afp (o Ap o Reuters) e lo incollerà sul suo blog, questa volta con la giusta attribuzione. Salvo il fatto che non avrebbe alcun diritto di farlo. Ho visto  un grande sito francese, il cui capo detesta la France Presse, arrivare a coprire il 60% dei suoi contenuti con materiali illegamenmte ‘’preso in prestito’’ dall’ agenzia (anche se, rispetto a questa situazione, il sito ha comunque fatto dei grossi sforzi per correggere le cose). Ipocritamente, molti siti si trincerano dietro le dichiarazioni in corpo 6 dei termini di servizio in cui si avvertono i blogger che non possono appropriarsi di contenuti coperti da copyright. Il fatto è che molti di loro, compresi i grandi media, non fanno nulla per stimolare i loro collaboratori a tener conto delle norme sui diritti d’ autore.

Il terzo caso riguarda invece il furto deliberato puro e semplice. Potrebbe essere chiunque: siti che hanno sede all’ estero, attivisti di gruppi con scarsa audience, chiunque speri di evitare di essere scoperto.

Che peso può avere questo furto di contenuti? ’’Per i giornali e le tre maggiori agenzie di stampa, il valore netto attuale dei contenuti rubati è pari a circa 250 milioni di dollari, solo sul mercato Usa’’, dice Jim Pitkow, cofondatore e Ceo di Attributor, che ho incontrato nei giorni scorsi a Parigi. Per arrivare a questa stima, Attributor calcola la pubblicità associata ai contenuti violati e la moltiplica per i CPM (il costo per migliaia di contatti) e l’ audience del sito. Nel dicembre scorso Attributor ha diffuso uno studio che per la prima volta ha mostrato l’ ampiezza del riutilizzo illegale dei materiali giornalistici.

Lo studio ha coperto un insieme di 100.000 articoli apparsi su 157 quotidiani Usa monitorati per un mese, rilevando che nei 30 giorni esaminati (dal 16 ottobre al 15 novembre 2009) 75.195 siti web avevano utilizzato senza permesso almeno un articolo di qualche quotidiano Usa. Complessivamente, in quel periodo, sui siti sono comparsi qualcosa come 112.000 copie pressoché integrali degli articoli originali e, in media, ogni articolo è stato riutilizzato per 4,4 volte.

Ma anche i libri non vengono risparmiati, aggiunge Filloux, un’ altra ricerca condotta da Attributor, secondo cui i libri ‘’piratati’’ online rappresentano circa il 10% di tutti i libri venduti negli Usa. I generi più saccheggiati sono quelli di taglio economic e finanziario con una media di 13.000 download a titolo, seguiti dai titoli di carattere professionale e scientific. In questo campo, secondo Attributor in questo modo vengono perduti oltre 1 milione di dollari a causa della pirateria online!

Cosa che – dice Filloux – ci porta all’ ultimaquestione: quanta parte di questo valore potrebbe realisticamente essere recuperato? Il settore librario teniamolo da parte, visto che ha le stesse caratteristiche della musica: massiccia disponibilità attraverso il peer-to-peer e debolezza della protezione dei files. Lo sviluppo degli ebooks dovrebbe comunque attenuare il problema.

Jim Pitkow ammette che solo una frazione delle potenziali perdite relartive ai contenuti giornalistici possono essere reclamate. A suo parere il valore perso dale agenzie – calcolato sempre all’ incirca in base ai parametric della pubblicità – ammonti grossolanamente al 40% dei ricavi globali di AFP, AP e Reuters messi insieme.

Le operazioni di recupero dovrebbero avere questa cadenza. Fase 1: scoperta e valutazione dei più evidenti trasgressori (i blogger singoli verranno tralasciati così come i trasgressori accidentali, troppop frazionati per essere considerati). Fase 2: lettera dell’ avvocato inviata ai maggiori ‘’ladri’’, in cui si impone, o la smetti oppure trattiamo.

Quanto si potrebbe ricavare? Troppo presto per dirlo. L’ Afp per esempio ha appena avviato la fase operativa. Ma la stima è attorno al 10% del valore presumibilmente perduto, che significano milioni di dollari per ciascun singolo mercato.

Ma questo è solo l’ inizio. Attributor è in stretto contatto con Google che, come nel resto della Rete, tiene in mano le chiavi del valore. A parte questo, una parte importante della strategia di Attributor punta a coinvolgere i network pubblicitari, che possono giocare un ruolo importante nel calo generale della pubblicità sul web. Uno di questi, Ad Brite, ha aderito al Fair Syndication Consortium messo in piedi da Attributor per recuperare un po’ di soldi. Altri ancora potrebbero seguirlo. Chiamiamolo il riscatto dei ‘’bottom feeders’’.

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