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latimes.com: web-stupidi ma decisi a rifarsi il trucco

«Come testata d’informazione, non siamo affatto web-esperti. Tutt’altro, siamo web-stupidi». Più esplicita di così non poteva essere la conclusione di un rapporto interno del Los Angeles Times sulla proprie attività online. Mancanza di leadership e concentrazione sul sito, staff ridotto (18 redattori contro i 200 del Washington Post e i 50 del New York Times), tecnologia non proprio up-to-date, integrazione mancata fra la redazione dell’edizione cartacea e quella online: ecco le cause maggiori del ritardo accumulato da latimes.com. E che hanno portato all’annuncio odierno, da parte dell’editor-in-chief James E. O’Shea di «nuovi progetti mirati ad espandere l’audience e le entrate generate dal sito web», segnala un editoriale odierno sullo stesso quotidiano. Da notare che all’autunno 2006, il latimes.com era al 766.o posto tra siti più attivi del mondo (dati Alexa Internet), mentre il nytimes.com era 95.mo (21.mo in Usa) e il washingtonpost.com 264.mo (54.mo in Usa). Oltre a nuove assunzioni, si prevede un “crash course” per stimolare al meglio l’integrazione tra le redazioni interne, aggiunta di funzioni multimediali, soprattutto per news in arrivo dalle due dozzine di reporter esteri, e stretti contatti con le comunità locali. Non si fa tuttavia menzione di alcun citizen journalism, chiudendo con un accorato ma generico appello da parte di O’Shea: «Usiamo il grande giornalismo per far vedere al mondo che i giornali e i giornalisti che li creano non sono defunti». Possibile che nel futuro del “grande giornalismo” non si preveda un qualche tipo di intervento per i lettori-reporter?

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