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Who killed the newspaper?
LA STAMPA E’ MORTA
VIVA LA STAMPA!

Un articolo di Benoit Raphael a proposito delle campane a morte dell’ Economist – Il business model della carta non ha, matematicamente, un futuro, ma la carta ne ha ancora perché contribuisce a consolidare il marchio – E nell’ iperconcorrenza che si annuncia sul mercato online di news e servizi, l’ implicazione storica e affettiva del marchio-giornale nella vita quotidiana dei cittadini è più che un atout, è un cuore che batte.





Documento senza titolo

 

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Appena rientrato dalle vacanze – scrive Benoit Raphael sul suo blog ‘’Demain tous journalistes?’’ (http://benoit-raphael.blogspot.com/) – ritrovo il buon vecchio mondo dei media tradizionali in uno stato di tristezza avanzata. MySpace sbarca in Francia e sento già vari confratelli parlare (a torto) di nuova minaccia per i media. ‘’Minaccia’’ è una parola molto alla moda in questo momento nelle redazioni francesi.

Peggio: appena il Centro Precepta pubblica uno studio da 3000 euro (leggi qui, qui e ) per rivelarci che la stampa france è (molto) in ritardo sull’ online (e chi ne dubitava?), ecco che l’ Economist ci dà sotto con le sue trombe: perché, dice, i giornali sono morti ! (leggi qui, qui e qui). Oppure lo saranno presto. Scompariranno nel 20043 per esempio.  Ma l’ anno scorso si diceva la stessa cosa, ma si parlava del  2014 o 2015. D’ altra parte per uno dei più grossi gruppi editoriali del mondo,  Knight Ridder, questo è avvenuto senza alcun dubbio già nel 2005 (qui e ). L’ impero non ha saputo adattarsi al cambiamento, ed è probabilmente questo il vero problema.

Insomma, al rientro tira aria da 2 novembre. Quando nel mio intervento al congresso
“Médias et proximité” di Biarritz ho spiegato, cifre alla mano, che il business model della stampa scritta a pagamento era morto, ho creduto che qualcuno dei colleghi stava per strozzarsi.   “Senti bello, è ancora la carta che ti fa campare, non lo dimenticare’’. E’ vero, certo: oggi non è con internet che si porta a casa la bistecca, ma è con la carta.

Ma (…) è chiaro che i giganti della carta devono fare oggi come facevano i nostri nonni: allevare i figli per assicurarsi la pensione. La carta che guadagna soldi deve investire nell’ online, che per ora non guadagna, in modo che domani l’ online possa far vivere la carta.

Il business model della carta non ha, matematicamente, un futuro, ma la carta ne ha ancora, fino a nuovo ordine, perché contribuisce a consolidare il marchio. Quelli che affermano il contrario non sono degli strateghi. E anche se, alla fine, il supporto cartaceo non avesse un futuro, dov’ è il problema? E’ un affare dei commercianti di carta, on degli editori. Sony, che aveva appena inventato il walkman non ha certo vissuto l’ arrivo del cd come la campana a morto della sua professione. Al contrario. Ma l’ industria elettronica è organizzata e ruoto attorno al cambiamento. Non la stampa. Ed è qui il suo punto debole, se non mortale…  

La stampa è morta? Viva la stampa!  La stampa oggi, soprattutto quella locale, è prima di tutto una comunità, un marchio. E’ un solco tracciato anno dopo anno nel paesaggio della popolazione. Mezzo secolo fa,  ricorda Loïc Le Meur, Arthur Miller dicevagià che un buon giornale era una nazione che parlava a se stessa. E’ su questa base ancestrale che riposa il vero modello economico della stampa di domani: la comunità. Non la sola vendita di contenuti, che per il momento non prefigura nessun business model promettente

Nell’  iperconcorrenza che si annuncia nell’ online sul mercato di news e servizi, l’ implicazione storica e affettiva del marchio-giornale nella vita quotidiana dei cittadini è più che un atout. E’ un cuore che batte.

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