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LA TV AFGHANA TENTA LA STRADA DEL PLURALISMO

Un articolo di Daniel Psenny su
Le Monde

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Documento senza titolo

Vietata dai talebani che, negli anni al potere dal 1996 al 2001, avevano messo al bando ogni forma di rappresentazione artistica, la televisione ha fatto la sua riapparizione in Afghanistan. Segno dei tempi, in questo Paese sempre in guerra, le parabole cominciano a spuntare come funghi sui tetti delle case di Kabul e i negozi specializzati sono pieni di televisori, videoregistratori, lettori DVD.
Nei numerosi bazar della città, i commercianti propongono per qualche afgani (la moneta locale) un numero impressionante di DVD pirata degli ultimi film di Hollywood e di Bollywood, oltre che di telefilm americani.
Dopo l’arrivo degli USA nel 2001, e l’elezione del presidente Hamid Karzai nel novembre del 2004, sono nate una cinquantina di stazioni radio, tre televisioni commerciali nazionali e una miriade di tv locali. Queste si dividono un pubblico di dimensioni incerte, disseminato nelle trentadue province e composto da gruppi etnici di lingue diverse. Questa situazione è un rompicapo per i canali che alla fine hanno scelto di privilegiare il persiano dari, parlato da più della metà della popolazione, e il pashto, parlato dal 39% degli abitanti. Altre radio e televisioni locali si indirizzano nelle loro lingue agli Uzbeki, ai Turkmeni, ai Belucistani e alle differenti etnie minori che parlano oltre trenta lingue diverse.
La Radio-Televisione afgana (RTA), l’unico canale pubblico, sta stentando a trovare la propria identità, dopo essere stata utilizzata come canale di propaganda dai sovietici prima, dai moudjahidine e dai talebani poi. Najib Roshan, nominato direttore generale di RTA nel gennaio scorso, vorrebbe restituire un posto legittimo a questo canale che trasmette ancora solo poche ore al giorno. Nel corso del suo lungo esilio in Germania, ha imparato il metodo del marketing occidentale e si è preso in carico il lavoro – non senza problemi- di riformare la televisione pubblica.
‘Sto incontrando molti ostacoli sia all’interno che all’esterno’ riconosce Roshan, il cui obiettivo è di ‘trasformare RTA in un vero servizio pubblico perché non sia più un organo di Stato. Ma per fare questo, bisogna fare ricorso a nuove forze perché si possa essere competitivi con i concorrenti privati’.
Un discorso radicale che spaventa gli oltre 1300 dipendenti di RTA assunti più per la loro appartenenza religiosa o politica che per le loro qualità professionali. Ma Roshan non dispera però di riuscire a proporre presto ‘dei veri notiziari con immagini e contenuti pluralisti’.
Questa volontà è apertamente appoggiata dal governo Karzai, che dovrebbe a fine agosto far votare una nuova legge sui prodotti audiovisivi dal Parlamento. Questa normativa istituirà il Media Hight Concil, un organo di controllo e regolamentazione, composto da nove membri eletti dal Parlamento per cinque anni. Questo Consiglio superiore dell’audiovisivo (CSA, in Francia organo di controllo che controlla le attività legate al materiale audiovisivo) afgano avrà il compito di nominare l’amministratore delegato di RTA oltre che alcuni quadri dirigenti e attribuirà le frequenze al settore privato.
Questo processo di transizione democratica è seguito molto attentamente dall’Unione europea, che potrebbe a fine anno sbloccare un aiuto finanziario di diversi milioni di euro per aiutare il settore audiovisivo afgano. La Commissione europea ha incaricato la BBC, la Deutsche Velle e Canal France Internatiobnale (CFI) di aiutare il governo afgano a delineare il nuovo testo di legge. CFI si occuperà in particolare del quadro legislativo, del piano di formazione del personale, della gestione e del miglioramento delle risorse di RTA, soprattutto per quanto concerne la pubblicità.
Il canale francotedesco Arte è a sua volta molto presente nella capitale afgana, dove il suo direttore internazionale, André de Margerie ha stipulato a metà giugno degli accordi di cooperazione con RTA e il canale privato Tolo TV. I due canali afgani potranno beneficiare gratuitamente di sessanta ore di programmi forniti da ARTE France.
De Mangerie ne ha approfittato per inaugurare le nuove attrezzature dell’auditorium del liceo francese Esteqlal, finanziato da Arte France, il ministero degli affari esteri, la Fondation de France e il consiglio regionale Midi – Pyrénées.
È in questa sede che si è tenuto, dal 17 al 23 giugno, il primo Festival internazionale del documentario, organizzato dal Centro culturale francese e il Goethe Institute di Kabul. Una tavola rotonda ha messo insieme, per la prima volta, tutti i rappresentati afgani delle televisioni pubbliche e private che hanno discusso dell’avvenire della televisione nel Paese.
Diretta dai tre fratelli Mohseni, Tolo TV, il principale canale televisivo privato del Paese lanciato nel 2004, è una filiale della holding Moby, nella quale sono state riunite tutte le attività legate ai media (radio, stampa, televisione etc.). Dal loro lungo esilio in Australia, dove hanno preso la nazionalità, i fratelli Mohseni hanno acquisito tutti gli strumenti per la gestione della tv commerciale che ora mettono in pratica in Afghanistan.
Redditizia, finanziata per il cento per cento dalla pubblicità, Tolo TV propone dei programmi che non rispettano l’ortodossia religiosa. Tra i film di Bollywood e le serie iraniane o indiane, il canale ha trasmesso, all’inizio dell’anno, ‘Afghan Star’, una trasmissione ispirata a ‘Star Academy’ che ha avuto un successo straordinario nel Paese.
I fratelli Mohseni  stanno considerando la creazione di un canale dedicato esclusivamente all’informazione in lingua pasto. Una scommessa rischiosa in un Paese dove il mestiere di giornalista resta uno dei più rischiosi. Nel 2005 una delle presentatrici di Tolo TV è stata assassinata a casa sua. L’inchiesta ha attribuito l’omicidio a ‘una controversia familiare, ma restano i dubbi sulle cause di quella morte. ‘La televisione è un rischio continuo, soprattutto in Afghanistan’ sottolinea Hossein Neqsad, direttore di Tolo TV.

(traduzione di Maria Itri)

 


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