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Col nanopublishing editori di se stessi?

“Ehi! Negli USA Gawker Media paga 2000 dollari al mese i propri collaboratori! Allora significa che ci si può guadagnare, sui blog”.

E’ così che qualche giorno fa su Macchianera , uno dei blog italiani più seguiti, Gianluca Neri ironizzava a proposto di ‘’tutto questo sparlottare sui blog di Nanopublishing’’.

Fra le tante scorciatoie alla complessità del mondo che la rete e le tecnologie che la sostengono hanno fatto balenare c’ è anche la possibilità di usare il web come piattaforma agile per fare gli editori di se stessi.
E’ il nanopublishing.

Se ne sta riparlando di nuovo in questi giorni – giorni di congiuntura sempre più incerta anche sul fronte della professione giornalistica – su molti blog . Ci sono pareri discordanti come al solito, con gli ottimisti che guardano anche ad alcune esperienze Usa che sembrerebbero promettenti e i pessimisti che ricordano le varie illusioni – e le relative ‘’bolle’’ – che la rete ha registrato e macinato in questi anni.

Forse vale la pena darne conto. Spiegando meglio, intanto, che cos’ è il nanopublishing.

Sergio Maistrello (qui) ):
Si sfrutta una piattaforma di pubblicazione semplice ed economica e si creano aggregazioni di contenuti verticali che massimizzino le entrate attraverso i sistemi di micropubblicità come Google AdSense e attirino potenziali investitori interessati a gruppi – contenuti, ma omogenei – di lettori. In cambio si offrono a chi legge alcune garanzie di base su aggiornamento, approfondimento e qualità dei contenuti che un blog personale non sempre è in grado di offrire.

Alessandro Biancardi e Alberigo Massucci su Punto informatico aggiungono:

si tratta di ‘’una nuova forma di editoria che da anni non ha mai smesso di svilupparsi, fruendo in modo via via crescente della creatività di un nugolo di blogger. “Nano”, dunque, sta qui per un sistema di informazione leggero, distribuito, scevro delle tonalità industriali e dalle pesantezze (se non addirittura compromessi) dell’editoria mainstream e soprattutto capace di interpretare e cogliere al volo le novità e i segnali di cambiamento e le tendenze. Una revolution con cui l’editoria tradizionale non potrà a lungo evitare di fare i conti’’.

Il primo a lanciare l’idea era stato Nick Denton con Gawker media , seguito da vari proseliti.

Anche in Italia sono sorte e continuano a nascere varie esperienze.

Caymag – ad esempio -, che è una webzine (o blog, se preferisci) lanciata nel Settembre 2004 da Giorgio Baresi ed Andrea Corti e dedicata a tutto ciò che riguarda le nuove tendenze nel campo della tecnologia, del design, dell’arte e della moda.

Oppure Peperosso – altro esempio – , sito di cibo e vini.

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Ma veniamo al dibattito:

Su Macchianera – Gianluca Neri è molto franco:

Io, tutto questo sparlottare sui blog di Nanopublishing, non lo capisco (…). Il trend attuale, dice , è: “Ehi! Negli USA Gawker Media paga 2000 dollari al mese il propri collaboratori! Allora significa che ci si può guadagnare, sui blog”.
Rispondo io: no, non ci si può guadagnare sui blog. E quindi è pressoché inutile apriate il blog culinario per il target delle casalinghe; quello del lusso per i fighetti; quello della moda ggiovane per gli adolescenti; quello sui vini per gli intenditori; quello sui motori per gli amanti dei bolidi: non c’è trippa per gatti.
Perché?

Un blog (fatte poche eccezioni) nasce dal basso, cresce e solo dopo diventa appetibile per eventuali investitori pubblicitari.

Gli investitori pubblicitari, appunto, non esistono. Non in questo momento, almeno. Al momento esistono piccolissimi investitori e microscopici guadagni. I numeri che un blog può esibire sono ancora sconfortanti per un’agenzia di pubblicità, e demoralizzanti per l’autore che lo cura.

Massimo Mantellini gli risponde su Manteblog con una
APOLOGIA DEI NANOCOSI

Oggi Gianluca ha argomentato i suoi due centesimi sul nanopublishing. Spiego in due parole perche’ francamente sono poco d’accordo con quanto ha scritto. In realta’ non vedo dove sia il problema. In Italia stanno nascendo una miriade di weblog piu’ o meno professionali sugli argomenti piu’ disparati. Cosa li differenzia dai blog personali e amatoriali che in tanti abbiamo tenuto in questi anni? Li differenzia un progetto editoriale, piccolo o grande che sia, ed anche la speranza di monetizzare in futuro, in un modo o nell’altro, i contenuti che si producono.

Nasce qualche problema da questo? C’e’ qualche motivo di vergogna per una simile aspirazione? Secondo me no. C’e’ semmai un vantaggio. Per esempio per me che sono un lettore (io credo di essere molto prima un lettore di qualsiasi altra cosa): questi progetti mi consentono di leggere nuovi siti tematici su argomenti di mio interesse.

Credo non sia corretto dire che il nanopublishing oggi si caratterizzi solo per l’uso di uno strumento di pubblicazione standard (il weblog). I pochi weblog che leggo nati all’interno di questi progetti editoriali (cito melablog.it per dirne uno di cui ho gia’ parlato in passato e che e’ nei miei feed) sono dei veri e propri weblog: mantengono un tono colloquiale, sono aperti ai commenti, sono strumenti editoriali infinitamente piu’ veloci e freschi dei siti web che fino all’altro ieri trattavano gli stessi argomenti. Sono settoriali, fanno risparmiare tempo. Hanno i feed. Insomma io lettore francamente me ne infischio delle dinamiche della new economy. Saranno affari di blogo o communicagroup trovare la maniera di far convivere l’anima amatoriale con quella imprenditoriale. Loro le scelte se rendere i loro network aperti verso l’esterno o meno. Personalmente mi pare che oggi sia meglio di ieri. Che abbiamo a disposizione piu’ strumenti, fatti meglio, piu’ efficaci.

(…) Quello che a me pare evidente, e lo dico da amatore assoluto che non ha mai immaginato alcun utilizzo di questo weblog differente da quello che vedete ogni giorno, e’ che il boom del nanopublishing italiano, euforico ed esagerato, ammaliato dalle acquisizioni milionarie d’oltreoceano e nella maggioranza dei casi destinato certamente all’oblio, e’ banalmente una scommesa di qualita’ fuori dai circuiti della grande informazione: Non basta? Se i nanocomunicatori saranno piacevoli, collegati, aggiornati ed intelligenti li leggeremo. Se no, pazienza.

Ribatte Gianluca Neri:

Se poi per le centinaia di nanoblog italiani che ho visto nascere in queste settimane ci scapperà il soldo, ben per loro, mi congratulo sinceramente.

Però vedere quattro diverse piattaforme italiane farsi concorrenza attraverso quattro distinti blog sulla televisione; tutta questa corsa al link ai blog del tuo nanoeditor (“nanoeditor”: mi ricorda qualcosa!); la parsimonia dei riferimenti ai blog del nanoeditor concorrente; tutte queste reti chiuse, questi networkini dell’usato, beh, intristiscono parecchio.

Chiedo: quanti ne chiuderanno, nel giro di qualche mese? Quanti degli autori che li curano torneranno schisci schisci al proprio blog amatoriale (se ancora avranno voglia di scrivere)? E quale saranno, alla fine, i frutti di questo immane e inutile sforzo? Una campagna di un’azienda automobilistica, 40.000 euro per tre settimane?

Ma questa, signori, era la cara vecchia New Economy nel momento in cui l’acqua le aveva superato la gola: siete partiti con cinque anni di ritardo.

Ma Luca Conti, di Pandemia , non è assolutamente d’ accordo:

Sintesi dell’attacco: sembra di essere tornati ai tempi della new economy, ma in realtà non c’è trippa per gatti (pubblicità per siti e blog) e quindi il nanopublishing nostrano è destinato a scoppiare in una bolla di sapone. L’unica incertezza sta sulla data di morte, anche se l’agonia sembra breve.

Mi permetto di dissentire, portando alcuni argomenti e ponendo alcune domande.

Gli Stati Uniti non sono L’Europa e l’Europa non è L’Italia. Fare parallelismi è quindi azzardato, me ne rendo conto. Ad ogni modo sappiamo benissimo che le tendenze del web (e di tante altre cose) nascono negli Stati Uniti e varcano l’oceano, dopo un periodo di tempo imprecisato e variabile.

Il mercato americano, per i numeri che sviluppa, per le aziende multinazionali che competono al suo interno, per l’essere in lingua inglese (universale per definizione), ha delle dimensioni inarrivabili dai singoli mercati nazionali europei. L’Europa come mercato unico supera già gli USA, ma linguisticamente è frazionata in mille rivoli.

Nonostante questo, con le dovute proporzioni e con i dovuti distinguo, non possiamo onestamente pensare che ciò che è avvenuto e sta avvenendo negli USA non avvenga prima o poi anche in Europa e in Italia.

Il nanopublishing è un fenomeno globale, da non sottovalutare nei suoi effetti. Non sostituirà i grandi media, ma allo stesso modo un contributo lo imporrà. Negli USA, solo per citare alcuni recenti fatti:

– AOL ha pagato i 100 blog di Weblogs Inc. 25 milioni di dollari;

– Il New York Times ha acquisito About.com mesi fa, pagando per guide simil blog la bellezza di 400 milioni di dollari;

– Yahoo! News offre i contenuti di 5 blog di Gawker Media insieme a AP, Reuters e Usa Today;

– Yahoo! sta al massimo da 5 anni in borsa, dopo la notizia del WSJ che lo stesso Yahoo! ha venduto tutti i principali spazi pubblicitari per i prossimi 18 mesi

– Gli investimenti pubblicitari, anche contestuali, crescono in fretta, in tutto il mondo;

– Google è arrivato a capitalizzare più di Cisco, proprio perché con il boom dell’advertising previsto per il 2006 gli analisti prevedono utili in crescita esponenziale;

– Numerose società di venture capital hanno investito milioni di dollari in altri network di blog meno noti;

– Nel mondo e anche in Europa sono numerosi i gruppi che fanno nanopublishing, anche con investimenti minimi.

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Ci fermiamo qua.

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