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Giornalismo multicanale per spianare le Alpi

Dove sta andando il giornalismo? A quel paese, verrebbe da dire limitandosi – per non cadere nel triviale-. Forse a quel paese ci sta andando anche perchè si dà  per scontato che ci stia andando. Forse perchè mancano voglia e pazienza (o ce le hanno tolte) di uscire dai soliti luoghi comuni sulla professione.

Eppure, pur tra mille difficolt�, e tra migliaia di bicchieri vuoti che ti tolgono la speranza di trovarne uno mezzo pieno, qualcosa si muove. Come l’esperienza “alpina” che descriviamo: Enrico Bianda – giornalista che lavora per la Rtsi (Radio televisione svizzera italiana) e docente presso l’Università di Firenze dove si occupa di giornalismo e opinione pubblica - racconta di un progetto molto particolare legato ad una nuova figura di giornalista, un free-lance non sfruttato; Elisio Trevisan, giornalista de “Il Gazzettino”, vicesegretario del Sindacato giornalisti del Veneto, ha provato ad immaginare uno scenario “altro” proprio partendo dall’esperienza che si sta tentando nelle Alpi lungo i confini tra Italia e Svizzera.

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Giornalismo multicanale di Enrico Blanda
Uno scenario ‘altro’ di Elisio Trevisan

Giornalismo multicanale
di Enrico Bianda (RTSI, Università di Firenze)

In un contesto di allargamento del campo giornalistico – dove a mutare sono i contesti lavorativi, i percorsi professionali e la pratica giornalistica – parlare di giornalismo multicanale evoca scenari ancora non proprio chiari: che cosa significa, quale può essere il contesto tecnologico all’interno del quale si muove il giornalista, con quale status professionale questo giornalista si muove, che cosa resta dello statuto di free lance cui da qualche tempo ci eravamo abituati, quali sono inoltre le questioni che restano in sospeso, a livello sindacale e organizzativo, come si muovono infine, in questo contesto, le strutture aziendali consolidate.

Molte domande cui per il momento ancora non possiamo rispondere in modo esaustivo. Possiamo però provare a disegnare un orizzonte operativo che contribuisca a fare un po’ di luce.

Quando parliamo di allargamento del campo giornalistico intendiamo, riprendendo una nozione sviluppata soprattutto da Carlo Sorrentino [docente e ricercatore all’Università di Firenze, 2003, 2004], quel processo attraverso il quale vengono a ridefinirsi una serie di luoghi e contesti del fare giornalismo: si moltiplicano i luoghi dove si produce informazione, si moltiplicano le professionalità che possono essere ricondotte alla pratica giornalistica, cui per altro anche l’Ordine rende giustizia attraverso un’istituzionalizzazione di pratiche ormai consolidate all’interno del mercato editoriale.

In altri termini le professioni che fino a pochi anni fa non rientravano – per convenzioni, rigidità, mancanza di una normativa di riferimento e molti altri legittimi motivi – nel quadro della pratica giornalistica, oggi vengono assorbite e legittimate dalle istituzioni.

E’ una logica risposta ad un cambiamento irreversibile, del mercato editoriale, delle necessità sociali (si parla spesso allora di allargamento dello spazio sociale rappresentato) e del sistema tecnologico che investe tutti gli spazi dell’informazione.

Proprio in relazione alla trasformazioni del mercato (cresce una domanda di rappresentazione mediale) e del sistema tecnologico (in particolare in chiave di digitalizzazione), possiamo cominciare a parlare di giornalismo multicanale: in sintesi la capacità del giornalista di muoversi tra formati e media diversi, proponendosi, ove necessario, come imprenditore dell’informazione in grado di rispondere alle esigenze dei vari media a copertura del territorio.

In altre parole il giornalista così definito, in virtù di un sapere tecnologico allargato e di una formazione multidisciplinare (sguardo comprendente sulla realtà), è in grado, o dovrebbe essere in grado, di trattare una notiziain video, in audio, per la carta stampata o in fotografia.

E’ evidente che il salto qualitativo è grande, che lo stesso implica un processo formativo complesso ed una consapevolezza matura. Al contempo occorrerebbe una maturità da parte del sistema editoriale che forse in Italia ancora non abbiamo, come ancora inadeguato sembra essere il complesso tecnologico su cui poter contare (non ultimo il problema del consumo di informazione in un paese dove la banda larga è ancora poco diffusa anche se in crescita).

Ciononostante qualche esempio lo possiamo già segnalare.

Un tentativo in questa direzione è quello portato avanti da un progetto del CNR in collaborazione con alcune testate giornalistiche per la creazione di un motore di ricerca dedicato ai giornalisti: si tratta di mettere a punto un motore in grado di ricercare all’interno del mare di informazione prodotto su tutti gli argomenti, una scelta di notizie in diversi formati e media.

Poniamo ad esempio la liberazione degli ostaggi prigionieri in Iraq: la ricerca dovrebbe permettere al giornalista interessato di accedere a tutti quei prodotti giornalistici, su tutti i formati e i media, che hanno trattato quell’argomento.

La logica perseguita in questo progetto è proprio quella del giornalismo multicanale, partendo da un dato ormai consolidato: le redazioni sono sempre più attive su più fronti, e l’informazione di cui ha bisogno, al di la di quella direttamente prodotta, è sempre più orientata al multicanale.

Se ribaltiamo la logica, e da una lettura di ricerca di produzione passiamo ad una di produzione, occorrerà trovare giornalisti specializzati in grado di muoversi simultaneamente su più piani.

In questa direzione sembra andare anche un progetto transnazionale legato all’area alpina e ad un finanziamento europeo: la creazione di un’agenzia giornalistica tematica e definita su un territorio, cui collaborano la Francia, l’Italia, l’Austria e la Svizzera. Una piattaforma digitale come base, una redazione centrale snella ed una rete di corrispondenti su tutto il territorio alpino in grado di coprire, con una logica multicanale, le notizie di rilievo. In questo caso abbiamo un editore che chiede al mercato un trattamento multicanale individuando nei giornalisti free lance il proprio interlocutore privilegiato.

Si pongono allora una serie di interrogativi che allo stato attuale possiamo solo lasciare in sospeso:

Cosa resta dello status di free lance quando il referente che chiede il prodotto multicanale è uno solo?

Quale può essere l’inquadramento normativo per il free lance?

Come riuscire a distinguere – anche in una chiave retributiva – tra chi produce multicanale per “clienti” diversi o per un unico “cliente”?

Sono solo alcune delle domande che per il momento restano in sospeso. Possiamo però intanto cominciare a riflettere verificando quanto si sta sperimentando in questa nuova prospettiva della pratica giornalistica.

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Uno scenario ‘altro’
di Enrico Trevisan

E’ il fascino della divisa, e lui non immaginava che fosse davvero così. Ora Roberto si fa chiamare Bob e “cucca” un casino con quel kit per l’informazione. Cucca, naturalmente, quel che trova lassu’ sulle montagne più alte d’Italia. Scorrazza come uno stambecco al di là e al di qua delle Alpi, sempre sul filo del rasoio, il confine tra Italia e Francia. Come i contrabbandieri dell’Ottocento, che seguivano quelle piste per portare merci senza pagare dazio, lui raccatta notizie e le spara in orbita. E’ ancora estate, ma questa mattina l’aria è particolarmente pungente, Bob si veste pesante, e questo non gli è d’impaccio: il suo kit si può indossare con qualsiasi abito e con qualunque clima. A Firenze, in pianura, la chiamano la nuova frontiera dell’informazione, lui preferisce chiamarla un modo per sbarcare il lunario restando lassu’, su quei monti che ama così tanto. Guarda fuori della finestra, mentre sorseggia dal tazzone pieno di caffèlatte, e il vapore appanna i vetri: il cielo è terso e l’aria, solo a vederla, è gelida. Di là del prato c’è il monastero di Susa, frate Mario sarà già al lavoro: è stato missionario in Africa, poi cappellano del porto a Venezia fino a quando la curia lagunare non lo ha gentilmente cacciato via e i suoi superiori lo hanno inviato in questo paesino aggrappato alle pendici del Monte Bianco, dove ha l’incarico di seguire la ristrutturazione del monastero e di lanciarlo come foresteria per turisti alla ricerca dell’anima, o di qualsiasi altra cosa che gli assomigli. A Venezia non poteva più rimanere perché era troppo efficiente, e stava aiutando davvero i 100 mila marittimi che ogni anno sbarcano in uno dei tanti inferni per naviganti a due passi dalla città più bella del mondo: banchine lunghissime senza telefono, bar, negozi, e spesso (i marittimi) in tasca non hanno il becco di un quattrino perché l’armatore si dimentica da mesi di pagarli.

Bob si stiracchia e assapora ancora un po’ il tepore che c’è in casa, poi si decide e con uno sforzo indossa il kit dell’informazione: quel gesto ormai abituale significa che deve affrontare il freddo del Monte Bianco.

Aprire la porta di casa e uscire è come strapparsi la pelle di dosso, ma la sensazione spiacevole dura poco, perché non appena sale in macchina – una scassata Fiatpandaquattroperquattro verde militare – comincia a pensare un po’ dove andrà a parare oggi con le sue peregrinazioni.

– Che bel lavoro mi sono trovato, pensa Bob mentre tenta di aggiustarsi il caschetto con la telecamera incorporata su quel castello di capelli rossi e ispidi che si ritrova come una maledizione in testa da quand’è nato; inforca gli ochiali da sole stile Steve McQueen, prova il microfono che gli spunta da dietro un orecchio e dà gas.

D’ora in poi qualsiasi cosa gli accada sarà parte integrante del suo lavoro, e potrà diventare una notizia: un incidente stradale, una manifestazione di ambientalisti, un cervo in difficoltà, una frana, corruzione a Saint Vincent nelle sale del Casinò, l’apertura di un museo, una biblioteca, un cinema, la nascita di un comitato di cittadini, un omicidio, un intrigo politico alla frontiera.

Bob fa il giornalista, il “reporter multicanale”. Gratta gratta, si scopre che produce informazione come la maggior parte dei suoi cugini intrappolati nelle redazioni dei giornali quotidiani. Ma ci sono delle sfumature molto diverse e queste sfumature diventano sostanza: fanno la differenza tra una vita divertente e un’esistenza triste e noiosa da impiegati del catasto.

Il bello è che lo pagano pure per divertirsi, contro ogni logica del mercato moderno che copia pari pari la morale dei padroni delle ferriere di fine Ottocento e la “incolla” nella vita di oggigiorno (la frase d’ordine è sfruttare il lavoro altrui, pagarlo sempre meno e fare in modo che sembri una punizione).

Per fortuna le montagne più alte d’Italia sono ancora una sufficiente barriera fisica contro questo andazzo e da quelle parti ci si può ancora fermare sul ciglio di una strada, scendere, guardare il panorama, fumarsi una sigaretta e pensare. La modernità a quelle altezze arriva rarefatta come l’ossigeno, solo Internet e i satelliti non hanno confini e barriere. Oddìo, qualcuno sta lavorando sodo per trasformare Internet in un nuovo mezzo con il quale controllare i cittadini, ma il mondo virtuale è talmente vasto che ce ne vuole. Da Bob, ad ogni modo, anche quando la neve chiude i passi e rende le strade impraticabili, Internet arriva e parte, insomma transita, fluisce. E lui ne approfitta per salirci su quel tanto che basta per divulgare ai suoi compaesani montanari e al resto del pianeta ciò che accade su quei pendii.

Telecamera, microfono, registratore, computer palmare, cellulare satellitare e il gioco è fatto: frate Mario e il suo monastero sono finiti su un sito web, un giornale in Internet, un quotidiano cartaceo, un’agenzia di notizie, una Tv nazionale, una radio locale, tutto in tempo reale mentre Mario stava ancora chiacchierando col suo amico Bob; e tra una settimana il servizio sarà anche pubblicato in una rivista periodica. “Vacanze in monastero” è stata la prima prova tecnica di trasmissione, Bob la ricorda con affetto mentre imbocca il sentiero sterrato che parte dalla sua casa e porta alla strada principale.Raccogliere e lanciare le notizie, questo è il suo lavoro, vale a dire che un cronista montanaro torna ad intraprendere il vero mestiere del giornalista: non deve fare nulla di quel che appesantisce e svilisce il lavoro dei suoi simili nelle redazioni di mezzo mondo, non ha capiredattori idioti e impreparati promossi solo perché sono stati accondiscendenti con i loro capi a loro volta idioti e impreparati, non ha incombenze tipografiche, e perdite di tempo burocratiche; e, soprattutto, ha tempo per pensare a quel che sta registrando, riprendendo, scrivendo, dettando. Non è tutto: a differenza dei suoi parenti più prossimi, i free lance che si sbattono ogni santo giorno dell’anno per trovare notizie e farle pubblicare su qualche giornale che decida di essere interessato alla cosa – ricevendo in cambio poco più dei soldi spesi per la benzina – Bob è, appunto, anche pagato. Nell’iniziativa ci sono un paio di Regioni, tre Università, alcuni network, un po’ di enti locali, e alla fine i soldi per assicurargli un compenso dignitoso saltano fuori.

Si potrebbe dire che i free lance sono giornalisti autonomi che non hanno mai avuto un vero contratto di assunzione, ma sono costretti (nella maggior parte dei casi) a raccattare le briciole lanciate dagli editori dei giornali o delle televisioni; il sogno degli editori è quello di trasformare tutti in free lance, ossia in sfruttati, sempre sulla soglia di povertà, quindi controllabili e sempre meno in grado di produrre informazione libera e di qualità. Autonomi-dipendenti, se ci si passa l’ossimoro, tutto il contrario di Bob che, invece, fa dell’aria gelida che non si può imprigionare la sua bandiera: il suo unico obbligo è quello di non passare dritto quando trova una qualunque notizia, ma di relazionare e rendere conto. Una volta, anni fa, tutti i giornalisti erano così: “perditempo” che bighellonavano per città e campagne, conoscevano gente, intessevano rapporti, raccoglievano notizie o anche un bel niente, ma quelle conoscenze diventavano preziose in altre occasioni, fonti di informazioni costate ore al bar (e un fegato nuovo), negli uffici pubblici e privati di mezzo mondo, all’aria aperta, giornate intere o nottate in bianco. Era una vita faticosa, piena di sacrifici, tanto che per sposarsi e durare a lungo occorreva trovare davvero un’anima gemella e molto paziente; ma era una vita libera e valeva la pena di essere vissuta.

Oggi “perdere tempo” –arte principe del vero giornalista – è diventato un peccato capitale, nelle redazioni è riprovevole, la nuova morale dei giornalisti-mezzemaniche lo condanna. Anche perché chi “perde tempo” rischia di trovare notizie interessanti che, però, possono dare fastidio a chi possiede il giornale e ai suoi amici politici o imprenditori.

Sono sempre meno i giornalisti-perditempo, ma Bob è un “cronista-multicanale” e nel suo contratto di lavoro c’è l’obbligo di perdere tempo, proprio come succedeva una volta a tutti i giornalisti.

E’ un punto di vista altro, è un modo nuovo di fare informazione che non ha niente a che vedere con la linea degli editori che invece punta a guadagnare sempre di più, tagliando i costi e trattando l’informazione come un qualsiasi prodotto dell’industria, una cosa che si può fare in catena di montaggio. D’altro canto da gente che è riuscita a rovinare persino la free press non ci si può aspettare qualcosa di veramente nuovo: nati come giornali gratuiti per informare i clochard – che poi magari li usano anche per coprirsi la notte quando dormono all’addiaccio – sono diventati contenitori di pubblicità nei quali, chi possiede anche un giornale nazionale e uno locale a pagamento, può dirottare gli inserzionisti meno esigenti e impossibilitati a spendere grosse cifre.

Riuscirà il nostro cronista-multicanale a mostrare la nuova via dell’informazione libera? Riuscirà l’informazione libera a prendere armi e bagagli e a transumare altrove? In fondo anche l’informazione ha le sue stagioni e non è detto che la strada migliore per restare liberi sia sempre quella di lottare contro chi ti opprime, a volte può essere più proficuo abbandonare l’oppressore e lasciarlo consumare nel suo brodo così, una volta nudo, si vedrà davvero di che pasta è fatto.

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