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Dossier free-lance
L'altra metà delle redazioni

L'altra metà delle redazioni
I free-lance come "lavoratori economicamente dipendenti"
 

Colloquio col professor Roberto Pedersini, docente di Sociologia economica a Milano e co-autore del Rapporto per la EFJ “I giornalisti free-lance nell'industria europea dei media”

 (a cura di Lsdi )

MILANO - Interventi legislativi per ampliare e rafforzare i livelli di protezione sociale; un impegno forte per convincere gli editori - anche nel loro interesse - a mettere a punto un quadro contrattuale - sul piano nazionale ma anche su quello territoriale o aziendale - più avanzato in termini di reddito, di sicurezza del lavoro e diritti sindacali, di status professionale; e, infine, una integrazione concreta e non solo simbolica nella rappresentanza sindacale, in tutti i livelli di articolazione del sindacato dei giornalisti.

Queste le linee su cui - secondo Roberto Pedersini, docente di sociologia economica alla Facoltà di Scienze politiche a Milano e autore, con il ricercatore tedesco Gerd Nies, di un Rapporto sul lavoro free-lance realizzato per conto della Federazione europea dei giornalisti (EFJ), di cui Lsdi ha curato la traduzione * - dovrebbero muoversi i sindacati dei giornalisti di fronte al mondo dei free-lance.

Il colloquio col professor Pedersini parte dal concetto di Lavoratore economicamente dipendente ** , una definizione molto utilizzata negli studi sulle nuove forme di lavoro e che sembra cogliere uno degli aspetti chiave dello status di gran parte dei free-lance, anche in Italia. Ci sembra, tra l'altro, un concetto importante dal punto di vista sindacale, in quanto mette immediatamente in rilievo quel rapporto di reale dipendenza economica da uno o al massimo due-tre editori che, sotto la finzione interessata (da parte degli editori) di un impegno professionale totalmente autonomo, caratterizza invece lo status di molti free-lance.

Il concetto di lavoratore economicamente dipendente (LED) , spiega Pedersini, ”può avere una grande rilevanza ai fini sindacali e di tutela sociale, anche se è una definizione che presenta qualche problema, dal momento che concentra l'attenzione su di un elemento - il rapporto di dipendenza economica - che in generale non viene considerato centrale per la definizione giuridica della subordinazione. Ma sul piano delle relazioni sindacali può avere un peso rilevante, perché fa leva su di un criterio socialmente rilevante, che sottolinea il bisogno di tutela del lavoratore”.

D - Non tutti i free-lance però possono essere considerati dei lavoratori economicamente dipendenti. Ci sono anche giornalisti che fanno, anche per scelta, un lavoro pienamente autonomo...

R - Certamente, ma il problema è appunto riuscire a distinguere situazioni diverse. Sul piano generale, mentre il lavoratore indipendente ha una professionalità che può spendere nel proprio rapporto col committente, il lavoratore economicamente dipendente non dispone di un potere contrattuale significativo.

D - Il giornalista però ha una sua rilevante professionalità...

R - Sì, ma, ad esempio, si può distinguere fra il free-lance che è all'inizio della professione, e che in qualche modo è costretto a fare il free-lance perché gran parte dell'accesso alla professione ora avviene per questa strada, e chi, invece, esce da uno status di lavoro dipendente per diventare un giornalista indipendente. Quest'ultimo è meno bisognoso di protezione sociale e possiede una sua forza contrattuale. Insomma il responsabile di un settore o di una rubrica per una testata è diverso dal free-lance all'inizio della professione.

D - In Italia, comunque, il 67,6 % degli iscritti all'Inpgi 2 - a cui fanno capo gran parte dei free-lance - denuncia un reddito sotto i 10.000 euro l'anno. Un reddito da fame.

R - Infatti, la situazione dei free-lance involontari può essere particolarmente difficile. A maggior ragione, in questo quadro, il concetto di “lavoratore economicamente dipendente” può essere molto utile sul piano sindacale. Riconoscere l'esistenza di questa figura a mezza strada fra il salariato e il professionista indipendente potrebbe essere positivo anche per gli editori, che si potrebbero ridurre una diffusa e problematica vertenzialità.

D - Professore, però molti dei 17.678 iscritti all'Inpgi2 (stime al 21 giugno 2004) sono dei falsi autonomi...

R - Per questa fascia di lavoratori, il sindacato deve fare quello che ha sempre fatto e puntare al riconoscimento del lavoro subordinato. Ma ci sono altri settori del lavoro free-lance, comprese le nuove professionalità, che possiamo definire appunto LED o parasubordinato, che hanno bisogno di un loro quadro normativo e contrattuale, oltre che sindacale, specifico.

D - Quindi i due concetti si sovrappongono?

R - Per certi versi sì, anche se il termine parasubordinato ha connotazioni più giuridiche (mette in rilievo alcuni aspetti comuni con la subordinazione) mentre quello di LED - un concetto che emerge nella seconda metà degli anni novanta nell'ambito delle ricerche sul mercato del lavoro e sulle relazioni sindacali - identifica un altro elemento, quello della dipendenza economica, e gli dà valore. È un elemento, ripeto, che può essere molto importante ai fini sindacali, ed anche a livello di tutela sociale, perché mette in luce uno specifico bisogno di tutela , rispetto al professionista realmente autonomo.

E poi aver identificato il concetto di LED significa che esiste una sensibilità diffusa intorno a questo status e che c'è una domanda significativa di protezione.

D - Come è stata affrontata questa questione a livello di Unione europea?

R - Il tema dei LED è entrato nel dibattito lanciato dalla Commissione europea con le parti sociali, ma il confronto non ha ancora portato a risultati concreti. La Commissione ha anche affidato al prof. Adalberto Perulli uno studio sul lavoro economicamente dipendente. Inoltre, il Parlamento europeo ha fatto una audizione sui free-lance, cui ha partecipato anche la Federazione europea dei giornalisti,... Un dibattito che, per il momento, non ha avuto uno sbocco, anche perché la stessa definizione di LED è molto complessa.

Forse potrebbero essere proprio le relazioni industriali ed il confronto fra le parti sociali - sindacati ed editori - a portare a dei passi avanti, con la definizione di una serie di garanzie e protezioni per questi lavoratori. E, poi, potrebbero favorire e stimolare un intervento legislativo in tema di protezione sociale e di diritti di cittadinanza.

D - Sul fronte legislativo qual è il livello delle cose in Italia?

R - A parte gli interventi previsti dalla Legge Biagi per gli ex-co.co.co., ora lavoratori a progetto, nel marzo 2004 è stata costituita una Commissione ministeriale, che sta lavorando al cosiddetto Statuto dei lavori , un'idea proposta da Tiziano Treu quando era ministro del lavoro, con l'obiettivo di individuare forme di tutela più ampie ed applicabili a tutti i tipi di lavoro.

D - E quale potrebbe essere, secondo lei, la strategia da seguire per ampliare l'arco delle tutele?

R - Ci sono almeno tre opzioni. La prima è cercare di estendere ai free-lance l'insieme dei diritti dei lavoratori subordinati (come per esempio avviene in Francia con i cosiddetti “pigistes” - cioè i collaboratori pagati a pezzo , “à la pige”, ndr). La seconda è puntare a definire un quadro di diritti minimi applicabili a tutti i lavoratori. Infine, la terza opzione, è quella di definire un'altra forma giuridica, a metà strada fra subordinati e autonomi, com'è avvenuto in parte in Germania e in Italia.
Quest'ultima, è chiaro, è la strada più complessa, perché è difficile darne una definizione giuridica che non sia controversa.

D - Insomma, le opzioni più agevoli sono le prime due?

R - Mi pare di sì. In ogni caso, al di là del quadro generale, si deve puntare a rafforzare i diritti di cittadinanza, quelli che non possono non essere uguali per tutti. Previdenza, malattia, infortuni sono i fronti su cui si è fatto di più. Si è visto qualcosa, ma in maniera limitata, per quanto riguarda la maternità. Ma c'è ancora molto da fare: sul fronte delle ferie, dei permessi per maternità, delle indennità di disoccupazione.

Poi c'è l'aspetto della rappresentanza. Ritengo che sia molto importante creare strumenti istituzionali all'interno dei sindacati per dare voce a questi lavoratori, soprattutto a livello decentrato, sia territoriale che di testata. La strada è quella di evidenziare obiettivi comuni a tutti i settori della professione, anche all'interno delle redazioni, tenendo conto che almeno la metà della produzione giornalistica complessiva viene realizzata dai free-lance.

Sul piano contrattuale è possibile, credo, delineare dei contratti-tipo e, anche sulla base della riforma del mercato del lavoro, cercare strumenti per una “certificazione” del rapporto di lavoro.

D - Cioè?

R - Per esempio creando commissioni paritetiche a livello territoriale fra sindacato dei giornalisti, editori, presso le direzioni provinciali del lavoro, per certificare i contratti a progetto oppure le co.co.co , definendo una serie di criteri condivisi di qualificazione dei rapporti di lavoro. Potrebbe essere nell'interesse degli editori arrivare all'individuazione di criteri condivisi perché ciò contribuirebbe a diminuire la conflittualità e le vertenze. E sarebbe interesse dei sindacati perché introdurrebbe alcuni elementi di tutela specifica.

D - E sul piano del reddito? I free-lance, come dimostrano i dati contenuti nel suo Rapporto, guadagnano di meno e lavorano di meno.

R - Sì, infatti si potrebbe agire anche su questo fronte. Fare leva sulle tariffe è arduo...

D - Infatti. Esistono le tariffe dell'Ordine, ma non sono mai state prese in considerazione.

R - Forse converrebbe cercare di favorire una maggiore continuità del lavoro, stabilendo una durata minima dei contratti di lavoro e favorendo l'offerta di opportunità successive di collaborazione, con l'obiettivo di consolidare progressivamente il rapporto di lavoro, puntando anche alla formazione ed all'aggiornamento dei collaboratori.

D - Ma gli editori prevedibilmente continueranno a sostenere che si tratta di lavoratori autonomi, che lo fanno per scelta, eccetera eccetera.

R - Certo, i free-lance formalmente potrebbero essere considerati degli imprenditori, e anzi, come è anche accaduto in alcuni paesi europei, eventuali accordi tariffari potrebbero essere considerati illegittimi perché contrari alle norme sulla concorrenza. Fatto sta che i free-lance non sono imprenditori, e se si fanno concorrenza la fanno semmai al ribasso.

D - Ma se la strada delle tariffe è ardua, che fare?

R - Forse è meglio la strada dei contratti standard, con minimi di durata e di compenso economico e prospettive di consolidamento del rapporto di lavoro.

È importante comunque continuare rafforzare il quadro generale, migliorando l'accordo sul lavoro autonomo che rientra nell'attuale CCNL ed introducendo elementi di ulteriore tutela.

E poi è indispensabile l'integrazione delle istanze dei free-lance all'interno del sindacato, soprattutto a livello territoriale ed aziendale. Non partendo da un semplice “solidarismo”, ma capendo che anche i giornalisti a tempo pieno hanno interesse a garantire migliori condizioni di lavoro ai collaboratori. Un segno tangibile di questa trasformazione potrebbe essere il coinvolgimento dei free-lance in tutti gli organismi di rappresentanza - dal livello aziendale a quello nazionale - in modo tale che questa componente cruciale del lavoro giornalistico possa entrare di diritto nella dialettica sindacale complessiva.

Infine ritengo che sia importante un lavoro collettivo di messa in comune di informazioni, esperienze, iniziative specifiche e non episodiche rivolte ai free-lance. Insomma bisogna rompere ogni tentazione di restare fermi ad un sindacato rivolto quasi esclusivamente ai giornalisti “strutturati”.

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* Anche se risale a un anno fa, il Rapporto - I giornalisti free-lance nell'industria europea dei media - che fa da sfondo a questa intervista (clicca qui per il testo completo) contiene una serie di dati e di valutazioni sui free-lance in Europa ancora molto attuali e validi e consente di avere un quadro articolato della situazione di questo settore della professione, che, in alcuni paesi dell'Europa centrale - come ad esempio l'Ungheria - è diventato ormai la principale forma di lavoro giornalistico.

** Secondo l'Eiro (Osservatoiro europeo sulle relazioni industriali) i “lavoratori economicamente dipendenti” presentano delle caratteristiche in parte di lavoratori autonomi e in parte di lavoratori salariati, visto che:

1) - sono ufficialmente indipendenti - hanno con i datori di lavoro, in genere, una sorta di “contratto di servizio”, ma

2) - dipendono da un solo datore di lavoro per il loro reddito (o gran parte del loro reddito).

In alcuni casi essi possono ugualmente essere paragonati a dei salariati per altre ragioni:

- assenza di una chiara separazione organizzativa (per esempio lavorano negli uffici del datore di lavoro e/o utilizzano le sue attrezzature;

- assenza di distinzione chiara dei compiti (svolgono gli stessi compiti di dipendenti dell'azienda oppure lavori che venivano precedentemente fatti da assunti a tempo pieno e in seguito affidati a dei “collaboratori”;

- il servizio che essi vendono individualmente ai datori di lavoro non si inscrive nel delle professioni tradizionali (i compiti sono relativamente semplici, non richiedono delle competenze particolari e non è necessaria alcuna conoscenza o competenza professionale).

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