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Dossier free-lance
L'altra metà delle redazioni

Serventi Longhi: più coraggio nel sindacato

Intervista a Paolo Serventi Longhi, segretario della FNSI realizzata da Pino Rea

Il giornalismo autonomo cresce in maniera impetuosa. Tanto che i giornalisti dipendenti (e contrattualizzati) sono ora in Italia da un terzo a un quarto di tutta la categoria. Una crescita disordinata, difficilmente controllabile, che configura un mercato del lavoro giornalistico sempre più omogeneo a quello degli Usa o dei paesi dell’ est europeo e che rischia di far perdere all’ Italia quel ruolo di avanguardia che l’ ha sempre caratterizzata sul piano della contrattazione collettiva e della forza sindacale.

Di fronte a questa situazione il sindacato – dice Paolo Serventi Longhi in questa conversazione per il Dossier sui free-lance a cura di Lsdi – deve mettere da parte remore e timidezze ed essere ‘’più coraggioso’’. Nei confronti degli editori, preparandosi a una trattativa per il rinnovo del contratto che, oltre a migliorare tutele e garanzie per i ‘’giornalisti garantiti’’, punti a raggiungere un quadro di diritti e di retribuzioni certe per i free-lance. E più coraggioso anche al suo interno, aprendo concretamente le proprie strutture al lavoro autonomo e avviando forme sperimentali di rappresentanza dei free-lance non solo simboliche.

Il segretario generale della Fnsi propone, in particolare, l’ istituzione di una Consulta permanente del lavoro autonomo in tutte le Associazioni regionali, un rappresentante del lavoro autonomo che affianchi tutti i CDR, ma a titolo pieno, in ciascuna azienda e una Consulta nazionale del lavoro autonomo di cui almeno tre rappresentanti siano parte del Consiglio nazionale della Fnsi e uno sia nellagiunta della Federazione. Uno sforzo che, però, presuppone maggiori risorse per il sindacato e pone quindi la questione di un eventuale aumento delle quote associative.

D – Paolo, cominciamo da qualche dato: il salario medio dei free-lance in Italia è il 22% di quello – medio - di tutti i giornalisti. Secondo gli ultimi dati dell’ Inpgi 2, il 67,6% degli iscritti – per la massima parte free-lance e collaboratori autonomi - denunciano un reddito annuo inferiore ai 10.000 euro. Dati che parlano da soli, ci pare…

R - E’ un reddito da fame, come dice giustamente il professor Roberto Pedersini. E’ una situazione davvero disperata e disperante. Nel giro di pochi anni – cinque anni al massimo - il fenomeno si è andato ingigantendo, è cresciuto vertiginosamente,in maniera incontrollata e incontrollabile dalle stesse strutture sindacali di base, i comitati di redazione, e meno ancora, ovviamente,da Fnsi e associazioni regionali...

 D – L’ Inpgi 2 parla di quasi 18.000 iscritti al giugno scorso…

R -Le cifre delle iscrizioni all’ Inpgi 2 sono dati sicuramente parziali, che non identificano il fenomeno in maniera precisa, dato che il livello di ‘’evasione’’ – soprattutto per i redditi bassi e bassissimi - è molto elevato. L’ area del giornalismo autonomo – non lo chiamiamo indipendente, perché purtroppo indipendente non è – può essere quantificata attorno alle 30–35.000 unità , con una tendenza ad un aumento sempre più accentuato. Penso in particolare a tutte le forme di lavoro gratuito, fra cui anche i cosiddetti stagisti – taluni arrivati nelle redazioni attraverso convenzioni con le scuole di giornalismo, le Università e le aziende, altri senza neanche convenzioni.

D – E’ un fenomeno preoccupante quindi?

R – Il nostro era un paese in cui il rapporto di lavoro giornalistico era tutelato da un contratto forte. In qualche modo eravamo all’ avanguardia nella contrattazione dei giornalisti… Ora rischiamo di collocarci in maniera negativa rispetto ai grandi paesi occidentali. E’ vero, siamo ancora all’ avanguardia perché abbiamo tuttora un contratto collettivo molto forte, ma quel contratto è sostanzialmente fermo nella sua applicazione, mentre sono aumentati in maniera esponenziale i posti di lavoro ‘’giornalistici’’ non tutelati, non contrattualizzati. Il nostro è ora un quadro, come diceva Pedersini stesso,omogeneo all’ andamento del mercato del lavoro giornalistico degli Usa e dei paesi dell’ ex est europeo. E’ chiaro che noi a questo punto abbiamo un doppio regime, in cui il sistema di tutele contrattuali - ormai sempre più ambito e sempre più irraggiungibile – riguarda da un terzo a un quarto della categoria e questo è un elemento assolutamente rilevante, rispetto al quale bisogna muoversi.

D – A proposito dei free-lance Pedersini usa il concetto di LED, lavoratori economicamente dipendenti. Ti sembra una definizione giusta? Utile?

R -Io sono sostanzialmente d’ accordo con Pedersini perché il concetto di LEDviene a collocarsi fra il free-lance puro e il lavoratore dipendente. Mi pare di capire che il LED non è un giornalista che ha un rapporto di lavoratore subordinato pieno, ma comunque è economicamente dipendente perché trae il sua reddito dalla prestazione autonoma che dà all’ azienda – di solito una o due aziende.

D- E’ un’ area specifica…

R – Sì e la necessità di una tutela di quest’ area è assolutamente fondamentale. Effettivamente, quando abbiamo fatto il precedente contratto e siamo riusciti a mettere il piede in quella porta che prima era chiusa, aprendo uno spiraglio attraverso il primo protocollo per il lavoro giornalistico autonomo stipulato con la Fieg nell’ ambito del rinnovo del Contratto di lavoro, questo concetto non era espresso in una forma scientifica, diciamo, ma era un concetto fortemente presente. Nel senso che noi e gli editori abbiamo detto: concentriamoci sulle collaborazioni coordinate e continuative. Ecco, io identificherei i vecchi co.co.co. con i LED.

D – E ora?

R - Quello che a me pare molto interessante e molto utile è la proposta che Pedersini fa – assolutamente omogenea con quello che pensiamo noi e che sta emergendo nelle commissioni di lavoro che stanno cominciando a ragionare sul contratto che scade a febbraio prossimo -è quella di puntare a definire un forte rafforzamento del protocollo sul lavoro autonomo e quindi diritti minimi applicabili a tutti i lavoratori autonomi. Diritti minimi che discendano dai diritti definiti dal contratto Fieg-Fnsinaturalmente. Dobbiamo quindi verificare da questo punto di vista lo spazio che c’ è.

D – E le retribuzioni?

R - Io non sarei così pessimista come Pedersini sulla possibilità di definire, a fianco dei diritti minimi, anche delle retribuzioni minime. Penso ad un tariffario, che certamente non potrà essere quello dell’ Ordine, ma che definisca minimi retributivi dignitosi per i LED. Questo è un elemento forte per tutta la categoria, per coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente, per coloro che sono in questa fascia intermedia e per coloro che sono ai livelli più bassi.

D – Di fronte ci sono gli editori: ti ricordi la fatica fatta per arrivare al Protocollo?

 R – Naturalmente. Dobbiamo fare i conti con gli editori. E’ chiaro che se tutto dipendesse da Fnsi e da tutte le altre articolazioni del sindacato noi avremmo già delle forme di tutele per tutti i giornalisti. Lo scontro è con editori che rivendicano a ogni passo il primato della ‘’libertà del mercato’’ e, pur di mantenere le mani libere, invocano una sorta di presunto diritto del cittadino italiano alla collaborazione giornalistica. Ma fare lavoro giornalistico non è la stessa cosa che esercitare la libertà di espressione come prevede l’ articolo 21 della Costituzione. Quello degli editori, è chiaro,è un ragionamento surrettizio. E’ un modo non corretto di affrontare i problemi del lavoro giornalistico.

Però, ripeto, riuscire a definire diritti minimi più forti di quelli previsti dal protocollo, diritti applicati – perché quelli del protocollo non sono nemmeno applicati – e un tariffario minimo, retribuzioni minime. Questo insieme non può nonessere l’ obbiettivo del nuovo rinnovo contrattuale. Dobbiamo uscirne con degli elementi chiari e concreti, senza i quali intravediamo un grosso pericolo.

D – Cioè?

R – Il rischio di una frammentazione del sindacato stesso sulla base di una contrapposizione fra interessi oggettivamente diversi: quello di chi è tutelato dal contratto nazionale e quello di chi non lo è e che aspira quindi a trovare una forma qualsiasi di tutela. Il timore di chi è tutelato che vengano abbassati i livelli di tutela e il timore degli altri di non farcela. Non c’ è scampo. Noi dobbiamo riuscire a trovare il punto di equilibrio fra il rafforzamento delle tutele dei garantiti e una serie di prospettive di tutela concreta per chi invece non ha punti di riferimento di nessun genere - o ne ha scarsissimi –. Trovare il punto di equilibrio significa un salario dignitoso, il rispetto della dignità, la garanzia di forme di indipendenza e di autonomia dalle aziende e dalle macchine produttive.

D – La questione del lavoro free-lance – e Pedersini lo sottolinea più volte – ha comunque anche degli aspetti politici e legislativi, non solo sindacali e contrattuali…

 R – Certo, ed è importantissimo che non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale si affrontino questi problemi. C’ è l’ esigenza di una legislazione di sostegno e questa legislazione non può non fare riferimento a normative di carattere europeo. Senza voler sollevare nuove polemiche politiche, devo sottolineare l’ incertezza con cui si sono mossi in Italia i governi che hanno preceduto il governo attuale. Ed è chiaro che l’ assenza di Commissione e Parlamento europeo su temi così importanti come la trasformazione epocale del mondo del lavoro abbia lasciato spazio a legislazioni nazionali e a interventi frammentari come la Legge 30, che non solo non aiuta a tutelare i lavoratori ma individua forme utilizzate strumentalmente dal sistema delle imprese per liberarsi da qualunque vincolo riguardante i diritti dei lavoratori.

D – Il Rapporto individua anche un altro fascio di problemi, relativi alla tutela e alla rappresentanza sindacale.

R – Questa esigenza nel sindacato fa fatica ad affermarsi. Il sindacato deve essere più coraggioso. Io sono preoccupato invece perché vedo molta timidezza, anche nei gruppi dirigenti. Non ne faccio una questione di componenti: è una timidezza assolutamente trasversale. Perché si teme che se queste masse, queste migliaia e migliaia di giornalisti, entrassero attraverso la porta della rappresentanza all’ interno del sindacato potrebbero essere manovrate, anche dall’ esterno della categoria stessa. E quindi – è il discorso – se già sono masse ricattabili nelle aziende, nella professione,potrebbero essere in qualche modo ricattabili anche dall’ esterno, dal potere politico, dal potere economico, ecc.

D – Perché, non è così?

R - Io non credo che noi dobbiamo avere questo timore. Io penso che noi possiamo tenere questi colleghi all’ interno di un quadro di dignità economica, professionale e sindacale se riusciamo a rafforzare una solidarietà che parte dalla capacità del sindacato di essere un vero sindacato di servizio, se riusciamo ad essere attenti a tutte le esigenze – a occuparci dei problemi della sede di un grande quotidiano come Repubblica e nello stesso tempo del salario minimo dei free-lance (come con la decisione, da noi fortemente voluta e approvata l’ altro giorno dall’ Inpgi, di prevedere l’ esenzione dall’ Inpgi 2 dei redditi al di sotto dei 5.000 euro). E nello stesso tempo a costruire una struttura sindacale rappresentativa del lavoro autonomo.

D – In che forme?

R -Prima di arrivare a farne un sindacato di base penso a una fase intermedia, da sperimentare per un certo tempo. Una struttura intermedia che potrebbe essere una consulta permanente del lavoro autonomo in tutte le Associazioni regionali di stampa, un rappresentante del lavoro autonomo che affianchi tutti i CDR, ma a titolo pieno, e una Consulta nazionale di cui almeno tre rappresentanti siano parte del Consiglio nazionale della Fnsi e uno sia nellagiunta della Federazione. Penso a questo come a un inizio, un sistema tutto da studiare e da verificare, con un’ applicazione sperimentale. Bisogna tener conto che dobbiamo modificare il nostro statuto per avere una struttura di questo genere: l’ ipotesi è quella di darsi tre anni di tempo. Cominciare ad applicare in via sperimentale forme di rappresentanza indipendente dei lavoratori autonomi e poi fare la necessaria modifica statutaria, che va ad aggiungersi a quella che abbiamo già realizzato con la distinzione fra professionali e collaboratori, superando la distinzione ordinistica professionisti-pubblicisti.

D - Questi temi avranno quindi un’ eco all’ interno del Congresso?

R - Io penso che saranno uno degli elementi centrali , se non l’ argomento centrale del dibattito congressuale. E’ chiaro, dal momentoche l’ argomento di fondo del congresso è dove sta andando la professione.

D –Il Rapporto dice comunque che non basta una generica solidarietà, ma è necessario trovare dei terreni di interesse comune fra garantiti e free-lance. A livello generale la questione è abbastanza chiara, ma a livello locale mi pare più difficile. Pensi che sia possibile trovare nelle aziende dei punti di interesse comune intorno a cui articolare una strategia sindacale?

 R - La realtà attuale non è soddisfacente. Purtroppo vede una marginalità forte del lavoro autonomo e di tutte le forme della collaborazione esterna rispetto alla redazione. Le redazioni sono impaurite e preoccupate di perdere punti di riferimento - noi dobbiamo naturalmentedifendere e rafforzare le norme contrattuali per i lavoratori dipendenti –, e quindi tendono a rimuovere il problema di una solidarietà effettiva e concreta. Le redazioni esprimono solidarietà magari cercando di favorire qualche assunzione in più, ma non puntando a dare un riconoscimento pieno e un riequilibrio al lavoro autonomo. Ecco io credo che da questo punto di vista il sindacato nazionale e quelli territoriali abbiano una grandissima responsabilità. Noi abbiamo fatto quello che era oggettivamente nelle nostre possibilità: penso alla creazione dei centri di assistenza nelle Ars, ai finanziamenti degli ‘’sportelli’’ regionali per i free-lance e il lavoro autonomo.

Però la resistenza e talora anche la forte critica da parte di vasti settori del lavoro autonomo io la trovo giustificata. Dovremo fare di più nei prossimi tre anni (o sei, o nove), molto di più, perché è evidente che solo un lavoro autonomo che abbia elementi minimi di tutela e un rafforzamento netto della dignità professionale e della qualità del lavoro può essere dentro la famiglia del giornalismo regolato. Altrimenti questa parte ci sfugge, ci sfuggono migliaia di giovani soprattutto. Giovani colleghi che hanno fame e bisogno di regole deontologiche, di essere rispettati nel loro lavoro e di sentirsi parte di un sistemagenerale di tutele e di rappresentanza.

Da questo punto di vista dovremo moltiplicare gli sforzi e anche fare dei sacrifici in più.

D – Ma ci vogliono anche delle risorse da mettere in campo…

R – Infatti, credo che dovremo prima o poi domandarci, data la fragilità delle nostre risorse, se non sia venuto il momento di aumentare le quote sindacali o trovare altre forme di finanziamento per il sindacato. Perché, appunto,solo con maggiori risorse e con un loro adeguato e corretto utilizzo si può mettere in campo davvero a livello aziendale, territoriale e a livello nazionale quel sistema di consulenza, di appoggio e di punto di riferimento di cui questi colleghi hanno un grandissimo bisogno.

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