Il diritto d’ autore nell’ era della riproducibilità infinita e della creazione collettiva

 

“Abbiamo bisogno di trovare le regole giuste, il modello giusto per alimentare l’arte, e gli artisti. Abbiamo bisogno che il quadro giuridico sia flessibile. Questa è la mia ricetta, il mio comandamento, il mio adesivo sul paraurti per nutrire la creazione. Il mondo digitale cambia rapidamente, e se gli si permette di farlo può consentire la creatività in tutte le fasi della catena. Quindi non si dovrebbe prescrivere un particolare modello, ma stabilire un quadro che consenta lo sviluppo di molti nuovi modelli.”

 

Nellie Kroes – Vice Presidente Commissione Europea

 


di Antonio Rossano

 

Vorrei dire agli amici della “rete” che da parte mia non c’è alcuna intenzione di censurare il web. Intendo solo garantire la tutela della proprietà intellettuale dell’opera editoriale. La mia non è una voce fuori dal coro, ma riprende alcune importanti indicazioni europee e soprattutto le disposizioni emanate dall’AGCOM in materia di diritto d’autore.” E’ quanto afferma il senatore Alessio Butti (Pdl), che aggiunge: “Leggo invece violentissimi insulti, a me indirizzati, che francamente non esisterebbero se gli autori degli stessi leggessero il testo del nostro disegno di legge con attenzione anziché limitarsi all’esegesi impropria e pasticciata di qualche “capo-popolo del web”.

 

Butti è il primo firmatario di un disegno di legge  per la modifica della legge sul diritto d’autore (articolo 65 della legge 22 aprile 1941, n. 633). In sostanza la proposta prevede che non si possano più ripubblicare contenuti, testi o altro materiale già pubblicato se non a seguito di un accordo economico tra le parti (il titolare del diritto ed il soggetto che intende ripubblicare).

 

 

Il comma 1 della legge in vigore prevede: «Gli articoli di attualita` di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure  radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l’utilizzazione non e` stata espressamente riservata, purche´ si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell’autore, se riportato ».

 

 

A questo, dopo il comma 2, verrebbe aggiunto un comma 2-bis che recita: «Al di fuori dei casi di cui al comma 1, l’utilizzo o la riproduzione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, di articoli di attualita` pubblicati nelle riviste o nei giornali, allo scopo di trarne profitto, sono autorizzati esclusivamente sulla base di accordi stipulati tra i soggetti che intendano utilizzare i suddetti articoli, ovvero tra le proprie associazioni di rappresentanza, e le associazioni maggiormente rappresentative degli editori delle opere da cui gli articoli medesimi sono tratti. Con i medesimi accordi sono stabilite la misura e le modalita` di riscossione da parte dell’editore del compenso dovuto»

 

 

Diverse sono le considerazioni che spontaneamente nascono leggendo questa proposta. Alcune tecniche, come ricorda Guido Scorza: “Il Sen. Butti, ad esempio, ignora il fatto che mai l’Unione Europea ha fissato un principio quale quello che lui vorrebbe scolpire sulla tavola delle leggi italiane e che l’AGCOM non ha, per fortuna, mai varato alcuna misura in relazione alla disciplina sul diritto d’autore online essendosi, almeno sin qui, limitata a minacciare di farlo, salvo poi tornare indietro, complice proprio una strigliata arrivata dall’Unione Europea”. Ci sono poi considerazioni di natura sociale, culturale ed antropologica, sulle quali mi soffermerò più avanti.

 

In ogni caso il progetto legislativo appare chiaramente riferito alla rete, ad internet con un occhio particolare ai social media. In sostanza si introdurrebbe un non meglio specificato criterio di differenziazione tra i casi previsti al comma 1 (immaginiamo le testate giornalistiche riconosciute, ovvero “mainstream”) che resterebbero autorizzati alla ripubblicazione fatta salva la citazione della fonte, e quelli “al di fuori”. Quale il criterio di valutazione ed a chi l’onere della selezione non sembra, per ora, meglio specificato. Peraltro appare chiaro, dal tono di Butti e dall’ inizio del suo post che abbiamo riportato  (”Vorrei dire agli amici della “rete” che da parte mia non c’è alcuna intenzione di censurare il web) a chi sia effettivamente riferito ed indirizzato il disegno di legge.

 

Come ricordavamo lo scorso dicembre, Dan Gillmor esprimeva la preoccupazione che il 2012  potrebbe a pieno titolo essere ricordato come “l’ anno dell’ oligopolio del controllo dei contenuti

 

ACTA, SOPA, PIPA sono le keywords di questa preoccupante minaccia alla libertà di informazione. È evidentemente più semplice mascherare dietro un acronimo di quattro lettere provvedimenti che hanno direttamente o indirettamente forti ripercussioni sulla libertà di informazione e di espressione.

 

Diverso, rispetto alla proposta di Butti, sembrerebbe  l’obiettivo del governo tedesco nel voler imporre un onere a carico di aggregatori e motori di ricerca (da riconoscere agli editori dei contenuti originali) , per la ripubblicazione dei contenuti: ovvero motori di ricerca e aggregatori sono strutture commerciali e quindi traggono profitto da queste ripubblicazioni, profitto che, almeno in parte, deve tornare al titolare del diritto.  La stessa cosa che è accaduta in Inghilterra dove però vengono esclusi dal pagamento i motori di ricerca.

 

Ci sembra in sostanza che, al di là di un concetto protezionistico e conservativo, a legislatori ed editori (un po’ dappertutto in giro per il mondo) manchi una cultura manageriale, la capacità di reinventarsi e trovare nuovi percorsi, sfruttando le enormi potenzialità della rete e le sue differenti dinamiche economiche.

 

 Eppure lo scorso novembre la Vice-presidente della Commissione Europea responsabile per l’Agenda Digitale, Nellie Kroes, aveva espresso concetti di segno opposto, e parlando del diritto d’autore aveva chiaramente manifestato la necessità di regole flessibili e moderne, in un discorso dal titolo “Chi alimenta l’artista? “ che evidenziava come il diritto d’autore andasse a soddisfare principalmente le esigenze degli editori piuttosto che quelle degli autori:  “Non si tratta solo di tecnologia: anche la legislazione intelligente può aiutare. Abbiamo bisogno di trovare le regole giuste, il modello giusto per alimentare l’arte, e gli artisti. Abbiamo bisogno che il quadro giuridico sia flessibile. Questa è la mia ricetta, il mio comandamento, il mio adesivo sul paraurti per nutrire la creazione. Il mondo digitale cambia rapidamente, e se gli si permette di farlo può consentire la creatività in tutte le fasi della catena. Quindi non si dovrebbe prescrivere un particolare modello, ma stabilire un quadro che consenta lo sviluppo di molti nuovi modelli. In particolare, dobbiamo renderlo più semplice possibile per promuovere, e non ostacolare, questo processo, badando a che il sistema protegga efficacemente gli interessi degli artisti stessi. Questo è quello che stiamo facendo in Commissione con la nostra futura proposta legislativa sulla gestione collettiva dei diritti.

 

E Luca De Biase ci ricorda che “Il diritto d’autore è un monopolio concesso in deroga alla libera concorrenza per valorizzare il lavoro di chi crea nuova conoscenza e ha assunto le forme oggi note per motivi legati a un modello di business nel quale la tecnologia consentiva di legare fortemente un’opera a un oggetto. Nel contesto digitale e soprattutto nell’economia della conoscenza questo aspetto è venuto meno. Mentre la riproducibilità degli oggetti stessi è diventata sempre più facile, non solo nel mondo digitale (come ben sanno i designer).”

 

E questo appare essere il punto di partenza, a mio avviso, e non di arrivo, per parlare della questione “diritto d’autore”. Il discorso è complesso ed articolato e, per certi versi, trascende la questione editoriale in piani che sono molto più profondi e legati alla condizione umana sociale ed antropologica.

 

Dunque, il diritto d’autore nasce con una precisa fase dell’evoluzione umana  e della sua storia. Tecnologicamente, possiamo far risalire le sue radici all’invenzione della stampa. La Stampa come mezzo per la riproduzione massiva è il presupposto tecnologico al paradigma industriale e capitalistico della vendita del prodotto. Ed è qua che si individua un primo punto focale del discorso: il copyright nasce esattamente con la trasformazione della cultura e del  prodotto dell’ingegno in prodotto industriale.

 

Se si prende atto che il capitalismo, come sistema economico è fallito e noi stiamo vivendo un epoca che non riesce a trovare una identità economica diversa, tentando a tutti i costi di riprodurre e sostenerne le macerie,  allora appare comprensibile come, anche per l’editoria e le sue “norme” è finita un epoca ed un sistema economico e che sostenerne le macerie equivale alla perdita di una grande occasione o comunque al suo rinvio a data da destinarsi.