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Google o della senescenza digitale

Era il 1998 quando io, Sergej e Larry nascevamo. O meglio io nascevo il 4 settembre di qualche anno prima, mentre Larry e Sergej mettevano al mondo Google. Tecnicamente sempre di nascita si tratta. Una nascita decisamente importante  e molto più problematica di quella dello scrivente. Da quel giorno in poi il mondo è cambiato, per sempre: e forse è il caso di parlarne. Scherzi a parte, lo spunto per la nostra riflessione odierna ci arriva da un articolo di qualche settimana fa del collega e amico Francesco Marino, in cui il giornalista romano faceva il punto su alcuni dei profondi cambiamenti occorsi al potente motore di ricerca di Mountain View. In particolare Marino si sofferma sulla – apparente – sempre minore efficacia del servizio e dei risultati ottenuti, vera pietra miliare dell’attività del motore di ricerca. Una – apparente – inefficacia crescente, segnalata in molteplici articoli e rapporti da fior di studiosi ed esperti del settore. Il pezzo di Marino lo trovate al link precedente e come sempre Vi consigliamo di leggerlo per intero. Però una cosetta del ragionamento  del nostro collega bisogna estrarla e riportarla qui di seguito perchè ci sarà molto utile in futuro ,)

 

 

 

 

In origine, l’algoritmo di Google era più semplice: cercava corrispondenza tra le parole cercate e quelle presenti nel testo e valutava l’attendibilità di una pagina sulla base dei link che quest’ultima riceveva. È ancora così, in piccola parte, ma il focus dell’IA di Big G si è spostato di molto sulla capacità del sistema di comprendere l’intento di ricerca di ogni utente.

È sempre più frequente trovare la risposta alla propria domanda subito, senza neanche arrivare all’elenco dei risultati. Tanto che nel 2020, circa due terzi delle ricerche si sono esaurite all’interno di Google, senza che la persona avesse la necessità di cliccare su alcun link.

 

 

 

Al di là del fatto in sé,  il motivo per il quale  vorremo affrontare la questione “Google” – diciamo così –  è il tema della “realtà digitale quotidiana” che si cela dentro a notizie come questa. L’argomento principale che sta dietro all’apparente crisi del celeberrimo motore di ricerca americano, a nostro avviso, è  la terza o forse quarta fase dell’evoluzione digitale del genere umano.  Mentre nei palazzi del potere  in tutto il mondo,   si pontifica – ancora – sulla transizione digitale,  e di quanti milioni di miliardi serviranno per completarla, come se bastasse andare al mercato con un bel pacco di soldoni e si potesse comprare la cultura necessaria per comprendere  e realizzare il cambiamento necessario “un tanto al chilo”. Nel frattempo, come ci spiega molto bene il nostro collega romano, il mondo reale prosegue a lavorare, si aggiorna, si modifica in modi imprevisti, inediti, purtroppo, anche inutili e talvolta – sigh –  davvero dannosi. Pensate al passaggio finale dell’estratto dall’articolo di Francesco Marino e tremate assieme a noi:

 

 

nel 2020, circa due terzi delle ricerche si sono esaurite all’interno di Google, senza che la persona avesse la necessità di cliccare su alcun link”.

 

E allora proviamo a citare alcuni altri  fatti apparentemente “sparsi”, slegati tra loro, accaduti proprio a Google dopo la segnalazione di Francesco Marino di qualche settimana fa, e vediamo l’effetto che fa.

 

 

 

 

fatto primo – lancio di agenzia Adnkronos pubblicato il 18 luglio su Il Corriere di Arezzo

Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato da Google Italy s.r.l., Alphabet Inc. e Google Llc contro la sanzione da 102,1 milioni di euro imposta dall’Antitrust per ‘abuso di posizione dominante’. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva deliberato che la condotta adottata da Google avrebbe ostacolato e procrastinato la pubblicazione dell’app JuicePass, sviluppata da Enel X, sulla piattaforma Android Auto, chiedendo al gruppo di porre “immediatamente fine ai comportamenti distorsivi della concorrenza”.

 

 

 

 

fatto secondo – articolo sulla pagina tecnologia del sito  Libero.it

Instagram e TikTok stanno allontanando le nuove generazioni dagli strumenti di Ricerca e Mappe di Google.

Secondo Prabhakar Raghavan, vicepresidente senior di Google, la ricerca su Google e l’utilizzo di Google Maps sono diventati attività da vecchi: dai dati in possesso all’azienda di Mountain View, infatti, i giovani preferiscono utilizzare altre piattaforme per fare le loro ricerche, di qualsiasi tipo esse siano.

 

 

 

 

 

 

fatto terzo – articolo del Corriere della Sera sul sito Corriere.it

Cina, mega hacking: rubati i dati di 1 miliardo di cittadini?

Un hacker noto come ChinaDan dice di aver sottratto una mole enorme di dati privati e ha messo online un “piccolo” esempio con 750 mila persone. Chiede riscatto di 10 bitcoin. Le autorità di Pechino al momento tacciono

 

 

 

Quali sono i legami, se esistono, fra la prima notizia citata e i tre fatti aggiunti in seguito nel nostro articolo? Beh il legame fra le riflessioni di Francesco Marino e la conferenza stampa plenaria indetta dall’alto dirigente di Google è piuttosto evidente ci pare: il percorso evolutivo scelto dai vertici di Alphabet per il motore di ricerca non funziona a dovere.  L’algoritmo di Google  opera peggio e sta perdendo pezzi – in termini di efficienza –  e milioni utenti,  – in termini di gradimento – al punto che la stessa Alphabet lo ammette pubblicamente e prova a correre ai ripari. Del resto qualcuno l’aveva detto in epoca non sospetta – chi? Noi, ma va’..(?)… –  se le notizie corrono sui social  –  correva l’anno 2015, e tutti ancora  gridavano al miracolo tecnologico neutrale e benefico delle OTT – sigh – e pochissimi provavano a tirare le fila e mettere insieme “le pere con le mele”. Si scherza, lo sapete, e ci perdonerete, speriamo. Ma ora andiamo avanti e proviamo ad aggiungere gli altri due fatti alla nostra narrazione per trovare un nesso, se esiste. Impresa non difficile crediamo. Ci riferiamo a Google, al reato di “abuso di posizione dominante” e alla multimilionaria sanzione confermata dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio  proprio in questi giorni, come sancisce il lancio d’agenzia da cui abbiamo estratto la notizia.  Respinto dai giudici  il ricorso di Alphabet e multa  da più di 100 milioni di euro confermata  per Google. Spiccioli per il colosso di  Mountain View, soprattutto,  se assieme a provvedimenti come questo, non riusciamo a collocare le iniziative dei singoli tribunali,  in una strategia diffusa di conoscenza e controllo dell’operato delle OTT.  Se non sviluppiamo una cultura diffusa in tutti noi, non solo nei tribunali, di quale debba essere l’effettivo peso e  ruolo  delle OTT nella nostra vita.

Quindi, tornando a noi,  Google, nel caso contestato dall’autority e confermato dai giudici, abusa del proprio potere, che significa,  come spiegano gli esperti   di Altalex:

 

 

Una impresa abusa della propria posizione dominante quando può sfruttare a proprio vantaggio una potenza economica tale da essere in grado di impedire od ostacolare il persistere di concorrenza effettiva sul mercato, in quanto essa si trova nella condizione di poter significativamente agire in modo del tutto indipendente rispetto ai propri concorrenti, clienti e consumatori.

 

 

 

Come concludere dunque queste nostre riflessioni? Seraficamente verrebbe da dire che finalmente anche un colosso come Google sembra stia prendendo coscienza che il proprio agire non corrisponde, come ci hanno sempre voluto far credere, a “rendere il mondo un posto migliore”.  Le scelte di Mountain View non sembrano rispecchiare – una volta tanto –  le scelte del pubblico e la qualità delle funzionalità del motore di ricerca paiono  essere state messe in crisi, e non tanto per problemi “tecnici o tecnologici”, quanto più per problemi strategici, scelte di campo, indicazioni politiche dei vertici stessi di Alphabet. Come unire queste considerazioni con la notizia estratta dal sito del Corriere della Sera del presunto enorme furto di “dati sensibili” messo a punto da un hacker cinese? Permetteteci,  a questo proposito, di aggiungere un’altra notizia proveniente dalla Danimarca.

 

 

 

fatto quarto – notizia del sito di tecnologia macynet.it

TechCrunch riferisce che in una recente decisione di Datatilsynet – l’Agenzia nazionale per la protezione dei dati della Danimarca– si evidenzia che l’elaborazione dei dati degli studenti che usano la suite Workspace di Google (inclusi quindi Gmail, Google Docs, Calendar e Google Drive), “non soddisfa i requisiti” della normativa GDPR sulla privacy dei dati dell’Unione Europea.

 

 

 

I nostri dati, quando arrivano online, regolamentati o meno che siano, diventano improvvisamente merce rara e molto richiesta. Ma non pare esserci grande differenza sul comportamento di  coloro che manifestano questo “morboso” interesse. Sentenze alla mano, pare che ci sia poca differenza fra quello che fa coi nostri dati un hacker, una OTT, o uno Stato. Tutti ci obbligano a tenere comportamenti a dir poco illogici, o peggio ancora, ci convincono della necessità di agire in quegli stessi  modi per “tutelare” i nostri stessi interessi. Quando in realtà – proprio perchè i comportamenti che ci viene detto di seguire sono nebulosi e sconosciuti a noi stessi – alla fine i dati personali che mettiamo online sono alla mercè di chiunque sappia dove andare a cercare.

 

La conclusione logica di un ragionamento come questo ci riporta all’inizio del nostro articolo. Siamo dentro un mondo post, post, post, transizione digitale. Un mondo oramai composito dove la nostra vita viene spesa dentro e fuori dal cyberspazio senza soluzione di continuità. In un mondo come questo, serve necessariamente che le persone conoscano con precisione come e cosa fare difronte a qualsivoglia scelta, obbligo o azione automatica si trovino a  dover compiere. Questo non sta avvenendo in alcun modo. E il risultato si vede e si tocca con mano ogni giorno. Quando si blocca un pc, quando lo smartphone fa i capricci, quando i nostri figli e/o nipoti fanno i compiti a scuola o a casa, quando noi stessi lavoriamo da casa attraverso l’uso di un  dispositivo elettronico e della rete internet. I nostri comportamenti sono a dir poco “macchinosi”, ci troviamo imbottigliati fra i “nostri e gli altrui”  limiti nell’uso della tecnologia,  e la mancanza di processi e sistemi culturali studiati e insegnati per rendere fluidi questi nostri comportamenti, perlopiù obbligatori e  a senso unico. Come fare a non essere schiavi o peggio vittime di questi continui “cul de sac” in cui siamo imbottigliati giorno dopo giorno, senza avere alcuna reale capacità di fare scelte autonome e consapevoli. Come  rendere validi questi comportamenti, come renderli produttivi, più utili e davvero “migliori” di quelli che utilizzavamo in precedenza.

Perchè cambiare, altrimenti? Cui prodest dicevano i latini e come dare loro torto. Soprattutto se anche quelli che detengono il pressochè totale monopolio dei nostri comportamenti digitali,  non sono davvero “i più bravi”, quelli in grado di fare la differenza, di rendere il “mondo un posto migliore”,   e – una volta tanto –  lo ammettono loro stessi per primi !

 

Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)

 

 

 

 

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