Supplenti e algoritmi

Torniamo ad occuparci di “società algoritmica”.  Un argomento a noi assai caro e sul quale abbiamo speso molto tempo, sangue, sudore e lacrime. Grazie al contributo importantissimo di Michele Mezza e ai suoi studi, qui a bottega abbiamo preso ad occuparci di come gli algoritmi stiano in qualche modo “modellando” la società odierna. Lo abbiamo fatto in  tempi remoti – in senso digitale –  e certamente non sospetti. Ci abbiamo scherzato sopra –  ci proviamo sempre – con titoli ironici; abbiamo dedicato alla materia una intera edizione del nostro festival digit, abbiamo chiesto pareri a personaggi illustri e competenti e li abbiamo riportati su questo blog. Oggi torniamo ad occuparci della questione algoritmica –  che nel frattempo si è fatta sempre più evidente e pressante –  prendendo spunto da un articolo uscito sul quotidiano  “Essenziale” qualche giorno fa. Il pezzo si intitola inequivocabilmente : “L’algoritmo che lascia la scuola senza supplenti”.  Vi consigliamo di leggerlo integralmente. Noi abbiamo chiesto a Maurizio Codogno,  – il Matematto – matematico, divulgatore scientifico, scienziato lui medesimo,  e scrittore illustre;  un parere tecnico sul caso in questione  e lui ci ha inviato lo scritto che trovate qui di seguito. Ringraziando lui per il contributo e Voi per l’attenzione e il tempo dedicatoci,  Vi auguriamo una buona lettura ;)

 

 

 

 

 Anche quest’anno ci sono stati problemi nell’assegnazione delle supplenze “lunghe” a scuola. Il tema mi tocca anche direttamente: i miei gemelli frequentano la seconda media, e Cecilia ha visto la sua professoressa di matematica per un giorno a metà ottobre, prima che se ne tornasse in Sicilia in congedo per motivi familiari. Non ho certo le competenze per parlare dei problemi di base della scuola; né tanto meno mi metto a discutere della nuova graduatoria provinciale dei supplenti (GPS). Sono temi su cui non posso avere un’opinione informata, e quindi è inutile se non nocivo che io ne parli. Posso però commentare l’ultima parte dell’articolo, dove vengono elencati i guai del nuovo algoritmo implementato quest’anno per l’assegnazione delle cattedre ai precari, e che pare abbia mandato nel caos tutto il sistema. Naturalmente mi dovrò basare su quanto scritto dal sindacato Flc-Cgil e riportato nel testo, non avendo a disposizione i dati di base: ma anche solo così si possono fare considerazioni molto interessanti.

 

 

 

 

Prima di iniziare, però, una digressione. In generale io sono molto scettico sulle richieste che gli algoritmi usati nei vari sistemi con cui abbiamo a che fare siano resi pubblici. Questo per una serie di ragioni. Innanzitutto un algoritmo è spesso una parte del patrimonio immateriale di un’azienda: cosa succederebbe se la Ferrero fosse obbligata a indicare la composizione esatta della Nutella? In secondo luogo, un algoritmo da solo non dice molto, se non abbiamo anche a disposizione i dati con cui verrà alimentato; cambiando l’input, l’output sarà infatti diverso. Infine, stiamo assistendo al fiorire di algoritmi “oscuri”, nel senso che sappiamo quali sono le loro regole di base a basso livello ma non abbiamo nessuna idea pratica di come queste regole portino alla creazione delle strutture ad alto livello che vediamo come risultato. In questo caso, però, questi punti non sono applicabili. Questo algoritmo è usato dallo Stato, e quindi in un certo senso “nostro”, e comunque in regime di monopolio; i dati di partenza, cioè le specifiche di tutti quelli che hanno fatto domanda, dovrebbero anch’essi essere già pubblici, almeno in forma anonima; e l’algoritmo vero e proprio è di tipo classico e quindi lo si può tranquillamente scrutinare. Ma questo ci porterebbe troppo lontano: torniamo alle lamentele contro questo specifico algoritmo e analizziamole in dettaglio.

 

 

 

 

Il primo punto segnalato da Flc riguarda la penalizzazione di molti docenti precari che avevano un punteggio più alto ma sono stati scavalcati nei turni successivi da insegnanti con punteggi più bassi: questo sarebbe dovuto al fatto che i criteri di compilazione delle domande non erano chiari. Bene: dovrebbe essere chiaro che in questo caso l’algoritmo non può avere nessuna colpa. Questa è la tipica situazione in cui gli informatici usano l’acronimo GIGO, “garbage in garbage out”. Possiamo sicuramente rimarcare che le regole non erano chiare, e quindi la procedura è errata; ma il povero algoritmo non può sapere che gli mancano dei dati, e lavora con quello che ha a disposizione. Il secondo problema indicato è invece proprio dovuto all’algoritmo, o per dirlo in modo più corretto a come è stato programmato. Quello che è successo è che mentre in passato un docente poteva scegliere più spezzoni diversi – cioè un numero di ore settimanali presso una scuola che è minore delle 18 corrispondenti a un tempo pieno – per comporre una cattedra magari scomoda ma completa, stavolta gli spezzoni sono stati assegnati a insegnanti diversi. Possiamo però concedergli le attenuanti generiche: a parte che il problema di allocare al meglio gli spezzoni è computazionalmente intrattabile – ma esistono soluzioni quasi ottimali che si possono trovare in un tempo limitato – non è per nulla facile sapere se il docente precario accetterebbe o no spezzoni in luoghi distanti. Con le graduatorie fatte a mano gli si può chiedere quali altri posti possono andare bene, ma in questo caso i tempi diventano per forza molto più lunghi e l’uso dell’algoritmo non porterebbe nessun vantaggio.

 

 

 

 

Gli altri due punti sono più controversi. Per quanto riguarda le cattedre di sostegno assegnate a docenti senza titolo di specializzazione, ho il sospetto che si sia sempre fatto così, raccattando più o meno tutti pur di non lasciare scoperte queste cattedre. Mi tocca insomma sospendere il giudizio: per quanto ne so, l’algoritmo potrebbe essere stato programmato apposta per comportarsi in questo modo. E se si tratta di una scelta, non gli si può certo imputare una colpa! Se invece qualcuno si è davvero dimenticato di controllare l’esistenza del titolo di specializzazione nell’assegnare le cattedre, allora a essere sbagliato è l’algoritmo (cioè il programmatore…) Per l’ultimo punto, vale a dire il trattare le riserve di legge come se fossero precedenze, l’errore è quasi sicuramente imputabile all’algoritmo. Perlomeno, la legge afferma che le riserve di legge corrispondono a una certa percentuale (il 7% e l’1%) dei posti a disposizione. Una volta superata quella quota, ciò che conta devono essere solamente i punteggi; l’algoritmo invece avrebbe continuato a pescare da quelle categorie, facendo loro scavalcare posizioni. Dato che però viviamo in un mondo litigioso, cercando in giro c’è anche chi afferma che quelle disposizioni si applicano solo alle vecchie graduatorie a esaurimento e non al GPS: tutto è possibile, ma permettetemi di dubitare. In definitiva, alcuni di questi problemi sono imputabili all’algoritmo, ma altri hanno origine del tutto diversa. Diciamo che c’è un concorso di colpa e l’articolo – e soprattutto il suo titolo – è senza dubbio esagerato, se non addirittura fuorviante.

 

 

 

 

E dunque? Cosa potrebbe fare il giornalismo in casi come questo per dare al lettore non solo la conoscenza dei fatti ma anche la possibilità di comprendere meglio il contesto? Purtroppo non sono così bravo nella pars construens. Una volta la regola sarebbe stata “far sentire entrambe le campane”; in questo caso proporre anche le contro argomentazioni di un dirigente del MIUR. Ma non sono convinto che questa sarebbe stata la via migliore, perché con ogni probabilità avrebbe decantato le magnifiche sorti e i progressi del nuovo sistema o al più riconosciuto alcuni dei problemi. D’altra parte, non si può nemmeno chiedere al giornalista di essere un tuttologo: non è quello il suo ruolo. Ciò che forse potrebbe aiutare è un approccio più globale alle notizie, aggiungendo i pareri di terze parti che pur non essendo direttamente interessate allo specifico argomento hanno però competenze trasversali su quei temi. Ma in un mondo in cui pare che l’informazione non possa aspettare nemmeno un secondo prima di essere consumata, avremo mai il tempo di fare un lavoro necessariamente più lento?

Maurizio Codogno

 

 

 

 

 

 

 

Fino a qui il parere tecnico dell’esperto. Sul giornalismo e il suo ruolo in questa nostra società in progressiva e sempre più rapida trasformazione abbiamo – come ben sapete – una posizione molto precisa e che sintetizziamo nell’oramai noto refrain che sollecita: “a  mettere di nuovo al centro dell’attenzione la corretta funzione d’uso del giornalismo, non il lavoro dei singoli, e tanto meno la conservazione dello status dei giornalisti”.   Sulla velocità del lavoro, così come sulle cosiddette fake news, abbiamo un’altra posizione molto precisa e piuttosto controcorrente, ma anche in questo caso frutto di un lavoro di ricerca e di studio che ha radici antiche. Non esistono le fake news e le notizie sono commodities, quindi non serve a nessuno: giornalismo e consumatori;  che i professionisti dell’informazione passino tutto il loro tempo a rincorrere le news. Tempo buttato. E OTT sempre più padrone delle informazioni e di conseguenza del giornalismo, per di più in modo quasi del tutto gratuito.  A Voi adesso il resto del lavoro:  commenti, domande, riflessioni ulteriori e ogni altra aggiunta riterrete di voler fare all’articolo. Dal canto nostro viene quasi in automatico citare  Alan Moore e Dave Gibbons e il loro capolavoro a fumetti: The Watchmen.  Portato anche sul grande schermo in un lungometraggio del 2009  e poi tradotto in una serie televisiva in epoca più recente, nel 2019.  “Chi controlla i controllori” è una delle espressioni ricorrenti nel fumetto. Una frase ripresa dai classici dai due autori anglosassoni,   che sintetizza in modo eccellente, a nostro avviso, l’atteggiamento che ci piacerebbe fosse adottato su questioni delicate e stringenti come: algoritmi, macchine, e intelligenza artificiale.  Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)