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Social, giornalisti e censura

La notizia è potente, pesante, e piuttosto grave. I fatti sono semplici. Si parte da questo post pubblicato sul proprio profilo Facebook, dal giornalista italiano, Mariano Giustino, corrispondente dalla Turchia di Radio Radicale:

 

 

“#Carceri #Turchia. Questa notte grazie alla legge sull’esecuzione penale è stato rilasciato un membro della criminalità Alaattin Çakıcı, appartenente ai Lupi Grigi. La legge concede riduzione di pena per 90 mila prigionieri, ma non per giornalisti, politici d’opposizione e attivisti per i diritti umani @RadioRadicale. Questi ultimi infatti sono stati esclusi dalla recente legge che riduce la pena a 90 mila carcerati per limitare i contagi da Covid-19.”

 

 

A seguito della pubblicazione di questo pezzo su Facebook, avvenuta il 16 aprile scorso, il giornalista italiano ha ricevuto questa comunicazione dalla direzione del social di Menlo Park:

 

 

“Abbiamo ricevuto le tue informazioni. Se continuiamo a riscontrare che il tuo account non rispetta i nostri Standard della community, rimarrà disabilitato. Facciamo sempre molta attenzione alle sicurezza delle persone su Facebook, pertanto fino ad allora non puoi usare il tuo account’’.

 

 

Da allora l’account del nostro collega è stato bloccato.  A nulla sono valse le richieste di chiarimenti inviate dall’utente ai vari indirizzi di assistenza che il social stesso fornisce ai propri “abbonati” per eventi di questo tipo. A nulla è valso anche un appello inviato dal giornalista italiano direttamente al fondatore di Facebook Mark Zuckerberg e contenuto in un video pubblicato da Giustino su twitter:

 

 

 

 

La vicenda è stata resa nota qualche giorno fa, dal sito di Ossigeno per l’Informazione, l’associazione nata nel 2008 con il sostegno dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, per “documentare e analizzare il crescendo di intimidazioni e minacce nei confronti dei giornalisti italiani”. 

Nell’articolo pubblicato su Ossigeno per l’informazione a firma della collega Luciana Borsatti si legge fra le altre cose che:

 

 

” Ossigeno per l’Informazione ha deciso di assistere legalmente Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia, in una causa che egli ha deciso di promuovere contro Facebook, per avere oscurato il suo profilo senza preavviso,  senza una chiara motivazione, senza fornire risposte per settimane alle sue richieste di ripristino e di spiegazioni “.

 

 

Questi i fatti, sui quali Vi terremo informati da ora in poi, anche sulle nostre pagine. Permetteteci però a questo punto di rimetterci i panni degli “osservatori scientifici”, e di provare a raccontare questa vicenda, non come viene molto bene spiegata sul sito di Ossigeno, ovvero: come una giusta rivendicazione del giornalista italiano contro una violazione dei gestori del social rispetto al suo diritto costituzionale di “libertà di espressione”

 

 

PERCHÉ OSSIGENO – In questa causa Mariano Giustino è affiancato e assistito dal’Ufficio di assistenza legale gratuita di Ossigeno per l’Informazione, che ritiene fondata la rivendicazione del diritto di espressione e considera questa causa strategicamente importante per chiarire, nell’interesse del corrispondente di Radio Radicale e di ogni utente d Facebook, come sono garantiti i diritti degli utenti della Community. E in particolare per riaffermare, sul piano legale, che il diritto di espressione e di informazione e altri principi fondamentali che valgono nella società democratica, sanciti da leggi e trattati, non possono essere amministrati privatamente dai gestori dei social network,  senza rispettare la legge e il diritto, in modo arbitrario, senza trasparenza, con interventi immotivati e senza il contraddittorio con gli utenti che subiscono la censura.

 

 

 

Sulla questione, appunto, si pronunceranno, i giudici, e gli avvocati, nelle sedi opportune. Come sappiamo e abbiamo spesso raccontato anche sulle nostre pagine, esistono problemi oggettivi sia di legislazione in materia, sia di giurisdizione sulla stessa. Il diritto romano sta nei codici, il diritto anglosassone si costruisce dentro ai dibattimenti e con le sentenze relative ai medesimi dibattimenti. Molte sono le differenze, le eccezioni, i buchi nella materia. Se ne potrebbe scrivere e parlare a lungo. E se ne scriverà e parlerà ancora moltissimo. Va inoltre ricordato che su  questi delicati punti,  non si può nemmeno ignorare,  che,  mentre si consumano queste giuste rivendicazioni, le aziende che hanno inventato le praterie digitali,  dove trascorriamo da anni buona parte della nostra esistenza, sono, nel frattempo,  “cresciute e cambiate”,  moltissimo,  nel corso degli anni. Queste compagnie da “semplici” aziende, si sono trasformate (o forse meglio dire trasfigurate?) in Over the top,  e poi in meta-nazioni-digitali, e chissà cos’altro diventeranno domani o dopo. Che uno ci creda o meno. Il sole sorge e tramonta con  modalità differenti, dentro a queste “non meglio precisate entità”, che un  tempo venivano considerate semplicemente aziende, sebbene “big” e anche parecchio “tech”.

 

Ebbene, la nostra riflessione in merito, non va, ovviamente, e solo, a sostegno dell’art. 21 della Costituzione. Sul quale siamo tutti d’accordo qui a bottega. Il ragionamento su cui vorremmo portarVi a riflettere è sociologico e giornalistico insieme. Come mai, ci domandiamo, un giornalista, accreditato, un collega in organico in una redazione –  non un free lance/autonomo/libero professionista –  con tutte le difficoltà che questo – come ben sappiamo – comporta; vede compromessa la propria libertà di espressione dall’azione intrapresa nei suoi confronti dai vertici di un social media? Come è cambiata la nostra società e dentro a questo cambiamento – evidentemente epocale, lo abbiamo detto e sottolineato più volte – come sono a loro volta cambiate – e parecchio – le regole professionali del giornalismo? Perché delle due l’una: o siamo consci di tutto questo, oppure ogni battaglia, anche la più specchiata e legittima, come appare indubitabilmente questa, ha poco, anzi pochissimo,  senso. Se non rientra in un percorso di emancipazione, presa di coscienza, e formazione di una  relativa cultura per una rinnovata consapevolezza “digitale”, anche una battaglia così importante e quanto mai necessaria, come questa, diventa, purtroppo, di scarsa utilità. Una goccia in un mare. Un presa di posizione necessaria ma di scarsissimo effetto sull’andamento generale delle cose. Proviamo ad approfondire meglio questo concetto. E ritorniamo alle nostre domande.  Dunque come mai un giornalista si sente privato della propria libertà se viene oscurato il suo profilo social? Come mai gli editori e i giornalisti delle redazioni dei media –  piccoli, grandi, medi, di ogni tipo, orientamento e specializzazione – si sentono defraudati dalle piattaforme che veicolano i loro contenuti? E ancora. Quando è successo che gli stessi editori e giornalisti,  hanno deciso di diventare ostaggi di un sistema che li sfrutta e li manipola senza concedere loro nessuna autonomia o “voce in capitolo”, se non quattro spiccioli ogni tanto, sotto forma di “progetti per l’innovazione in editoria”, o peggio ancora, di “pubblicità”. E questa cosa – va sottolineato –  la fanno delle aziende che si proclamano da sempre e a gran voce dei “non editori”. Da quanto tempo il libero mercato, non è più libero, ed è stato trasformato in un recinto chiuso, elettrificato, e blindato, dove pascolano mucche giganti ipertrofiche e spocchiose, mentre fuori le poche pecore scheletriche rimaste,  litigano le une contro le altre,  per pochi ciuffi d’erba secca? E come mai in questo mercato non più libero, gli editori e i giornalisti, si affannano a voler immettere al più presto una nuova normativa che tuteli il diritto di autore, quando poi questo diritto, sarà di fatto amministrato dagli stessi “non editori” e proprietari delle piattaforme “di non giornalismo”, dove circolano di fatto tutti i contenuti presenti online?

 

 

Ai posters – come diciamo spesso e con buona pace del buon Claudio e anche del sommo scrittore e poeta meneghino  – l’ardua sentenza. Però per favore, proviamo a tenere conto di queste semplici istanze. E proviamo a comportarci di conseguenza. Non tanto, ovviamente, perché arrivano da questo nostro piccolo, scarso e disadorno pulpito, bensì,  perché fanno buona mostra di sé  dentro molteplici,  opportune,  e articolate osservazione scientifiche;  molto ben argomentate ed eminentemente spiegate da eccelsi luminari. Una parte delle quali,  per corroborare e sostanziare i nostri dubbi, proviamo a riportarVi qui sotto.  Intanto grazie come sempre per la Vs attenzione e alla prossima.

 

 

 

Tim Berners Lee:

Il web a cui ci accedevamo anni fa non è lo stesso che gli utenti trovano oggi. Quello che era una ricca selezione di siti e blog è stato compresso sotto lo schiacciante peso di poche piattaforme dominanti. 

Questa concentrazione del potere crea una nuova schiera di gatekeepers e permette a un ristretto gruppo di piattaforme di controllare quali idee e opinioni vengono visualizzate e condivise. 

Queste piattaforme dominanti sono in grado di arroccarsi nella loro posizione privilegiata e di creare barriere ai concorrenti: acquisiscono startup che potrebbero minacciare il loro potere acquisito, comprano le innovazioni, assumono i migliori talenti dell’industria e hanno l’enorme vantaggio competitivo della mole dei dati dei loro utenti. 

Il fatto che il potere sia concentrato nelle mani di pochi colossi ha reso possibile trasformare il web in un’arma di proporzioni globali.

 

 

 

Pedro Domingos

Facebook fa molte cose che sono discutibili. I loro algoritmi di apprendimento automatico sono impostati per massimizzare il coinvolgimento. Certo, non sono gli unici a farlo, ogni programma TV di successo, o sport o romanzo lo fa. Ma Facebook sta usando l’intelligenza artificiale per massimizzare il coinvolgimento e fa qualche danno nel processo. Le persone vengono disinformate da Fake News, quindi polarizzate. Queste sono cose reali di cui preoccuparsi. Allora forse la politica deve intervenire e dire: “Guarda, questi sono i confini”.

 

 

 

Yuval Noah Harari

Già oggi i computer hanno reso il sistema finanziario così complesso che pochi esseri umani sono in grado di comprenderlo. Quando le abilità dell’intelligenza artificiale saranno perfezionate, potremmo presto arrivare ad un punto in cui nessun essere umano sarà più in grado di capire nulla di finanza. Quali ripercussioni avrà una situazione del genere sul processo politico? Riuscite a immaginare un governo attendere umilmente che un algoritmo approvi il suo budget o una nuova riforma sulle tasse? Nel frattempo reti peer-to-peer di blockchain e criptovalute come il bitcoin potrebbero rifondare dalle basi il sistema monetario, per cui sarebbero inevitabili riforme radicali dei sistemi fiscali. Per esempio potrebbe diventare impossibile o irrilevante tassare i dollari poiché i flussi principali delle transazioni non riguarderanno un vero e proprio scambio tra valute nazionali , e neppure una valuta vera e propria. Inoltre i governi potrebbero aver bisogno di inventare tasse del tutto nuove – forse una tassa sull’informazione (che sarà il bene più prezioso in economia, sia l’unica cosa effettivamente scambiata in numerose transazioni).

 

 

Avete presente le gif animate? Quei cosi che ognuno di noi ha usato online almeno una volta nella vita, per commentare, sottolineare, lanciare una notizia, un commento, un post? Quei cosi su cui si basano i “meme”? Che a loro volta usiamo molteplici volte dentro alle nostre comunicazioni. Quei cosi che hanno creato un legame fortissimo con il mercato, le aziende e la comunicazione commerciale, meglio conosciuta come pubblicità? Ebbene, una delle aziende più grandi che organizza e gestisce questi oggetti online che si chiama Giphy è stata appena acquistata da Facebook. Giphy è una piattaforma,  e un motore di ricerca,  per creare, trovare, catalogare,  e condividere gift animate. E’ costata 400 mln di dollari, da lavoro a 131 persone,  e dentro al proprio catalogo annovera qualcosa come 10 miliardi di gif. La notizia completa la trovate su Disobbedienze, il blog di Nicola Zamperini. Perchè abbiamo voluto concludere il nostro articolo con questa notizia? Beh, ci sembra evidente, anche in un periodo difficile come questo – per il mondo intero – le vacche delle OTT sono sempre più grasse, e il cappio al collo del mondo libero è sempre più stretto dentro alle logiche di “semplici” aziende commerciali, che forse tanto semplici e solo aziende non sono. Potrebbe essere il momento di rivedere accordi ed assetti su scala planetaria fra OTT e Stati, o meglio – come direbbe qualcuno –  considerare meglio  “i rapporti di forza”.

 

 

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