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Valorizzare la risorsa informazione oggi (sg)

    Siamo quasi arrivati in fondo al nostro certosino lavoro di osservazione, analisi e contrappunto dedicato agli Stati generali dell’editoria intrapreso dall’oramai ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria Vincenzo Crimi nell’ambito della precedente legislatura. Un lavoro indubbiamente utile e che sarebbe davvero disastroso, a nostro avviso, se andasse perduto, nonostante siano ovviamente cambiati, dopo il rinnovo dell’Esecutivo, molti dei protagonisti della vicenda. Il cambio di Governo non ha azzerato la crisi devastante e  pluriennale del settore, e non ha certamente azzerato la necessita urgente e inderogabile di mettere mano al più presto ad una profonda riforma del comparto. E non utilizzare, in qualche modo, tutti gli spunti, spesso davvero unici e anche utili, che sono arrivati dagli Stati generali dell’editoria voluti dal precedente Governo, sarebbe, a nostro avviso, una imperdonabile leggerezza. Ma nel frattempo non dobbiamo nemmeno commettere l’ingenuità di trascurare quello che accade oggi, in politica e nel settore dell’editoria e dell’analisi della crisi,  dopo il cambio alla guida del Paese. Per questo abbiamo pensato fosse utile aprire questo nostro ulteriore post di analisi sull’ennesimo convegno degli Stati generali, quello dedicato al “pluralismo dei territori”, come recita il titolo del nostro articolo, partendo dalla cronaca, dalle notizie più recenti sul tema. E quindi permetteteci di porgerVi, in video e in forma scritta, una sintesi dell’intervento del neo-Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Andrea Martella, realizzato il 26 settembre scorso durante il convegno organizzato dall’Unione Stampa Periodica Italiana al Senato,  dal titolo: “Una nuova strategia per il rilancio del settore dell’editoria”. Per chi volesse approfondire il tema, Il video integrale dell’evento realizzato da Radio Radicale,  è visionabile sul sito dell’emittente radiofonica.

 

 

Estraiamo,  dunque,  i passaggi salienti, a nostro avviso, dell’intervento del Sottosegretario Martella al convegno dell’Uspi, e  ve li consegnamo in forma scritta. A seguire il video integrale della prima uscita pubblica del neo-Sottosegretario,  estratto dagli atti del convegno,  ripresi in video dai colleghi di Radio Radicale.

 

 

Andrea Martella: La prima cosa che voglio dire è che l’informazione è un bene di tutti,  indispensabile per il pieno corretto funzionamento dell’istituzione di una moderna democrazia occidentale.  Questo bene, va promosso, ne va preservata la qualità e l’espressione pluralistica, assicurando delle condizioni di sostegno che tengano conto dell’intero sistema. 

Mi propongo di garantire una serie di incontri,  nelle prossime settimane, con gli stakeholder per acquisire velocemente riflessioni,  strategie , progetti, e per aprire dei tavoli di confronto cui consolidare delle proposte operative. 

Sono consapevole del fatto che nei mesi scorsi attraverso i vari eventi degli Stati generali sono state formulate diverse valutazioni e ipotesi di lavoro.  A me ora,  sembra giunto il momento,  di fare delle scelte politiche,  per offrire al sistema editoriale un quadro di misure aggiornato e funzionale. 

Non vi è dubbio che la crisi dell’editoria sia in gran parte dovuta alla rivoluzione digitale,  che si è concentrata in un periodo di tempo molto breve, cambiando in profondità,  sia il modo di produrre l’informazione,  sia le abitudini e le modalità di fruizione dei contenuti informativi.  

Non occorre dirlo,  basta pensare al web e ai social network e alla loro capacità di determinare il superamento delle mediazioni professionali, consentendo a milioni di individui di entrare in contatto con migliaia di informazioni,  e di crearne a loro volta, ma con un livello di affidabilità non misurabile. Questo aspetto pone un serio problema di qualità dell’informazione, e poi di capacità dei lettori di orientarsi, discernere, e formarsi un’opinione su fonti attendibili. 

La democrazia ha tra i suoi fondamenti quello di un’informazione libera,  di una stampa libera, plurale, ma pure consapevole del suo ruolo essenziale nella formazione della pubblica opinione,  e quindi dell’indispensabile ancoraggio alla verità dei fatti

Ritengo che sia essenziale assicurare al settore dell’informazione i proventi dovuti come remunerazione della produzione di contenuti informativi digitali,  e per questo sono convinto della necessità di combattere con ogni strumento efficace l’odioso fenomeno della pirateria, così come l’uso della diffusione illegale degli stessi contenuti prodotti dalle imprese editoriali. 

So bene che la questione della difesa della proprietà intellettuale è stata negli ultimi anni un terreno di scontro, anche politico, in ragione di  interessi contrastanti. Ma credo che questo tema sia un tema essenziale per preservare la certezza di un principio fondamentale,  quale quello della giusta remunerazione del lavoro.

 

 

 

 

Dopo questa improvvisa, ma doverosa, a nostro avviso, incursione nella cronaca, torniamo ad occuparci degli Stati generali dell’editoria e dell’incontro dedicato alla tutela dell’informazione locale, che si è svolto il 18 giugno scorso presso la Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio. Introduce il convegno  l’onorevole Crimi,  e modera i lavori il dirigente del dipartimento dell’editoria Ferruccio Sepe. Partiamo come sempre dalle definizioni, in questo caso tecniche, che estraiamo da Wikipedia dei temi in discussione, o meglio degli “agenti” in discussione:  Corecom e Agcom, che ci aiutano a capire al meglio la materia. E poi cediamo la parola agli estratti dagli atti del convegno. Buona lettura e grazie dell’attenzione ;)

 

 

Co.re.com: Il Comitato regionale per le comunicazioni (abbreviato Corecom), in Italia, è un organo previsto dalla legge Maccanico. Sono disciplinati però specificamente da leggi delle singole regioni con funzioni di organo di governo, garanzia e controllo sul sistema delle comunicazioni in ambito regionale. Nei confronti dell’Agcom, i Corecom rappresentano organi funzionali, mentre costituiscono organi indipendenti di garanzia e consulenza per le giunte e i consigli regionali.

 

 

Agcom: L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) è un’Autorità amministrativa indipendente italiana di regolazione e garanzia, con sede principale a Napoli e sede secondaria operativa a Roma. Istituita con la legge Maccanico, alla quale è affidato il duplice compito di assicurare la corretta concorrenza degli operatori sul mercato e di tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle telecomunicazioni, dell’editoria, dei mezzi di comunicazione di massa e delle poste.

 

 

 

Vito Crimi: Oggi incontriamo i rappresentanti dei Co.re.com di tutte le regioni,  e qui al tavolo con me ci sono i rappresentanti dell’Agcom. Perché questo incontro nell’ambito degli Stati generali dell’informazione e dell’editoria? Ci sembrava fosse necessario avere una visione d’insieme da parte di chi svolge delle funzioni di controllo e vigilanza sul pluralismo dell’informazione,  sulla correttezza,  e su  tutta una serie di altri aspetti,  che sono proprio la mission dei Corecom e dell’Agcom. Le regioni hanno la facoltà di intervenire autonomamente per sostenere il pluralismo con loro leggi e loro iniziative sul territorio.  

 

Ferruccio Sepe: Un dato emerge da tutte le informazioni in nostro possesso,  e dagli studi che abbiamo commissionato: l’informazione che regge meglio, in questa crisi,  è l’informazione delle piccole edizioni, dei collegamenti ristretti col territorio, in cui la concorrenza dei grandi media,  dei grandi player del sistema editoriale, viene avvertita meno. Una nicchia che non è facile attaccare.  Quando c’è un rapporto più o meno diretto tra i  lettori e gli organi d’informazione, l’informazione tradizionale riesce a svolgere il suo ruolo nonostante le nefaste previsioni che da più parti arrivano.

 

 

Ad aprire il convegno dopo l’introduzione dei vertici delle Istituzioni è il sociologo Mario Morcellini nella sua duplice veste di studioso e docente di giornalismo, comunicazione e reti digitali e commissario dell’Agcom.  La relazione del professor Morcellini si intitola: “L’informazione locale tra criticità e nuovo impegno”. Di seguito alcuni estratti dal suo intervento:

 

 

Mario Morcellini: Il giornalismo che doveva dare elementi e vitamine contro le tossine del cambiamento,  è invece quello che ha patito di più i processi di cambiamento,  come se alcuni di questi cambiamenti fossero giudicati un affronto dal sistema dell’editoria,  e, purtroppo, come sapete,  le tecnologie, quando arrivano,  non chiedono il permesso. Su questo, difficile negare che per esempio i direttori dei giornali per anni abbiano addirittura rimosso il concetto di crisi. Se ne accorgevano soltanto quando uscivano,  o venivano liquidati dai giornali stessi. Non possiamo dire che, nel frattempo,  sia cresciuta l’opinione pubblica,  in questo Paese. Sulla disintermediazione molti di voi già sanno tutto.  Io vi chiedo però di ricordarvi che non è solo colpa dell’avvento del digitale,  altrimenti rischiamo di non capire la profondità storica di questi fenomeni. Due fenomeni hanno cominciato a picconare la forza morale e professionale della mediazione:  la spettacolarizzazione eccessiva; il secondo elemento è stato un eccesso di confusione tra le prerogative:  la santità, l’identità dell’informazione – o quello che la gente viveva come tale – e le prerogative stesse della comunicazione. Ci sono due citazioni che non rinuncio a fare. Una è quella di Manzoni: “spesso l’annuncio di una cosa la fa essere” nei “Tumulti del pane”,  forse una delle pagine più belle che siano state scritte sul riscatto del popolo ma anche sul rischio di populismo delle masse . E poi Eliseo Veron, studioso amico di Eco e Calabresi, che dice: “ i soggetti – aggiungo io – e i problemi,  esistono nella misura in cui meglio ne parlano” questa citazione è un piccolo indicatore sull‘eccesso di potere della comunicazione nella rappresentazione della vita sociale.  La mediatizzazione è ovviamente un fenomeno inevitabile,  ma diventa cruento se non ci sono sopra dosi massicce di formazione, di preparazione. Ecco che la questione pedagogica diventa centrale.

Un’altra citazione da un libro di Massimo GaggiMarco Bardazzi,  due giornalisti,  all’epoca corrispondenti per due quotidiani da New York,  che scrivono “L’ultima notizia” e dicono, era il 2010 siamo a distanza di nove anni, osservate quanto questa frase sia incredibilmente perspicace nel prevedere il futuro: “ L’informazione digitale si rivelerà molto più democratica –  questa è attribuita ai profeti entusiasti della rete – di quella cartacea, ma può anche essere vero il contrario e cioè uno scenario più cupo con l’informazione frammentata in mille rivoli digitali”, guardate, ripeto scritta nove anni fa, queste sono le parole che noi usiamo quotidianamente per parlare delle eccessività che non riescono a raggiungere un minimo di massa critica, fare opinione,  mentre i giornali continuano a perdere autorevolezza e indipendenza economica.

Quando ci sono situazioni di crisi come questa l’intervento pubblico può essere provvidenziale.  Nel senso che deve far sormontare le crisi per creare una nuova condizione di competitività e di concorrenzialità,  altrimenti il fallimento di mercato è inevitabile. Le criticità del sistema informativo sono:  cambiamento tecnologico non elaborato culturalmente dai giornalisti (pensate a quante dosi di formazione si potrebbero mettere in campo per rimediare ed evitare la macelleria professionale e sociale); riduzione dei ricavi pubblicitari,  retribuzione e riduzione inevitabilmente legate alle risorse pubbliche e interventi dall’alto.

Noi pensiamo che la domanda di informazione locale sia latente ma non priva di indizi. Significa che occorre una diversa capacità di stimolare questa domanda attraverso esperimenti, spin off,  incoraggiamenti, e qui vedrete che i Corecom potranno fare moltissimo. Noi dobbiamo farci carico della presa d’atto che un Paese che rinuncia alla risorsa dell’informazione locale subisce la globalizzazione invece che giocarsi la partita del protagonismo.

 

 

 

Filippo Lucci presidente dei Corecom: Noi per tanto tempo siamo stati costretti quasi a svolgere un’attività burocratizzata quella per esempio del monitoraggio del sistema televisivo che ci consente ancora oggi  di verificare quello che mandano in onda le emittenti televisive locali,  ma con una metodologia che è superata dai tempi. Rischiamo di utilizzare il bazooka con le televisioni locali e poi sul web accade di tutto. Non riusciamo ad incidere in un mercato molto più forte e molto più invadente,  molto più moderno,  che è quello dell’informazione e della comunicazione che passa attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione digitale.

La vera forza dei Corecom è legata proprio alla capacità di innovare di ascoltare e poi di incidere. Se facciamo riferimento per esempio all’attività di conciliazione e di mediazione possiamo rappresentare numeri straordinari.  Parliamo di oltre mezzo milione di cittadini,  di famiglie e di imprese,  che ogni anno si rivolgono ai Corecom per i problemi legati alla telefonia.  Parliamo di oltre 50 milioni di euro che dalle compagnie telefoniche tornano alle famiglie e alle imprese italiane. I Corecom gestiscono per conto delle autorità il r.o.c –  il registro degli operatori della comunicazione – oggi è semplicemente una sorta di adempimento burocratico che siamo costretti a trasferire alle imprese. Noi attraverso i Corecom abbiamo la possibilità di avere in tempo reale il numero di tutti i dipendenti che si occupano di comunicazione e di informazione in Italia,  di quanti giornalisti sono assunti, di che tipologia di contratti, di quanto fatturato, dove le aziende stanno investendo. Questa miniera di informazioni noi la vorremmo trasferire al Governo. Il registro degli operatori della comunicazione, secondo noi, rappresenta una miniera d’oro. Vogliamo metterla a disposizione, la vogliamo offrire in termini di ricerca e di approfondimento, al Governo.

 

 

 

Ivana Nasti dirigente Servizio ispettivo, Registro e Co.Re.Com: Il r.o.c. apparentemente è una banca dati dove si scrivono gli operatori della comunicazione adempiendo ad un onere burocratico. In realtà non è così.  Il roc è una banca dati che che costituisce un patrimonio di dati unico in Italia. Una banca dati che ci consente di elaborare dati,  di interrogare il sistema.  Una delle prospettive dell’autorità è quella proprio di aumentare le potenzialità del registro. Questa attività la svolgiamo d’intesa con il dipartimento dell’informazione e dell’editoria quindi d’intesa con la presidenza del consiglio. C’è un netto calo delle richieste di contributi negli ultimi anni. Molte imprese –  tradizionali  – chiudono i battenti, e/o le stesse imprese,  oppure i  nuovi soggetti che arrivano, preferiscono un altro mondo, cioè quello della rete, dove sappiamo bene che l’informazione di qualità è cosa rara.  Perché la rete tradizionalmente non è soggetta a vincoli non è soggetta alla giurisprudenza, che dal lontano 1985 ha imposto ai giornalisti i principi di verità, continenza e interesse pubblico, che purtroppo non sempre caratterizzano l’informazione  somministrata via web.

Su una possibile riforma del mondo dell’editoria io penso per esempio all’articolo 1 della legge 416 dell’81 , che è ancora in vigore,  proprio nell’ottica di valorizzare anche l’informazione locale, l’editoria locale.

La politica dei tagli all’editoria andrebbe ripensata perché la necessità di assicurare soltanto ai soggetti più forti i contributi probabilmente oggi non paga. In termini di resistenze,  di pluralismo dell’informazione,  bisognerebbe invece piuttosto calibrare e indirizzare i contributi verso i soggetti più deboli.

La legge 168 del 2016 esonera i cosiddetti aggregatori di notizie da una serie di vincoli normativi. Noi che svolgiamo attività di controllo sappiamo bene come sia labile  il discrimine tra  le attività che svolge un aggregatore di notizie e quella che invece svolge una testata. Gli aggregatori di notizie,  del riutilizzo di notizie provenienti dalle testate giornalistiche,  ne hanno fatto un modello di business. La politica insieme alle istituzioni competenti,  potrebbe ragionare anche su una riforma di questo settore.

La nuova direttiva europea sul copyright come valorizza la libertà di stampa? Lo fa riconoscendo agli editori di testate giornalistiche i diritti di comunicazione,  di riproduzione,  che fino ad oggi non erano garantiti,  quindi questo è un passo avanti sicuramente molto importante.  Ma rimane sullo sfondo un problema che la direttiva non accenna a voler risolvere. Il problema della sostanziale irresponsabilità delle piattaforme digitali che sono praticamente avulse, esonerate, dal rispetto di ogni norma. Garantire il compenso  agli autori di articoli di giornale,  e agli editori, garantire dei diritti economici,  secondo noi,  non è sufficiente ad assicurare quella libertà di stampa e quel pluralismo dell’informazione che la stessa direttiva considera un suo caposaldo.

 

 

 

Paolo Lattanzio commissione cultura della Camera: Un aspetto chiave, a mio avviso,  è quello della trasparenza degli assetti societari. E’ notizia degli ultimi mesi che il più importante quotidiano pugliese se non del sud Italia,  La Gazzetta del mezzogiorno,  vive una situazione difficile,  non tanto dal punto di vista lavorativo e della contrattualistica dei giornalisti.  E’ il primo quotidiano, meglio, la prima azienda che realizza e produce prodotti editoriali, ad esser stata sequestrata per connivenze mafiose del proprietario. Allora dobbiamo porci anche il problema di come tutelare l’informazione locale, che è fondamentale, da quelli che sono dei rischi,  assolutamente specifici per l’informazione locale, e il caso Gazzetta è un caso emblematico sul quale è necessario fare più di una riflessione. I giornalisti locali sono fortemente minacciati.  In commissione antimafia abbiamo istituito un comitato specifico dedicato ai rapporti fra mafia e giornalismo. Rapporti  che vanno letti ormai,  inevitabilmente,  sempre più in una duplice accezione. L’ infiltrazione mafiosa delle imprese, anche, editoriali,  è un tema assolutamente centrale.  Ma al tempo stesso l’esposizione e la scarsa tutela dei giornalisti di fronte a minacce, intimidazioni e pressioni mafiose.  Questo è un elemento sul quale è necessario investire politicamente, culturalmente ed economicamente,  perché l’informazione locale di qualità sia davvero tutelata.

Se parliamo di qualità dell’informazione presente in rete,  dobbiamo iniziare a ragionare anche di qualità della comprensione.  Non possiamo parlare di informazione territoriale, di informazione pulita, se ci poniamo soltanto dal punto di vista della codifica del messaggio,  cioè dal punto di vista di chi produce ed elabora tale messaggio per mestiere. Abbiamo la necessità di spiegare che informazione e comunicazione sono due cose differenti. Abbiamo la necessità di spiegare l’importanza della verifica delle fonti,  e questo lo dobbiamo fare oltre che per un dovere pedagogico,  anche per garantire una tenuta democratica a beneficio dei cittadini stessi,  che devono potersi non solo difendere ma anche capire come produrre dei messaggi mediatici sani,  e che possano essere presi in seria considerazione.

Rispetto al ruolo del Pubblico nell’informazione, bisognerebbe mutare la percezione del Pubblico come un benefattore più o meno amico a seconda dei casi,  al portafoglio del quale attingere per un sostegno soltanto economico,  verso un ruolo del Pubblico come caposaldo di una nuova strategia educativa e pedagogica e di rilancio dello stesso servizio Pubblico e dell’utilizzo sociali e dei mezzi di comunicazione.

 

Interventi del pubblico

 

 

Marianna Sala Presidente Corecom Lombardia: Prendendo spunto e studiando anche approfonditamente l’indagine dell’Agcom sull’informazione locale, il  Corecom Lombardia ha intrapreso un percorso conoscitivo dei media locali che si è articolato in due fasi. Una prima fase di confronto con un convegno sull’informazione locale in Lombardia il 15 aprile scorso, e poi una fase partecipativa. Nelle giornate del 14 e 15 maggio il Corecom Lombardia ha indetto cinque tavoli tecnici rispettivamente con:  editoria locale,  cartacea,  online,  edicole,  emittenti radiofoniche ed emittenti televisive locali. L’informazione locale  si caratterizza per la prossimità, l’immediatezza, l’identità con il fruitore dell’informazione stessa,  e quindi suscita fiducia, oltre a informare contribuisce a rafforzare l’identità locale della comunità. L’informazione locale ha quindi un ruolo di connettività sociale fondamentale e aiuta il pluralismo della conoscenza che è alla base del nostro sistema democratico. Per queste ragioni diventa fondamentale che le istituzioni pubbliche diano una mano a superare il momento di crisi che sta tagliando le gambe ai media locali. Gli elementi comuni della crisi sono:  il crollo delle vendite e degli ascolti dei media tradizionali in favore dei nuovi mezzi legati però alle grandi piattaforme e non legati ai media e ai giornali online.

Il tema della pubblicità. Si assiste ad una forte contrazione del mercato pubblicitario. Le imprese locali, gli investitori,  hanno ridotto gli  investimenti nelle comunicazioni tradizionali. I clienti utilizzano internet e di nuovo utilizzano le grandi piattaforme per farsi pubblicità,  perché costano meno e perché hanno un grande bacino di contatti. Si calcola che il 70/80% della pubblicità digitale venga raccolta su Facebook Google e Amazon,  a discapito delle testate online locali. Ci sono grandi problematiche legate ai centri media. Sia per  le commissioni imposte tra il 5 e il 12%, sia per le scelte solo quantitative e non qualitative e di prossimità e vicinanza al territorio,  con cui vengono scelti i media su cui fare campagna. Il calo del fatturato obbliga gli operatori di settore a cercare di tagliare i costi sulle redazioni e sui giornalisti professionista che costano di più. Con il risultato che si va al di sotto di una soglia in cui è difficile mantenere un presidio informativo credibile.  Di nuovo il tema dell’informazione di qualità minata da questo circolo vizioso.

Altro tema è la trasformazione tecnologica e la formazione dei professionisti. Restare al passo coi tempi è estremamente costoso e di nuovo i media locali non ce la fanno.  Non solo, da questo nuovo mondo è emersa l’esigenza di nuove professionalità.  Ad esempio il giornalista cross mediale oppure il data analyst.

Quali sono le misure di sostegno praticabili?

Un  sostegno all’accompagnamento all’innovazione tecnologica e alla transizione al digitale.

Una seconda linea di intervento può riguardare la formazione. Aiutare la formazione dei professionisti, stimolare l’acquisizione di nuove competenze.

Un’altra forma di aiuto che viene reclamata dagli operatori è quella della comunicazione istituzionale.  In molti si sono lamentati del fatto che un tempo gli enti locali,  non solo la Regione ma anche le province anche i comuni facevano investimenti pubblicitari e ora non più.

Un monitoraggio costante delle caratteristiche del loro mercato e delle dinamiche in corso.

Un’idea di sostegno venuta al Corecom Lombardia è quella di valorizzare quello che i media locali fanno meglio, cioè creare comunità. Per riuscire a creare abbonati a pagamento.

 

 

 

Pino Rotta presidente Corecom Calabria: Noi abbiamo aperto in convenzione con alcuni enti locali ben 9 sedi decentrate del Corecom attrezzate per la videoconferenza e l’incontro con i nostri conciliatori e con gli operatori,  per dare la possibilità al cittadino di non fare centinaia di chilometri per discutere una pratica, una conciliazione che magari ha un valore di poche centinaia di euro e che spesso in mancanza di questo tipo di prossimità registrava una rinuncia da parte dell’utente. Uno dei problemi principali del nostro territorio è la gestione del mercato pubblicitario.  L’autonomia dell’editoria è viziata dalla penetrazione della criminalità, della finanza drogata dalla criminalità organizzata, nel settore della acquisizione e redistribuzione della pubblicità. Su questo abbiamo necessità di iniziative di studio concrete, che poi portino a delle soluzioni. Perché è difficile per un imprenditore, per un editore o per un giornalista, poter operare se poi oltre alla minaccia fisica che arriva al giornalista,  c’è anche la minaccia di venire penalizzati dal punto di vista dell’acquisizione di fette di mercato pubblicitario.

 

 

 

Alessandro De Cillis Presidente Corecom Piemonte: La legge 482 del 15 dicembre del ‘99 riconosce ai Corecom una responsabilità nella valorizzazione e nella tutela delle minoranze linguistiche che sono parte integrante del patrimonio culturale della nostra nazione.  I Corecom hanno oggi l’obbligo utilizzando gli strumenti definiti per legge,  di fare in modo che le radici della propria varietà culturale non vengano disperse ma vengano nutrite e tutelate.

 

 

 

Ivana Nasti reprise: Si è parlato spesso durante la mattinata della crisi del settore dell’editoria e dell’editoria locale anche in relazione al calo degli introiti della pubblicità. L’autorità non sta a guardare.  E’ notizia recente,  dell’iscrizione al roc delle concessionarie di pubblicità online. Gli introiti pubblicitari maggiori li troviamo lì.  E’ un’operazione complessa e delicata iscrivere al roc le più grandi concessionarie di pubblicità online,  non solo italiane,  ma mondiali.  Colossi come Facebook,  Amazon,  Google,  Microsoft,  Dailymotion. Questi operatori sono ormai delle superpotenze,  che hanno tutti i nostri dati personali. E’ un passo importante in un ambito, e in un momento  storico,  in cui non c’è regolamentazione europea strutturata su questo punto. Cominciamo quindi con un censimento. Un censimento anche dei ricavi fatturati in Italia da questi operatori.

Una riflessione in prospettiva di riforma forse andrebbe fatta anche sulla disposizione dell’articolo 41 Tusmar (testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) sulla pubblicità istituzionale delle pubbliche amministrazioni laddove oggi prevede un obbligo di ripartizione delle spese per la pubblicità istituzionale che anche in questo caso forse non è più al passo coi tempi.   E  non prevede,  nell’ambito delle quote da rispettare,  anche il settore della pubblicità online. Andrebbe fatto un ripensamento complessivo perché oggi questa disposizione,  sulla quale l’autorità ha la vigilanza nell’interlocuzione con le pubbliche amministrazioni,  è di difficile applicazione.

 

 

 

Lorena Saracino Presidente Corecom Puglia: Il tema della promozione sulle tv regionali e sul web di un’informazione e una rappresentazione rispettosa dell’identità femminile e di un’immagine equilibrata e plurale di donne e uomini che contrasti gli stereotipi di genere.  La comunicazione ha un ruolo essenziale nella formazione del discorso pubblico e del senso comune sulla violenza,  per il modo in cui si sceglie di raccontarla,  cogliendone la dimensione strutturale e la radice culturale. Ad oggi non esiste un vero e proprio codice di autoregolamentazione,  simile a quello in uso per media e minori,  che detti regole precise da seguire per incardinare i procedimenti da sottoporre al giudizio di Agcom da parte dei Co.re.com e che indichi le relative sanzioni da prevedere.

La legge 103 del 14 aprile 1975   (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva)  consente a soggetti collettivi organizzati, associazioni di rilevante interesse sociale,  culturale, professionale,  enti locali, gruppi etnici e linguistici, confessioni religiose, partiti, sindacati ed altri soggetti ancora, l’accesso ai programmi Rai a diffusione regionale gratuitamente,  per svolgere attività di comunicazione,  attraverso trasmissioni autogestite. Le trasmissioni vengono realizzate in modo autonomo con il supporto tecnico gratuito della sede regionale Rai. I programmi devono essere prodotti in lingua italiana. L’accesso alle trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai regionale è regolato dai Corecom sulla base del regolamento approvato con delibera numero 34 del 9 settembre 2011.  Il Corecom esamina le richieste di accesso,  ne valuta l’ammissibilità,  e delibera i piani trimestrali delle trasmissioni radiofoniche e televisive ripartendo tra i soggetti ammessi il tempo effettivo messo a disposizione dalla sede regionale della Rai.

Non sono d’accordo con l’onorevole Lattanzio,   sul concetto di casta cui mi pareva accennasse riguardo ai giornalisti.  Nella stragrande maggioranza dei casi oggi,  un giornalista professionista,  laureato a volte plurilaureato,  che supera un concorso pubblico per diventare professionista, guadagna 1.700 euro al mese,  straordinario forfettizzato compreso.  E lavora 12 ore al giorno ed ha  meno diritti verso chi lo ha preceduto – lo so per esperienza avendo lavorato per quasi vent’anni nel dorso pugliese del Corriere della Sera – peggio ancora va per i collaboratori che percepiscono dai 7 ai 12 euro a pezzo. E’ facile pensare allora che possano essere non sempre liberi rispetto agli interessi e alle pressioni degli editori. Questa è una rappresentazione dei giornalisti sulla quale dovremo lavorare molto, perché credo che l’interesse di tutti i cittadini,  sia,  rendere liberi i giornalisti dalle pressioni di qualsiasi tipo: mafioso o politico,  e qualificare l’informazione. Ma bisogna permettere loro di sopravvivere dignitosamente e fare in modo che tutti possano sottostare alle medesime regole:  carta stampata, tv, e web.

 

 

 

Paolo Lattanzio reprise: Una cosa è la scelta di fare giornalismo militante,  va benissimo se sia autosufficiente e se il mercato apprezza; un’altra scelta è quello di volersi porre come garanti e poi essere al tempo stesso arbitri e giocatori in campo.  A me questo non sta bene, come persona esperta di comunicazione, non credo sia un comportamento responsabile e non credo per il  buon funzionamento della democrazia che questo doppio ruolo possa giocare a favore dei cittadini. Non credo nei benefici particolari della casta anche perché ho 40 anni, molti amici giornalisti, e so benissimo le difficoltà che hanno.  Però quando si parla di comunicazione pubblica, di comunicazione di massa,  come in questo caso, i giornalisti che molte volte tendono a stare in terza fila dovrebbero fare invece un passo in avanti e pagare per le proprie responsabilità. Perché credo che al momento attuale sul dramma e le difficoltà che la comunicazione in Italia vive,  non si possa tirar fuori dalla mischia nessuno. Non c’è nessuno assolto.  Non si può dare la colpa solo al berlusconismo.  Non si può dare la colpa soltanto ad altri fenomeni. I  giornalisti sono parte in causa e devono venir fuori, prendersi la loro parte di responsabilità e accettare un confronto. Se parliamo di informazione locale, in molte realtà locali è impossibile tecnicamente avere un’interlocuzione con alcune delle grandi testate anche nazionali che hanno delle edizioni locali,  è impossibile. Vuol dire che ci sarà un malfunzionamento. A me interessa quello, perché credo che una distanza così forte, possa portare  dei problemi,  non dei benefici sulla funzione dell’intero sistema e su ciò che dovrebbe essere il beneficio ultimo per l’utenza che accede all’informazione.

 

 

 

Stefano Cuppi Presidente Corecom Emilia Romagna: Ci troviamo di fronte ad un processo molto complesso.  Da una parte c’è la distruzione di tutti i settori tradizionali dell’informazione, carta stampata in primis, ma non solo,  televisioni,  radio, e periodici. C’è un tema serio, c’è un bombardamento, c’è una crisi di risorse. Vedremo poi con l’iscrizione al roc delle concessionarie pubblicitarie del web se riusciremo ad avere qualche numero in trasparenza,  perché i dati clandestini girano da tempo.

Vedremo se riusciremo ad avere numeri veri,  per vedere come questa traslazione di risorse sta avvenendo,  e se questo aiuti e ci dica come fare a ripararsi dal bombardamento,  da questa distruzione. Non dobbiamo però dimenticare che stanno nascendo nuovi soggetti editoriali, editori nativi digitali locali. Gli editori nativi digitali locali hanno delle caratteristiche completamente diverse dagli editori tradizionali.

Faccio un esempio. Io potrei creare in un paio d’ore una testata on line sportiva con un software che genera contenuti editoriali, do delle istruzioni, e la realizzo. Vi garantisco che fareste difficoltà, ad esempio in una testata sportiva a capire se a fare il giornale è una macchina o un giornalista. Ovviamente poi ci saranno anche dei giornalisti. E i contenuti sono testi, foto, voci che ho trovato, in modo più o meno libero,  direttamente sul web. Sono un editore digitale sportivo. E sono un ragazzo di 18 anni che non ha mai fatto nemmeno un corso per corrispondenza di giornalismo. Ma questo non mi impedisce di creare una testata con queste caratteristiche che può avere anche molto successo e arrivare a fare fatturati di tutto rispetto. Bisogna non sottovalutare l’editoria digitale nativa.

 

 

 

Adriana Lotti Agcom: I numeri economici sottostanti l’informazione locale sono abbastanza drammatici,  tanto che in un paio di regioni non esistono più quotidiani cartacei e anche gli altri outlet tradizionali faticano e hanno delle difficoltà di finanziamento. Non si vede l’emergere di realtà dell’online in grado di compensare questa riduzione di informazione quindi a livello di pluralismo non c’è questo risorgimento nell’online. L’Agcom ha già fatto un primo osservatorio sulle testate online esclusivamente digitali,  che si è avvalso di una base dati a campione e quindi non troppo rappresentativa,  perché abbiamo lavorato su dati messi a disposizione per adesione volontaria. Da questo studio si evince che il 70% delle testate online,  hanno tutte una matrice molto locale e stanno in qualche modo integrando o sostituendo i quotidiani locali, non solo sono sotto i 100mila euro, ma hanno un fatturato medio di 20 mila euro l’anno. Spesso si tratta di società, definiamole personali, nel senso che è la stessa persona che magari è anche  un giornalista professionista estromesso dal mondo tradizionale,  che per passione, vocazione,  – perché con 20mila euro l’anno non si giustifica un business – ,  diventa imprenditore, e quindi direttore editoriale della propria testata oltre ad esserne spesso anche l’unico  redattore.

 

 

 

Federica Sbrana giornalista de Il Vomere: Un’esigenza a mio parere importantissima riguarda la necessità di fare un anagrafe del giornalismo locale,  dell’informazione locale.  E’ vero che esiste una banca dati straordinaria al roc. Ma il roc esclude,  come sappiamo,  moltissime testate,  moltissime realtà territoriali locali. Quindi,  a mio parere,  e con la collaborazione dei Corecom e di Agcom sarebbe necessario censire –  integralmente  – il panorama e lo scenario dell’informazione locale. Sono realtà non strutturate che non accedono al roc ma sono realtà importantissime.

 

 

Vorremmo,  prima di lasciarVi alle conclusioni dell’ (ex) sottosegretario Crimi, provare a mettere in fila, una serie di spunti, davvero molto utili, che abbiamo ascoltato durante gli interventi dei relatori di questo incontro. Spunti che, scusate l’insistenza, non dovrebbero andare perduti. Ne da questo, ne dai futuri Sottosegretari o Governi.

 

 

In un paio di regioni non esistono più quotidiani cartacei (e alle radio e alle tv non sta andando meglio). Nel contempo non si riscontra l’emersione di realtà dell’online in grado di compensare questa riduzione di informazione. (indagine dell’Agcom sull’informazione locale)

Il 70% delle testate online,  hanno tutte una matrice molto locale e stanno in qualche modo integrando o sostituendo i quotidiani locali. Però hanno un fatturato medio di 20 mila euro l’anno. Spesso sono società fatte da una persona. Un giornalista imprenditore, che scrive e vende il suo giornale, che dirige anche. (indagine dell’Agcom sull’informazione locale)

 

Anni fa durante un digit, Marco Giovannelli, giornalista professionista, imprenditore, direttore responsabile di Varesenews,  ma anche dirigente della società editoriale che gestisce, economicamente, il quotidiano online della provincia di Varese; parlava proprio delle mille difficoltà e dei milioni di sfaccettature che questo profondo, ma probabilmente, ineluttabile, cambio di paradigma stava – sta – causando, nel mondo dell’informazione. E Varese news è un giornale – nativo digitale – certamente, ma con un assetto, in redazione, molto poco innovativo, anzi profondamente conservatore. In ossequio al dogma – sostenuto proprio da Giovannelli durante quel digit – che un giornale non può che essere:  un’opera collettiva.

Mentre invece esistono – e lo ha ricordato durante il convegno il presidente del Corecom dell’Emilia Romagna Stefano Cuppi: nuovi soggetti editoriali, i nativi digitali. Gli editori nativi digitali locali hanno delle caratteristiche completamente diverse dagli editori tradizionali. Ci sono quelli come Varese news che conta 20 giornalisti, assume con contratti regolari, forma e fa praticanti e poi professionisti. E poi ci sono, come spiega molto bene e non senza ironia Cuppi:  editori digitali,  sportivi, o anche no. Ragazzi di 18 anni,  che non hanno mai fatto nemmeno un corso per corrispondenza di giornalismo. Ma questo non impedisce loro di creare una testata, in cui probabilmente non scrive nessuno,  che può avere anche molto successo,  e arrivare a fare fatturati di tutto rispetto.

 

Sono casi limite, ovviamente, esempi eccessivi, per riuscire a comprendere al meglio, quanto sia profonda, inevitabile, e completa, questa rivoluzione. E che servono molte più informazioni e molta più disponibilità in tutti i soggetti coinvolti a mettersi in gioco, per riuscire davvero a comprendere il cambiamento e a trasformarlo – finalmente – in una ricchezza, invece che in un disastro epocale.

 

Gli editori, e poi i direttori e poi ancora i giornalisti di grandi, medi e piccoli giornali che si lamentano,  continuamente, e da molti anni,  di essere vittime del copia-incolla come vogliamo considerarli? Nostalgici incapaci di confrontarsi con la realtà o persone informate sui fatti che dovrebbero prendere la giusta distanza dalla problematica. Professionisti che spesso sono costretti a confrontarsi con fenomeni,  magari non proprio identici a quello descritto dal Presidente del Corecom dell’Emilia Romagna, ma certamente,  nemmeno persone che non comprendono il problema. E come lo vogliamo definire questo problema?

Il professor Morcellini parlando di disintermediazione dice: sulla disintermediazione molti di voi già sanno tutto.  Io vi chiedo però di ricordarvi che non è solo colpa dell’avvento del digitale,  altrimenti rischiamo di non capire la profondità storica di questi fenomeni. Spesso l’annuncio di una cosa la fa essere. ( Lo ha detto Manzoni tanti anni fa nei Promessi Sposi, non Chiara Ferragni, con il massimo rispetto per la maggior influencer italiana).  L‘informazione è frammentata in mille rivoli digitali e mentre i giornali continuano a perdere autorevolezza e indipendenza economica, il cambiamento tecnologico non è ancora stato elaborato culturalmente dai giornalisti. Dice ancora il sociologo studioso dei media digitali.

 

L’informazione fuori dalla professione come la dobbiamo considerare? E vale davvero la pena intraprendere una  battaglia di posizione, difendendo e dividendo – come spesso abbiamo sentito fare anche durante gli Stati generali dell’informazione – l’informazione “cosiddetta” professionale, da quella, come vogliamo definirla, amatoriale? Meno strutturata? Disintermediata?

 

Perchè la crisi è inesorabile. E i primi a cadere sono gli strutturati, non gli altri. Come ha spiegato la presidentessa del Corecom della Lombardia, secondo i dati della loro analisi locale: Il calo del fatturato obbliga gli operatori di settore a cercare di tagliare i costi sulle redazioni e sui giornalisti professionisti che costano di più. Con il risultato che si va al di sotto di una soglia in cui è difficile mantenere un presidio informativo credibile. Giornali online da 1, max 2 giornalisti, prendono il posto di una redazione, e il prodotto va a farsi benedire e la qualità dell’informazione pure.Un serpente che si morde la coda, inesorabilmente. Se non comprendiamo il cambiamento, se ci arrocchiamo su posizioni superate e indifendibili, nessuno si salva. E i primi a rimetterci sono soprattutto gli utenti. Come sottolinea il Prof. Morcellini: un Paese che rinuncia alla risorsa dell’informazione locale subisce la globalizzazione invece che giocarsi la partita del protagonismo.  Mentre invece proprio l’informazione locale è la più amata dall’utenza, come ci dicono i risultati delle ricerche fatte dagli operatori del Corecom della Lombardia: l’informazione locale  si caratterizza per la prossimità, l’immediatezza, l’identità con il fruitore dell’informazione stessa,  e quindi suscita fiducia, oltre a informare contribuisce a rafforzare l’identità locale della comunità. L’informazione locale ha quindi un ruolo di connettività sociale fondamentale e aiuta il pluralismo della conoscenza che è alla base del nostro sistema democratico.

Perchè non provare a concentrarci allora proprio sulle esigenze degli utenti? Perchè non pensare concretamente a coloro che da tutto questo stanno guadagnando moltissimo, senza condividere con nessuno – o quasi – questo enorme flusso di cassa. Il 70/80% della pubblicità digitale viene raccolta su Facebook Google e Amazon,  a discapito delle testate online locali. Ci ricorda la ricerca del Corecom della Lombardia. Le piattaforme digitali praticamente avulse, esonerate, dal rispetto di ogni norma anche dopo l’entrata in vigore della nuova direttiva europea sul copyright e alla luce degli ultimi pronunciamenti proprio di Google, come possono entrare, dunque,  a far parte della partita a favore dell’informazione di qualità, se non collaborando economicamente e  in modo “consistente” al salvataggio dell’editoria professionale?  Anche perchè non possiamo certo attendere che  nuove direttive, europee, lo facciano al posto nostro. Pensiamo al fallimento, come presidio della libertà di stampa, proprio della nuova direttiva europea sul copyright.   E pensiamo alle differenze marcate ed evidenti, fra gli operatori della rete, che tradizionalmente non sono soggetti a vincoli e alla giurisprudenza, rispetto ai giornalisti, almeno nel nostro Paese,  che dal lontano 1985 devono rispettare i principi di verità, continenza e interesse pubblico. 

 

Servono interventi, rapidi, efficienti, condivisi, e compresi, soprattutto dai professionisti del settore. Esiste la necessità di fare un anagrafe del giornalismo locale,  dell’informazione locale. Esiste l’esigenza di potenziare il registro degli operatori della comunicazione. Il roc,  una banca dati che costituisce un patrimonio di informazioni unico in Italia. E al quale, non senza difficoltà, si stanno iscrivendo le più grandi concessionarie di pubblicità online,  non solo italiane, ma mondiali. Colossi come Facebook, Amazon, Google,  Microsoft, Dailymotion etc.etc. E grazie al quale si potrà molto presto, ad esempio procedere ad un censimento anche dei ricavi fatturati in Italia da questi operatori. Un inizio interessante non trovate?

 

 

Conclusioni

 

 

Vito Crimi: Quello dei Corecom forse è un tema che andrebbe approfondito. Sul ruolo che stanno svolgendo, sulle ulteriori possibilità che ci sono,  e che possono essere individuate,  come funzioni essenziali. I suggerimenti sul roc, sull’utilizzo dei dati presenti nel roc,  come strumento di valutazione per capire come si sta evolvendo il mercato,  sono importanti.  Ed è importante che questo registro sia il più possibile accessibile a tutti, che sia totalmente aperto. Questa è l’unica strada che consentirà poi,  a questo registro,  di diventare un patrimonio informativo,  per capire come si sta evolvendo il sistema dell’informazione locale e non solo.

Il sostegno pubblico, come ho già detto più volte, dovrebbe – e lo shock  che abbiamo introdotto con l’interruzione graduale del finanziamento così come è stato pensato finora – servire proprio a ripensare il fondo per il pluralismo nella sua interezza, e a  ripensare la sua destinazione. Uno dei concetti che ho sentito ripetere più volte,  è il concetto di soglia. Se dobbiamo garantire come Pubblico il pluralismo, noi non dobbiamo garantire a tutti il rimborso delle spese, dei costi che hanno sostenuto,  secondo dei parametri. Noi dobbiamo forse garantire quella soglia al di sotto della quale non c’è più informazione di qualità. Un approccio possibile – vedremo quali sono le strade percorribili –  è la soglia, così come valorizzare il locale. Sul locale c’è un limite fisico. Un giornale di Bergamo è di Bergamo arriva a Bergamo, e se uno non è di Bergamo non comprerà un giornale di Bergamo,  ne leggerà Bergamo news. Quindi il numero degli utenti è limitato,  e il limite degli investimenti pubblicitari è ben definito. Se un contributo deve essere dato in termini di sostenibilità,  per garantire il pluralismo,  va erogato alla stampa locale, ancor più all’informazione digitale locale,  prima che alla stampa nazionale.

 

 

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