Un nuovo giornalismo, come guida e stimolo per la crescita delle comunità

DalPozzoMarco Dal Pozzo (esperto di marketing, comunicazioni ed editoria) interviene su alcuni degli argomenti affrontati da Jeff Jarvis nei cinque articoli da noi pubblicati nei giorni scorsi con un’analisi e una serie di proposte che ospitiamo molto volentieri.

 

Si tratta di un ulteriore e interessante passo nel dibattito sul futuro dell’informazione e del profilo professionale dei giornalisti.

 

di Marco Dal Pozzo

 

Che il giornalista debba essere un educatore lo penso da parecchio; che il giornalismo debba essere una guida per i cittadini verso scelte indipendenti e consapevoli (per esempio quelle che si fanno nel seggio elettorale) anche. Sarebbero stati sufficienti solo questi due elementi, nell’ ultimo dei cinque articoli di Jeff Jarvis proposti da LSDI, per dire di una sorprendente risonanza tra il pensiero del professore e giornalista americano e le idee che ho raccolto nel mio lavoro di ricerca #1news2cents.

 

Il bello è che c’ è molto, molto di più. Così, nel ringraziare Lsdi  per avermi accolto in uno spazio così importante, provo a sintetizzare in tre punti le comunalità rintracciate nel pezzo di Jarvis con gli argomenti del mio studio. Mi auguro possano offrire spunti di dibattito. E concludo con un cenno alla parte più “ideologica” della mia indagine.

 

1. Il giornalista come “Organizzatore di Comunità” e “Educatore”

– A quali comunità si riferisce Jarvis? Di quali comunità possiamo parlare?

Una delle ipotesi di partenza della mia ricerca è che, per i quotidiani nazionali (gli unici che ho preso in considerazione, tralasciando quelli locali), la soluzione cartacea, oltre che economicamente, non è più sostenibile nemmeno da un punto di vista funzionale. In contrapposizione ai sostenitori della convergenza editoriale e della realtà aumentata, ma animato dall’ansia di schiodare il dibattito sul futuro del giornalismo, sono quindi partito dal presupposto che, in futuro, i quotidiani nazionali saranno (dovranno essere) esclusivamente online.

È  quindi alle comunità online che ho rivolto la mia attenzione ed è alle comunità online che mi riferirò di seguito.

– Quale dev’essere il ruolo del giornalista?

Come sostiene Jarvis, il giornalista deve da un lato educare al riconoscimento dei fatti importanti (attraverso un’ autonoma e indipendente agenda setting) e, dall’ altro, organizzare e moderare il dibattito partecipando attivamente alle discussioni che egli stesso, con il suo articolo, ha generato. Un dibattito che, per quanto detto, assumiamo abbia luogo nelle piattaforme sociali online.

– Cos’è l’articolo?

L’ articolo (almeno nella definizione, forse poco ortodossa, da me usata) contiene il nucleo elementare, il fatto che il giornalista, oltre che raccontare, deve poi contestualizzare e significare accendendo così, nel lettore, fuochi di conoscenza in un processo che, raffinandosi nelle discussioni (con il giornalista stesso e con gli altri lettori), conduce a ciò che mi è piaciuto definire Saggezza/Benessere.

2. Contenuti di Qualità

 – Come stabilire quali siano i contenuti di qualità?

Uno degli aspetti più “sfidanti” della mia ricerca è stato il definire gli attributi di qualità di un articolo (Contenuto o Unità Informativa che dir si voglia).

La particolare notizia da riportare, il come il giornalista la deve raccontare e gli elementi minimi da sviluppare nel racconto (questioni di cui Jarvis parla) sono tre dei sette attributi che ho individuato: Tipologia di contenuto, Professionalità e Completezza sono i nomi che ho assegnato a tali attributi. Ad essi ho poi aggiunto il Pluralismo (dell’articolo e della testata che lo pubblica), l’ Accessibilità (nel senso della validazione W3C del sito), l’ Interoperabilità (set minimo di metadati associati all’articolo) e la Pubblicità (ovvero tasso di inserzioni pubblicitarie nell’ articolo).

La conclusione alla quale sono giunto è che un contenuto è di qualità se la somma dei punteggi, opportunamente pesati, assegnati a ciascun attributo supera una determinata soglia.

 – Quale pubblicità per le testate online?

Come appena detto, il tasso di pubblicità è una discriminante qualitativa. Una pubblicità ammissibile che non degradi la qualità della testata è, a mio parere, la pubblicità che fa notizia sociale, che segnala iniziative, prodotti ed eventi in linea con l’ obiettivo sociale dell’ Impresa Editoriale che distribuisce il contenuto. Ed è proprio ad una pubblicità che fa notizia sociale e all’obiettivo sociale dell’Editore che penso quando Jarvis dice (cito testualmente dalla traduzione): “Quando i giornalisti che si occupano di medicina ti dicono come evitare il cancro o anche come perdere peso, agiscono in tua difesa.”

3. Impegno Sociale e Partnership con le Comunità

Tra Jarvis che sostiene che il giornalista deve assumersi un impegno sociale e il mio auspicare che le Imprese Editoriali diventino Imprese con finalità sociali non ci vedo grosse differenze.

– Cos’è l’ Impresa (Editoriale) con finalità Sociali?

Muhammad Yunus, l’inventore del microcredito, l’ha caratterizzata in sette punti:

(1) L’obiettivo dell’azienda è il superamento della povertà o la risoluzione di uno o più problemi sociali importanti come istruzione, sanità, accesso alle tecnologie, ambiente e non la massimizzazione dei profitti

(2) L’azienda deve raggiungere e mantenere l’autosufficienza economica e finanziaria

(3) Gli investitori hanno diritto alla sola restituzione del capitale inizialmente investito senza alcun dividendo

(4) Quando una quota di capitale viene restituita, i profitti relativi restano di proprietà dell’azienda che li impiega nell’espansione e nel miglioramento della propria attività

(5) L’azienda si impegna ad adottare una linea di condotta sostenibile dal punto di vista ambientale

(6) I dipendenti dell’azienda percepiranno salari allineati alla media di mercato e godranno condizioni di lavoro superiori alla media

(7) È importante che tutto questo venga fatto con gioia.
Chiedo (retoricamente perché in effetti si tratta di una delle proposte che faccio): è davvero assurdo augurarsi che quelle Editoriali diventino imprese con queste caratteristiche?


– Cos’è la Partnership?

Alla partnership sociale suggerita da Jarvis ne ho affiancata un’ altra: la partnership in cui c’è mutuo riconoscimento tra chi legge (che deve riconoscere il valore del lavoro del giornalista) e chi scrive (che deve riconoscere il valore delle conversazioni sulle piattaforme sociali online); un riconoscimento che poi ho tradotto, calcolando il “valore equo” di una Unità Informativa online (la “notizia equa e solidale”), anche in termini monetari.

 – Quanto deve costare un Articolo Online?

Con un approccio in cui ho fatto ricorso alla geometria e ad una matematica molto elementare, oltre che ai risultati di alcuni studi di sociologia, sono arrivato alla conclusione che il prezzo equo di un articolo online è di due centesimi di euro.

 

Conclusioni

 

Fin qui ho ripreso i tre aspetti essenziali del pensiero di Jarvis. Il quale non ha fatto alcun riferimento al finanziamento pubblico all’editoria, perché in Usa non esiste né é mai esistito.

Ciò che ha mosso il mio studio, invece, è stato proprio il desiderio di ricercare (quasi fosse una sfida) un modello di business che, per una visione che, onestamente, non posso non definire politica, prevede il finanziamento pubblico.

– Cosa deve finanziare il Pubblico?

La mia proposta è che lo Stato finanzi la distribuzione soltanto di contenuti informativi di qualità (secondo la definizione data in precedenza) prodotti da Imprese Editoriali con Finalità Sociali.

La proposta prevede inoltre che tale finanziamento non sia elargito direttamente alle Imprese, ma transiti attraverso le mani dei cittadini ai quali deve essere data libertà di scelta di acquisto dei contenuti (tra quelli finanziabili).

 

La proposta, infine, declinando il concetto di partnership basata sul mutuo riconoscimento, contempla la cessione ai cittadini più attivi nelle discussioni e nelle condivisioni degli articoli online di un microcredito spendibile per l’acquisto di ulteriori articoli (sempre tra quelli finanziabili).

 

Il conto che ho fatto, sotto ben definite ipotesi, prevede un finanziamento annuo da parte dello Stato (necessario per innescare questo processo di distribuzione degli articoli, condivisione e discussione online) di 500 milioni di euro.

 

Un investimento modesto se si considera l’ambizioso obiettivo: il Benessere collettivo derivante dalle scelte autonome e consapevoli di ciascun cittadino.

 

Ci sono tanti aspetti del mio lavoro che riconosco essere controversi, difficili da digerire, poco allineati; ma un paio di conclusioni io credo siano utilizzabili  immediatamente. La prima: i due centesimi sono il prezzo che da subito ogni testata online può praticare per la vendita dei propri contenuti. La seconda: adozione del criterio di assegnazione dei punteggi agli attributi di qualità come semplice percorso di consapevolezza del lettore (con in mano uno strumento di rating il lettore può diventare più consapevole di ciò che ha letto).

 

Ringrazio ancora Lsdi per avermi dato l’opportunità di presentare le mie personali considerazioni che, mi auguro, siano motivo di conversazione e discussione.