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“Lobotomia da tv: la verità scientifica sugli effetti della televisione”

I mezzi di comunicazione non sono onnipotenti: i loro effetti, in particolare l’ uso dell’ informazione, sono socialmente differenziati; il pubblico non forma una massa informe, indistinta e passiva…e non tutti i supporti sono equivalenti: come possiamo negare che l’ esposizione alla televisione ed ai suoi programmi possa avere delle conseguenze estremamente nocive, in modo rimarchevole tra i bambini e gli adolescenti? Sono queste le conseguenze che, non senza virulenza polemica, e nel contempo su una base scientifica riccamente supportata da precisa documentazione, Michel Desmurget, dottore in neuroscienze, ha analizzato in un opera data alla luce tre anni fa.

 

Il titolo è TV lobotomie – La vérité scientifique sur les effets de la télévision (Lobotomia da tv: la verità scientifica sugli effetti della televisione), che Henri Maler, riprende ora su Acrimed (il sito francese di critica dei media), in un ‘ ampia e puntuale recensione, di cui proponiamo la traduzione integrale.

 

 

Lire : TV lobotomie – La vérité scientifique sur les effets de la télévision, de Michel Desmurget

di Henri Maler

(Acrimed.org)

 

Una breve carrellata sull’ indice del libro riassume quel che dice l’ autore: “Padrona del tempo e dello spazio”, la televisione ha tendenzialmente “colonizzato il nostro spazio domestico e preso possesso della nostra pianificazione (capitolo 1: “La televisione ovunque ed a tutte le ore”). Il suo uso di massa costituisce il maggiore ostacolo al successo scolastico ed attenta all’ apprendimento della lettura nonché alla capacità di attenzione (Capitolo 2, “La televisione minaccia l’intelligenza”); essa contribuisce a malattie quali l’obesità o a dipendenze, come tabagismo ed alcoolismo e allo spegnimento della sessualità (capitolo terzo, “La televisione minaccia la salute”); essa stimola l’aggressività e la desensibilizzazione nei confronti della violenza, e, allo stesso tempo, genera paura (Capitolo quarto: “La televisione coltiva la paura e la violenza”). Tutte queste affermazioni sono forse eccessive ed infondate? Prima di tentare di rispondere, meglio leggere il libro: per contribuire ad una proficua lettura, ecco un riassunto meno stringato di quel che avete appena avuto su ciò che vi apprestate a leggere.

 

***

 

Sin dalla introduzione al libro, Michel Desmurget prende attivamente parte alla discussione con autori i quali negano, o quasi, gli effetti nocivi e nefasti della televisione: a questo fine, egli ricapitola le banalità più comuni (piccola guida agli ordinari nonsenses) e poi segnala, tra questi effetti davvero nefasti, i più rimarchevoli. “Non v’ è peggior cieco di chi non vuol vedere”, dice prima di indicare chi lo è meno, “…la parte invisibile dell’iceberg!”; passa poi a demolire coloro che “nascondendo la testa nella sabbia”, preferiscono non sapere.

 

 

CAPITOLO PRIMO

LA TELEVISIONE SEMPRE ED OVUNQUE

 

“La televisione, dominatrice del Tempo e dello Spazio”: con questo sottotitolo, l’ autore analizza la posizione assolutamente centrale ricoperta da questo mezzo di comunicazione, la TV, nell’ universo domestico e nell’ utilizzo del tempo libero, sottolineando particolarmente che il tempo totale speso dai fanciulli e dagli adolescenti di fronte alla televisione risulta accresciuto dal tempo passato dai medesimi di fronte a tutti i tipi di schermo.

 

“Dai programmi specificamente per bambini a quelli generalisti per pubblico eterogeneo”. Pur tuttavia, il tempo passato davanti al piccolo schermo dai minori dipende anche da strategie cosiddette incentivanti messe in atto dai genitori, i quali sono “più sensibili al problema dei contenuti, che da quello del tempo totale”; una sensibilità che va coltivata ed incentivata, specialmente in ragione della visione congiunta di tutti i programmi generalisti destinati al pubblico adulto.

 

“La riscrittura del reale”– Meccanismi difensivi che permettano di minimizzare l’ esposizione indiscriminata dei piccoli alla televisione, la razionalizzazione, cui compete un ruolo di educazione ed una funzione di socializzazione, nonché il contenimento della durata di codesta esposizione.

 

”L’ inaccessibile mito della qualità.”– Un mito, in ragione dei “vincoli strutturali che irreggimentano (negativamente) la produzione audiovisiva”. E l’ autore menziona “la incredibile prolificità, la densità del suo flusso di produzione” (che annega la qualità dentro “un oceano di vuoto ed inutilità”), “ la natura pluralistica del suo pubblico” ( che incita a produrre programmi “ al tempo stesso di consenso e comodamente accessibili “), “la natura obbligatoriamente dinamica” (“tutto ciò che è lento e complicato non trova posto sul piccolo schermo”). I tre capitoli che seguono sono consacrati ai mali della televisione, che si riverberano soprattutto sul pubblico dei bambini e degli adolescenti.

 

CAPITOLO SECONDO

LA TELEVISIONE SOFFOCA L’INTELLIGENZA.

 

“In senso strettamente etimologico, moltissimi nostri bambini sono divenuti dei barbari” proclama l’autore: “essi non padroneggiano la nostra lingua, neppure la parlano.

 

“Questa volta, di sicuro, il livello si abbasserà” (competenze accademiche davvero allarmanti!)

 

L’ autore snocciola le osservazioni e le controverse ricerche scientifiche che, a suo parere, fondano e comprovano questa diagnosi; considerando come giustificata la messa in discussione dell’ insieme delle regole di un sistema scolastico “depauperato e stremato da derive pedagogiche e politiche”, l’ autore intende introdurre l’ evidenza “dell’ implicazione di un secondo fattore fortemente influenzante: la televisione”. Egli esamina il suo ruolo in tre fasi: dapprima tornando sulle “competenze scolastiche ben allarmanti dei nostri bambini e dei nostri adolescenti”; prosegue poi mostrando la negativa azione che la televisione esercita su queste competenze medesime; infine, termina sforzandosi di delineare il substrato funzionale di queste azioni.

 

“Un congruo impedimento alla riuscita scolastica” (il nesso causale tra l’ esposizione televisiva ed il rendimento scolastico);

 

L’ autore menziona molteplici studi che pongono in evidenza non soltanto la concomitanza, ma soprattutto il nesso di causalità tra l’ ampiezza, la durata dell’ esposizione al piccolo schermo e l’ affievolirsi, l’ indebolimento delle capacità linguistiche e, più in generale, scolastiche. Poi, comincia a rispondere a molteplici obiezioni: sugli effetti positivi dei contenuti educativi, sull’ esistenza di un legame causale che attribuisca la sovraesposizione al piccolo schermo alla fallacia dei risultati scolastici e sull’ importanza, reputata invece scarsa, dei nefasti effetti della televisione’’…riguardanti…

 

“Sforzo, intelligenza, lettura, linguaggio, attenzione, immaginazione: tutti erano lesi”.

 

Esaminati successivamente gli effetti deleteri della televisione sui compiti a casa, sulla lettura, sulle attività spontanee dei bambini (e sullo sviluppo delle attitudini linguistiche ed intellettive a queste conseguenti e sul consequenziale verificarsi del disturbo da deficit di attenzione). Giunto a questo punto, l’ autore mette in discussione le illusioni che attribuiscono alla televisione un ruolo correlato ai e dipendente in modo essenziale dai contenuti dei programmi e si sforza di stabilire “l’ inevitabile vacuità educativa della televisione” .

 

Dopo aver menzionato gli studi che mettono in evidenza “il ruolo basilare ricoperto dall’ ambiente postnatale, della prima infanzia, sulla costruzione delle competenze affettive, sociali e cognitive dell’ individuo”, l’autore sottolinea che, privato di attività ed interattività, il bambino messo davanti al piccolo schermo nulla apprende o, comunque, molto poco. Questo è quel che dimostra ciò che i ricercatori definiscono il “deficit da video”: ovvero l’ inferiorità che deriva dall’ apprendere tutto mediante televisione, se comparato all’ apprendimento ottenuto attraverso l’interazione attiva con l’ ambiente, in particolare nel bimbo di tenera età e contrariamente a quanto affermato dai sostenitori della televisione per bambini.

 

CAPITOLO TERZO

LA TELEVISIONE MINACCIA LA SALUTE.

 

Il capitolo è diviso in cinque parti, che trattano nell’ordine: di obesità, tabagismo, alcoolismo, sessualità e sonno.

 

“Mangiare di più, fare meno esercizio fisico” (obesità).

 

Una volta menzionati i lavori dedicati, in modo generico, agli “effetti del consumo di audiovisivi sul fenomeno dell’ obesità”, l’ autore passa in rassegna (studi a supporto) gli effetti della televisione sull’ “emergere in età precoce di abitudini di vita sedentarie e di scelte alimentari inadatte, sul bilancio del dispendio energetico e sulla congruità e frequenza dell’ assunzione di cibo. Egli attribuisce una particolare importanza al ruolo della pubblicità dei prodotti alimentari, in particolare quella che riguarda l’infanzia, così come a quello degli investimenti pubblicitari che riguardano il cibo “piazzato” nei film o nelle serie televisive. E Michel Desmurget combatte vigorosamente l’ atteggiamento dei politici, in particolare quelli del CSA (il Conseil Supérieur de l’ Audiovisuel), a causa della loro sottomissione alle lobbies alimentari e pubblicitarie, i quali non prendono misure opportune di controllo ed interdizione.

 

Fare del giovane un fumatore…oppure chiudere bottega (tabagismo).

 

Il tabagismo si forgia precocemente, prestissimo. L’ autore mette in evidenza, presentando a sostegno di questa tesi i dati del rapporto OMS, come le effettive pratiche dell’ industria del tabacco contraddicano le sue dichiarazioni sulla rinuncia a prendere di mira i giovani e confermino la loro pratica di aggirare i divieti, le interdizioni alla pubblicità specifica, semplicemente a causa del fatto che non hanno scelta: “Essi sono condannati, se vogliono sopravvivere, a reclutare in massa giovani fumatori”. Per questo inondano i film di “scene tabaccofile”, ove figurino di preferenza “personaggi positivi”. Ora, secondo l’ autore (che la cita) “la letteratura scientifica mostra (…) che più un adolescente vede attori che fumano sul piccolo schermo, più sviluppa la possibilità di divenir fedele cliente dei nostri ‘amici’ industriali del tabacco” . Nell’ analisi del “processo causa effetto che porta dalle pellicole al tabagismo” il legame è dimostrato, ma egli aggiunge, più brevemente, che , a suo parere, in questo risultato ha ruolo soprattutto la televisione.

 

“Bere di più ed iniziare più precocemente” (alcoolismo).

 

Dopo aver spiegato come “l’ alcool costituisca una vera piaga sociale, economica e sanitaria”, l’ autore si appresta a dimostrare in che misura la televisione inciti a bere precocemente, anagraficamente parlando, ed in grande quantità”. Ora…se la pubblicità (in Francia, ndr) è proibita, “l’ alcool è onnipresente sul piccolo schermo mediante i programmi di prima serata, i video musicali e le produzioni cinematografiche”. Pertanto, pur anche se la televisione non è la principale responsabile dell’ alcolismo, essa “contribuisce sostanzialmente all’ iniziazione, allo sviluppo ed al mantenimento di una condotta ‘alcoolica’ tra gli spettatori”.

 

“Sesso, sesso ed ancora sesso”, (sessualità).

 

L’autore non intende “qui suggerire che la sessualità sia una patologia”. Sarebbe, ci dice,”pura stupidità”, prima di proseguire sottolineando che il sesso non è, comunque, “una pratica anodina in materia di sanità”, e di menzionare le malattie sessualmente trasmissibili, le gravidanze e gli aborti precoci. “Ora”, insiste l’autore, “il vero diluvio carnale che colpisce i nostri schermi è tanto più fastidioso in quanto è accompagnato pressoché totalmente da rappresentazioni perlomeno irrealistiche della sessualità e degli altri ruoli di genere. Da comprendere e menzionare non solamente i rischi sanitari che queste rappresentazioni implicano, ma anche il “disagio, il malessere psicologico” da esse derivanti, nonché le “patologie alimentari” di cui sono responsabili gli stereotipi veicolati dalla televisione.

 

Tra Morfeo e Star Ac , si deve scegliere (sonno).

 

La durata media del sonno è in costante diminuzione (circa 90, 120 minuti, sugli ultimi 30, 50 anni), con le incidenze sulla salute che ne conseguono. La televisione non è la sola responsabile..Ma, che si tratti di bambini, di adolescenti o di adulti, che la televisione sia o no presente nelle camere, più un individuo guarda la televisione, meno dorme e più il suo sonno sarà alterato. E, sostiene l’ autore, non sono i guai relativi all’insonnia che spingono a guardare la televisione, ma piuttosto il contrario; l’aspetto quantitativo (la durata del sonno), non è l’ unica conseguenza, come dimostrano gli effetti ansiogeni a breve ed a lungo termine che derivano dall’ esposizione dei bambini a programmi che non siano loro destinati, ma egualmente quando siano esposti a programmi apparentemente anodini, innocui.

 

 

CAPITOLO QUARTO

LA TELEVISIONE COLTIVA LA PAURA E LA VIOLENZA.

 

Dopo aver passato in rivista le principali conclusioni degli studi scientifici che stabiliscono come la televisione sia un fattore che porta alla violenza, l’ autore si sforza di confutare gli argomenti di coloro che intendono relativizzare il suo ruolo: sostenendo che essa sia trattata da capro espiatorio, invece ed in luogo di cause più profonde, invocando presunte incertezze scientifiche in quelle teorie che sostengono la tesi della predisposizione genetica alla patologia. A tutti coloro che sostengono queste cose, l’autore risponde come “la televisione rappresenti un fattore di violenza significativo” e che “sarebbe dannoso non agire su questa potente leva sociale, relativamente accessibile, se messa in comparazione ad altri determinanti sociali più profondi. E difatti, egli asserisce: “Una influenza localmente minima può avere delle conseguenze più prodonde se si applica ad una larga popolazioni e/o in maniera ricorrente. Qual è, da questo punto di vista, l’ azione della televisione?

 

“Questa azione assume tre forme principali: la stimolazione dei comportamenti violenti ed aggressivi; l’abbassamento della soglia di tolleranza alla violenza, ovvero la desensibilizzazione; l’ esacerbazione della percezione di insicurezza.” Ma, prima di esaminare queste tre forme, Desmurget mette in causa l’ onnipresenza della violenza nella televisione ed i suoi motivi.

 

-“La violenza fa bene agli affari”; dopo aver ricordato, cifre alla mano, il grado di esposizione alla violenza, l’ autore sottolinea che ricerche recenti hanno dimostrato che “i contenuti aggressivi e brutali costituiscono, per mezzo della tensione che impongono al cervello, una vera e propria benedizione per gli inserzionisti.”. La ragione è davvero semplice: “Un individuo sottoposto a tensioni emozionali intense registra meglio i messaggi a lui imposti ed è molto più condizionabile.”.

 

-“La violenza chiama altra violenza”_ (sulla stimolazione dei comportamenti violenti ed aggressivi).

L’ autore esordisce sottolineando che le neuroscienze ci dimostrano come i nostri comportamenti siano continuamente modulati da fattori ambientali, soprattutto per ciò che attiene all’ aggressività. Prosegue menzionando molteplici studi che dimostrano come le immagini violente stimolino l’aggressività, particolarmente quella dei bambini e degli adolescenti: la qual cosa dimostra gli effetti della esposizione alla violenza presente in televisione, a breve ed a lungo termine, sulla incidenza e frequenza dei comportamenti deviati ed aggressivi.

 

-“La violenza riduce le frontiere dell’ inaccettabile”- (Abbassamento della soglia della tolleranza alla violenza, ovvero desensibilizzazione).

La “progressiva desensibilizzazione alla violenza dei soggetti televisivofagi”, altrimenti definibile “processo di assuefazione alle immagini violente”, è confermata, a parer dell’ autore, da molteplici studi scientifici. Uno tra questi pone in evidenza che gli individui i quali fossero stati “esposti” a pellicole dell’ orrore che comportavano violenze sadiche aventi come bersaglio delle donne, dimostrassero poi meno empatia con le vittime quando messi a confronto con donne vittime di reali crimini.

 

Il processo di assuefazione a livello neuronale è stato messo in evidenza da alcuni lavori scientifici.

 

“La violenza nutre la paura” (esacerbamento del sentimento di insicurezza).

 

Dopo aver menzionato, a proposito della violenza, qualche esempio di programma di acculturazione e, nell’occorrenza, di de-realizzazione televisiva, all’ origine e dietro il fenomeno “Sindrome del grande Mondo cattivo”, l’ autore evoca studi scientifici che dimostrano che “I telegiornali, le trasmissioni dedicate alle forze dell’ ordine le serie televisive sul crimine siano favorevoli alla diffusione di un ansiogeno senso di insicurezza’’; egli prosegue menzionando particolarmente gli studi dedicati alla grande paura del 1994”, negli Stati Uniti: data che registra una “spaccatura statistica”, una fiammata di sentimento di insicurezza che cresce con la esposizione mediatica. Questi studi sono supportati da ricerche che hanno esaminato la capacità delle immagini violente di produrre nello spettatore delle reazioni di paura a breve ed a lungo termine”.

 

CONCLUSIONI

 

“Un poco di televisione in meno, è molta vita in più“.

 

–Le analisi di cui sopra portano l’ autore a proporre “cinque grandi raccomandazioni”.

 

1) la migliore tra tutte, a suo parere, è: “Zero televisione”;

2) Se non è possibile, almeno niente televisione in camera da letto: soprattutto nelle stanze da letto dei bambini e degli adolescenti;

3)Nessuna esposizione alla televisione nei primi cinque o sei anni di vita;

4)Non più di tre o quattro ore di televisione alla settimana per gli scolari e gli adolescenti;

5) Messa in conto, per quel che riguarda gli adulti (i quali fanno quel che desiderano), di tutti i rischi connessi alla esposizione alla televisione, in particolare quello dell’ isolamento sociale.

 

Non v’è bisogno alcuno di aver letto tutta l’ opera per pensare che queste raccomandazioni, per quanto esse possano essere o possano sembrare giustificate, non troveranno la eco sperata dall’ autore: senza dubbio perché la televisione stessa non basta a spiegare l’ ascendente, l’ influenza che essa ha. Potrebbe essere perché l’analisi proposta da Michel Desmurget circa le cause e gli effetti di questa influenza non è totalmente convincente. Ma il dirlo significa di per sé impegnarsi in un dibattito che non si può soddisfare con un riassunto, il quale inevitabilmente mutila l’opera, lasciando da parte il declinare di centinaia di ricerche (esse stesse già riassunte) sulle quali si basa, con il rischio di mantenere solo lo spirito polemico, tipico del pamphlét.

 

Ma per una volta non farà male…astenersi da un esame critico approfondito: in questo caso, sarà un modo per incitarvi a prendere questo libro sul serio.

 

(traduzione a cura di Maria Daniela Barbieri).

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