La politica si personalizza e Twitter si offre come potente agenzia di stampa personale

Twitter-copUn saggio di Sara Bentivegna,  appena pubblicato da Franco Angeli, analizza i rapporti fra Twitter e lo spazio pubblico ricostruendo la sua progressiva affermazione sulla scena pubblica rispetto agli altri social network.
  “Twitter si adatta meglio di Facebook al sistema ibrido’’, spiega la studiosa in una intervista a Lsdi,  e ‘’facilita l’accesso alla produzione di news, permettendo di aggirare con più facilità i ruoli di gatekeeping” .

 

’Giornalismo e giornalisti hanno tentato, con successo, di riprodurre nella twittersfera, uno spazio e una posizione di centralità’’ e ‘’non a caso le principali testate e i giornalisti più noti sono quelli che hanno più followers, sono cioè i più seguiti. Nello stesso tempo, però, si modifica profondamente l’ idea stessa del giornalismo perché si crea quello che è stato definito un ambient jourmalism, cioè un giornalismo frutto di tutto quello che viene detto e pubblicato intorno a un evento’’

 

a cura di Fabio Dalmasso

 

Sabato 12 aprile, su un quotidiano locale italiano un giornalista, riportando uno scambio di tweet tra esponenti politici, ha scritto: “Verba volant, tweet manent”. E’ solo uno dei tanti esempi che possono essere fatti quando si parla di Twitter, della sua potenza comunicativa e della sua incredibile capacità di diventare una fonte di notizie per gli altri media tradizionali.

 

Quanto possa essere potente la forza comunicativa di Twitter lo si è visto anche nei continui attacchi e tentativi, più o meno riusciti, di chiusura della piattaforma da parte del premier turco Recep Tayyp Erdogan. Una forza comunicativa che il social network nato nel 2006 grazie a Jack Dorsey si è conquistato grazie ad alcune sue caratteristiche che hanno saputo intercettare le esigenze di un nuovo tipo di comunicazione che, assieme a numerosi altri settori, contraddistingue anche la politica.

 

Twitter1E’ lo sfondo che viene analizzato nel saggio ‘’La politica in 140 caratteri. Twitter e spazio pubblico’, a cura di Sara Bentivegna, docente di Comunicazione politica e Teorie delle comunicazioni di massa e dei nuovi media presso l’ Università degli Studi di Roma, edito da FrancoAngeli, in libreria in questi giorni.

 

Twitter e giornalismo

 

Il libro nasce dal lavoro svolto dall’unità di ricerca di Perugia all’interno del progetto PRIN 2001 dal titolo Come cambia la rappresentanza politica in Italia. La decisione di voto nel ciclo 2013-2015 ed è composto da una serie di analisi che attingono dati dalle elezioni primarie del centro sinistra del 2012 e dalle politiche del 2013. Grazie al contributo di molto studiosi del settore vengono delineate, in otto capitoli, le “nuove dinamiche comunicative nell’ambito della politica” messe in atto da Twitter, un fenomeno sempre più presente e sotto gli occhi di tutti che prende le mosse da quel processo di internettizzazione della politica avviato nel 1996.

 

Oggi non c’è esponente politico che non abbia un proprio account e che non diffonda, più o meno propriamente, tweet più o meno importanti. Un fenomeno che inevitabilmente ha influenzato, e tutt’ ora influenza, anche il giornalismo: nuove forme come l’ambient journalism, una riformulazione dei ruoli classici di produttore e fruitore di notizie, l’interazione (o la possibilità di interazione) tra soggetti diversi, le ibridazioni mediali e comunicative sono alcune delle novità che Twitter ha portato con sé e che il libro analizza in dettaglio, sempre avendo come sfondo il suo successo nella comunicazione politica e la sempre più marcata personalizzazione di quest’ ultima.
Carta stampata e Twitter

 

Molto interessante è la sezione del libro dedicata al sistema ibrido composto da carta stampata e social network e curata da Paolo Mancini e Marco Mazzoni. L’ analisi degli articoli di tutti i giornali italiani pubblicati dal 14 gennaio al 28 febbraio 2013 ha sottolineato come “ben 2.534 articoli prendevano spunto da un tweet, un commento, un post, etc. apparso originariamente su Twitter e/o Facebook”. Gli autori hanno poi rilevato come, tra i due social network, “Twitter si adatti meglio di Facebook al sistema ibrido […] facilita l’accesso alla produzione di news, permettendo di aggirare con più facilità i ruoli di gatekeeping”.

 

Un ricorso a Twitter da parte dei media tradizionali, dunque, che spesso può fornire anche esempi di come il mito della velocità (sia nel twittare che nel prendere un tweet come fonte) possa portare con sé il sacrificio dell’accuratezza e del controllo, temi sul quale si è recentemente soffermato Roberto Favini .

 

 

Lsdi ha intervistato Sara Bentivegna per approfondire alcuni aspetti emersi nel libro da lei curato.

 

 

Come definirebbe il rapporto tra Twitter e la politica italiana?

 

In una fase di profonda trasformazione quale quella che caratterizza la politica italiana oggi, legata anche alla nascita di nuovi soggetti politici e di nuovi esponenti politici che sostituiscono i vecchi, Twitter è una piattaforma che è assolutamente rispondente alla nuove caratteristiche e alle nuove esigenze. Questo perché Twitter personalizza la comunicazione: i nuovi esponenti della politica, come Alfano, Renzi  e Grillo prima ancora, trovano nella Twittersfera un habitat a loro favorevole.

 

Dal momento che Twitter è necessariamente una comunicazione personalizzata, visto che è il soggetto che ha l’account, è chiaro che, in un momento in cui la personalizzazione è diventata un elemento centrale della politica, Twitter risulti la piattaforma che meglio si adatta.

 

Nel libro lei ha definito Twitter “uno spazio pubblico ibrido”, in che senso?

 

In questo spazio pubblico si ha ibridazione, per esempio, tra élite e non élite, cioè tra media e politici da una parte e cittadini dall’ altra: su Twitter vi è un’ apparente possibilità di interazione discorsiva tra questi soggetti. Quindi, da questo punto di vista, c’ è una prima forma di ibridazione. Inoltre Twitter diventa anche un fatto pubblico dove si ibridano i modelli comunicativi: è un modello broacasting e anche un modello di interazione e diretto. Il modello broacasting è quando si utilizza Twitter come una sorta di agenzia di stampa e quindi si diffonde qualcosa senza interagire con qualcuno. Contemporaneamente, però, Twitter può essere anche lo spazio pubblico dove si interagisce con qualcuno dando anche risposte ai molti altri che leggono.

 

Ad esempio il tweet di Enrico Letta che ha risposto al telegiornale di Enrico Mentana su La7 che aveva lanciato l’ipotesi su un suo possibile passaggio al Nuovo Centro Destra: Letta ha risposto a una cittadina che si era rivolta direttamente a lui e ha smentito categoricamente la notizia. Quindi, in questo caso, un’interazione diretta tra un leader politico e un cittadino diventa un’ occasione per creare uno spazio pubblico ibrido dove entra in gioco anche il telegiornale, dando vita quindi anche un’ ibridazione mediale.

 

Da questo punto di vista, infatti, secondo me, Twitter altera profondamente l’ecosistema mediale diventando centrale nel dare vita a storie, vicende o narrazioni che poi si sviluppano sui media tradizionali.

 

Nel saggio lei definisce Twitter “una moderna e tecnologica agenzia di stampa gestita in proprio” per i politici, ma come viene modificato il ruolo del giornalismo e del giornalista?

 

Per i politici è evidente che, come nel caso sopraccitato di Letta, Twitter sia una sorta di agenzia di stampa personalizzata: Letta non ha avuto bisogno di fare un comunicato stampa, ha semplicemente pubblicato un tweet e quella è stata la risposta ripresa da tutti.

 

Questo emancipa significativamente i soggetti dall’ intermediazione giornalistica. Da questo punto di vista possiamo quindi dire che vi è un incremento positivo nella circolazione delle informazioni autonomamente prodotte. Contemporaneamente questa circolazione evidentemente va a modificare la definizione e gli ambiti del giornalismo e degli operatori del giornalismo.

 

Quindi possiamo chiederci: “Che fine fanno il giornalismo e i giornalisti?” Da un lato giornalismo e giornalisti hanno tentato, secondo me con successo, almeno fino ad ora, di riprodurre nella twittersfera, uno spazio e una posizione di centralità che richiamasse un po’ quella che avevano nel sistema dei media tradizionale. Non a caso le principali testate e i giornalisti più noti sono quelli che hanno più followers, sono cioè i più seguiti.

 

Nello stesso tempo, però, si modifica profondamente l’ idea stessa del giornalismo perché si crea quello che è stato definito un ambient jourmalism, cioè un giornalismo frutto di tutto quello che viene detto e pubblicato intorno a un evento.

 

Se questo è vero e questa ricchezza e disponibilità di informazione apparentemente si disintermedia, in realtà, secondo me, si reintermedia in un altro modo: su certi argomenti è necessaria infatti un’ intermediazione legata a competenze, esperienze e capacità di lettura che non sempre sono così diffuse. Non è detto che la semplice informazione che circola sia sufficiente.

 

Twitter è un incredibile aggregatore di notizie e informazioni e questa funzione di aggregatore passa attraverso gli influencer, quindi la reintermediazione è quella che viene offerta dagli influencer su Twitter. Influencer che spesso sono gli stessi giornalisti, ma a volte sono anche soggetti che riescono, in base a competenze e relazioni, a porsi come tali. Sono quindi giornalisti, celebrities, ma anche vari altri soggetti.

 

Lei prima diceva che c’è un’apparente possibilità di interazione discorsiva. È solo apparente?

 

Apparente nel senso che c’è potenzialmente, poi quello che viene meno, come dicono i dati presentati nel testo, sia per l’Italia che per l’estero, è il fatto che molto spesso i politici interagiscono con i giornalisti e con gli altri politici e basta. Per questa c’è un’apparente interazione discorsiva aperta a tutti, perché teoricamente lo è.

 

Ad esempio tutti quanti possono rivolgersi a Matteo Renzi, ma poi lui a chi risponde?

 

Un altro esempio: quando Monti utilizzò per la prima volta Twitter per interagire, su 2.000 domande ne scelse sedici provenienti da soggetti che appartenevano all’ élite mediale mentre i cittadini vennero ignorati. Da questo punto di vista è quindi evidente che si tratta di un apparente interazione discorsiva. Ciò non toglie che in potenza c’è.

 

Letta, invece, come abbiamo visto, l’ ha usata questa possibilità. E poi c’è un elemento che spesso viene ignorato: tutte le interazioni discorsive, anche tra membri dell’ élite mediale e politica, avvengono in un contesto pubblico, quindi anche se non risponde a me ho comunque la possibilità di seguire la conversazione che sta facendo con un altro soggetto. Una cosa che non era possibile in nessun altro contesto prima. Spesso quindi si fa l’errore di considerare solo la presa di parola, the voice, e non l’ascolto: non abbiamo gli strumenti per monitorare e valutare gli effetti che produce, ma è un aspetto assolutamente di cui tenere conto.