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Obama peggio di Nixon nell’ attacco al giornalismo. Solidarietà transnazionale contro la sorveglianza di massa

‘’Obama sorpasserà Nixon come peggior presidente degli Stati Uniti nel campo del rapporto fra sicurezza Nazionale e libertà di stampa“. E’ la convinzione di James Goodale, ex consigliere del New York Times, secondo cui ‘’il Presidente Obama punta a criminalizzare l’ informazione giornalistica sulla sicurezza nazionale’’.

 

Lo osserva sul Guardian  Glenn Greenwald (il giornalista che ha lavorato sui documenti dell’ ex contractor della NSA, Snowden) in un articolo dal titolo ‘’Obama’s Attacks on Journalists are Worst Since Nixon’’.  Greenwald spiega come l’ Amministrazione Obama stia mostrando una ostilità particolarmente intensa e, per molti aspetti, senza precedenti nei confronti del giornalismo. Tanto che anche uno dei giornali più ‘’vicini’’ al presidente, Motherjones.com denuncia la ‘’Guerra di Obama alle gole profonde’’.

 

Ostilità senza precedenti nei confronti del giornalismo

 

La situazione è tale che, per la prima volta nei suoi 32 anni di storia (fu fondato a New York nel 1981), il Committee to Protect Journalists, un’ organizzazione indipendente che si è sempre concentrata sulla difesa dei giornalisti e della libertà di stampa oltre i confini del mondo occidentale, è stato spinto a occuparsi di problemi interni, realizzando uno studio molto critico sui rapporti fra l’ amministrazione Obama e la stampa.

 

E invitando i giornalisti a praticare nuove forme di solidarietà oltre le frontiere nazionali per opporsi alla criminalizzazione prodotta dalla sorveglianza di massa.

 

Segno, appunto, che, come molti altri indicatori dimostrano in questo periodo, le cose fra la Casa Bianca e il giornalismo non stanno andando per il verso giusto.

 

Una ulteriore conferma viene anche dall’ intervento di una testata della destra radicale come The New American, che ha segnalato con enfasi la rottura di sintonia fra Obama e la stampa mainstream americana, indicando proprio nel Rapporto del CPJ un segnale molto evidente di questa crisi. ‘’Obama si rivolge contro la stampa che lo ha aiutato alle elezioni?’’.

 

Il mutamento di clima è stato segnalato con prontezza anche da Wired.it, che sottolinea: ‘’ È bene notare che si tratta del primo report di questo tipo dedicato agli Usa mai realizzato dal Committee to Protect Journalists’’.

 

 

Il Rapporto del CPJ

 

Diffuso giovedì 10 ottobre, lo stesso giorno in cui è uscito il testo di una lunga e dura lettera con cui si suonava l’ allarme sulle conseguenze sulla libertà di stampa di una indiscriminata e incontrollata politica di sorveglianza di massa da parte della NSA, il Rapporto del CPJ rincarava la dose.

 

‘’La Casa Bianca di Obama – commenta il  Pasadenastarnews.com – non mai è stata così straordinariamente ostile verso il giornalismo d’ inchiesta: non solo scostante, ma un nemico assoluto. Tanto che il CPJ ha dovuto guardarsi dentro questa volta , esaminando il rischio di una perdita della libertà di stampa nel nostro paese , piuttosto che sottolineare i problemi in qualche paese del Terzo mondo’’.

 

Il Rapporto, redatto da Leonard Downie Jr., ex direttore esecutivo del Washington Post, osserva infatti come la linea dell’ amministrazione abbia avuto “un effetto paralizzante sul giornalismo e sulle ‘gole profonde’ dell’ apparato governativo’’.
Obama si è notevolmente discostato dai suoi impegni per un governo aperto e trasparente  – rileva il Rapporto -, sorprendendo a un certo punto coloro che non si erano accorti della deriva.

L’ acquisizione segreta dei tabulati telefonici e delle email dei giornalisti dell’ AP e di Fox News sono solo i più noti fra i numerosi esempi di come il governo abbia notevolmente oltrepassato la misura.

 

Wired.it aggiunge: ‘’A questo scenario, già preoccupante di suo, bisogna inoltre aggiungere le conseguenze tremende che il Datagate sta avendo e avrà sulla pratica giornalistica in termini, ad esempio, di protezione delle fonti e di segretezza delle comunicazioni. Come si è appreso di recente, anche Tor sarebbe caduto nella rete della sorveglianza globale’’.

 

In un post che accompagna il Rapporto, Jean-Paul Marthoz, senior adviser del CPJ, ha scritto:

 

” La sorveglianza subdola e l’ accanimento contro i giornalisti per cercare di scoprire chi fa le soffiate hanno un costo globale. Confutando il  fatto che i giornalisti americani non possono essere costretti a testimoniare o essere arrestati perché hanno pubblicato qualcosa che mette in imbarazzo i funzionari del governo, queste azioni forniscono un facile alibi per i nemici della libertà di stampa negli stati autoritari e indeboliscono l’ impegno degli Stati Uniti nella difesa della libertà di stampa e della libertà dei giornalisti dovunque”.

 

E’ proprio così, conclude il Pasadenastarnews.com:

 

Nei suoi tentativi terrorizzati  di mantenere il segreto da parte di cittadini che dovrebbero lavorare per il governo, l’amministrazione Obama non solo danneggia la propria immagine e la libertà del suo popolo , ma fa male alla causa della libertà in tutto il mondo .

 

* * * * *

Solidarietà sovranazionale fra i giornalisti contro la sorveglianza di massa

 

di Josh Stearns/CPJ guest blogger*

 

L’ amministrazione Obama, nel suo tentativo di controllare le ‘soffiate’’ dal versante del governo , ha aperto inchieste e avviato indagini interne senza precedenti nei confronti di giornalisti , come documenta il Rapporto del CPJ di questa settimana. Ma gli Stati Uniti non sono certo l’ unica nazione democratica che ha cercato di svelare le fonti dei giornalisti e altri segreti professionali.

 

Ad agosto, David Miranda, il compagno del giornalista americano Glenn Greenwald , è stato bloccato in stato di fermo  dalle autorità del Regno Unito presso l’ aeroporto londinese di Heathrow, mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto in Brasile. Il direttore di Greenwald al Guardian, Alan Rusbridger, ha rivelato che il governo britannico aveva cercato per mesi di fermare le rivelazioni del Guardian sui programmi di sorveglianza di massa rivelati dall’ ex contractor della National Security Agency, Edward Snowden , minacciando azioni non specificate. Infine, due agenti del Governement Communications Headquarters (GCHQ) del Regno Unito, una agenzia di intelligence britannica , aveva supervisionato la distruzione fisica dei dischi rigidi di alcuni computer nel seminterrato della sede londinese del giornale.

 

Il Guardian tuttavia ha continuato nel suo lavoro, stringendo anche una partnership con New York Times e ProPublica. Un portavoce del Guardian  ha detto a BuzzFeed: “In un clima di forti pressioni da parte del governo britannico , il Guardian ha deciso di stringere un accordo con una testata partner degli Stati Uniti per lavorare sui documenti del GCHQ”. Questa partnership va oltre una semplice collaborazione editoriale; suna invece come un atto giornalistico di disobbedienza civile al fine di servire il pubblico. Una collega, Laura Poitras , giornalista e regista americana che lavora a Berlino, con cui Greenwald aveva condiviso alcuni dei documenti sui programmi di sorveglianza di massa forniti da Snowden, il mese scorso ha condiviso una parte dell’ inchiesta con James Risen, un giornalista del New York Times che si occupa di intelligence, e che è sottoposto a una inchiesta giudiziaria per le sue ricerche su altre attività di intelligence degli Stati Uniti . ( Miranda, il compagno di Greenwald, era stato fermato a Londra dopo essersi incontrato con Poitras a Berlino).

 

Sempre più spesso, i giornalisti stanno trovando la forza di mettere in campo una solidarietà globale che collega redazioni e attraversa le frontiere .

 

Jay Rosen, docente di giornalismo alla New York University, ha  suggerito che i giornalisti come comunità avrebbero bisogno di una sorta di nuova ‘’Sunlight coalition’’ per opporsi a quelle forze sempre più potenti che i governi stanno esercitando nel campo della sorveglianza di massa e della limitazione della stampa. La coalizione dovrebbe riunire giornalisti , informatori , tecnologi, avvocati, pubblici e altro ancora . “Stanno cercando di rendere il giornalismo più arduo, più lento e meno sicuro, lavorando insieme contro di voi”, scrive Rosen, rivolgendosi ai governi in terza persona e ai colleghi in seconda persona (il corsivo è suo ). “Voi dovete lavorare insieme contro di loro per pubblicare in ogni caso e mettere il materiale al di fuori della loro portata. ”

 

I giornalisti americani hanno visto degli esempi di questo tipo di solidarietà in seguito alle rivelazioni sul sequestro massiccio da parte del Dipartimento di Giustizia dei tabulati telefonici dalla Associated Press, la definizione di un giornalista di Fox News come “co-cospiratore “, e le fortissime pressioni da parte dei funzionari dell’ amministrazione Obama per costringere James Risen a testimoniare sulla sua fonte . Ma se bisogna ascoltare colleghi come Rusbridger e Rosen, i giornalisti devono ora passare da un atteggiamento di pura reazione a un comportamento progettato in maniera proattiva per affrontare la crescente cultura di molestie e di intimidazione nei confronti della stampa .

 

Sulla scia delle rivelazioni di Snowden, e vedendo che cosa è stato fatto nei confronti di Greenwald, Poitras  e gli altri giornalisti che hanno parlato di queste vicende, c’ è stata una crescente attenzione e un crescente interesse per la sicurezza digitale per i giornalisti . Le più apprezzate tecnologie di crittografia e di sicurezza tendono ad essere ” open-source “, cioè i loro codici di programmazione rimangono aperti per consentire a chiunque di controllare che non vi siano vulnerabilità nascoste attraverso cui le agenzie di intelligence governative possono avere accesso alle informazioni cifrate. Il software open – source è un modello costruito sulla solidarietà, un modello che si basa sul  meccanismo del smostra il tuo lavoro, condividi il tuo lavoro e sostieni il lavoro degli altri.

 

Ma quando si tratta di sicurezza digitale, nessuno può farlo da solo. Sia il mittente che il destinatario di un messaggio cifrato devono saper utilizzare il software di crittografia per ogni segreto da conservare. Data l’ espansione della sorveglianza di massa e le nuove minacce che i giornalisti nell’ era digitale devono affrontare, non è sufficiente avere un paio di nerd appassionati di giornalismo che predicano i vantaggi della crittografia .

 

“Molte persone pensano che la sicurezza del giornalista prevede l’ utilizzo di file crittografati e tecniche di contro- sorveglianza. Certo, queste pratiche hanno la loro importanza”, ha scritto Frank Smyth, del CPJ, in un pezzo sull’ importanza della solidarietà fra i giornalisti nelle varie nazioni. “Ma la sicurezza è in realtà un modo di pensare, un modo di affrontare il lavoro. E promuovere la solidarietà professionale è fondamentale per questo approccio . ”

 

Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale all’ interno di giornalismo che vada dal libero professionista individuale alla grande redazione, dal più piccolo club di giornalisti fino alla più grande scuola di giornalismo . Per arrivarci, dobbiamo cominciare a lavorare insieme non solo con i nostri colleghi professionisti più vicini, ma anche con le nostre comunità nel senso più ampio, al di là dello stesso giornalismo professionale, i cui componenti sono sempre più partecipi e interessati al processo di raccolta delle informazioni.

 

Nel loro Rapporto sul “Giornalismo post-industriale” , CW Anderson , Emily Bell e Clay Shirky affermano “non c’ è più una cosa come l’ industria della notizia’’. E suggeriscono che abbiamo bisogno di una ristrutturazione dalla base,  che significherà “ripensare ogni aspetto organizzativo della produzione di notizie”.
Questo significa anche ripensare al modo con cui ci si può organizzare per raccogliere notizie resilienti e sostenibili . Mentre le istituzioni del giornalismo si evolvono e cambiano , così anche deve fare l’ impegno per la libertà di stampa. Abbiamo bisogno di una solidarietà globale che rifletta il nostro crescente quarto potere nella Rete, che possa aiutarci a costruire nuove coalizioni e coinvolgere i nostri lettori come alleati.

 

Le nuove sfide che affrontiamo sono esemplificate dalla vicenda di Sarah Abdurrahman, una produttrice per il programma di NPR ‘’On The Media’’, che è stata arrestata con la sua famiglia e i suoi amici al confine degli Stati Uniti per sei ore . Non è stata arrestata per il suo lavoro giornalistico, ma per  la sua razza e la sua religione . Durante la sua detenzione, la sua dotazione elettronica è stata scandagliata e gli agenti della polizia di frontiera si sono rifiutati di rispondere alle sue domande . Il New York Times ha documentato come il governo degli Stati Uniti abbia usato i confini come una ” backdoor ” per controllare e sequestrare i dispositivi elettronici dei viaggiatori, un tema con particolari implicazioni per i giornalisti , ma che riguarda tutti . E sappiamo che i giornalisti come Laura Poitras hanno affrontato interrogatori invasivi e molestie alle frontiere degli Stati Uniti per anni.

 

Questo è un problema che accomuna i gruppi per le libertà civili , come l’ ACLU, i gruppi per i diritti digitali, come l’ Electronic Frontier Foundation, le associazioni per la libertà di stampa, come il Committee to Protect Journalists e gli organismi per la riforma dei media, come la Free Press. Tuttavia, la comprensione e la difesa dei nostri diritti lungo i confini è anche un problema su cui possiamo fare causa comune con le nostre comunità e i nostri lettori. Nel mese scorso, più di 75.000 persone in Usa e Uk hanno registrato la loro preoccupazione su FreePress.net sull’ arresto di Abdurrahman, Poitras e Miranda .

 

La tecnologia ha dato ai giornalisti nuovi strumenti per raccontare le loro comunità, connettersi con le loro fonti e collaborare alla loro ‘’copertura’’. La tecnologia ha anche contribuito a potenziare le istituzioni governative che sono organizzate contro il giornalismo, la trasparenza e la responsabilità. Sfidando queste istituzioni, e difendendo il nostro diritto di raccogliere e diffondere notizie, saremo sempre più chiamati a stabilire nuovi tipi di collaborazioni e di alleanze e a realizzare nuove reti di solidarietà .

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*Josh Stearns è direttore della Journalism and Public Media Campaign per la Freedom of the Press Foundation, un gruppo di pressione che include, fra gli altri, i giornalisti Glenn Greenwald e Laura Poitras e l’ attore John Cusack.

 

* * * * *

IL RAPPORTO DEL CPJ

October 10, 2013
Washington, d.c.
(prima parte)

 

A Washington i funzionari dell’ amministrazione Obama hanno sempre più paura a parlare con la stampa. Coloro che sono sospettati di discutere con i giornalisti di qualsiasi cosa il governo abbia classificato come segreto sono indagati, soggetti ai test alla macchina della verità, a controlli telefonici e vittime della registrazione della posta elettronica . Un “Insider Threat  Program” (un programma contro la minacce interne) attuato in ogni dipartimento richiede a tutti i dipendenti federali di aiutare a prevenire la divulgazione non autorizzata di informazioni attraverso un monitoraggio del comportamento dei loro colleghi .

 

Sei dipendenti governativi, oltre a due contractor, fra cui Edward Snowden, sono stati perseguiti penalmente a partire dal 2009 sulla base dell’ Espionage Act del 1917, accusati di aver soffiato informazioni riservate alla stampa, a fronte di un totale di tre soli procedimenti giudiziari in tutte le precedenti amministrazioni Usa. Ulteriore indagini penali su ‘’soffiate’’ sono in corso. Gli elenchi delle telefonate e delle e-mail dei giornalisti sono stati segretamente sequestrati dal Dipartimento di Giustizia in due delle indagini  e un giornalista di Fox News è stato accusato in uno di quei procedimenti di essere “un concorrente, o un complice” di un imputato accusato di essere una ‘’gola profonda’’, rimanendo così esposto a possibili persecuzioni solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista. In un altro caso di ‘’soffiata’’, a un giornalista del New York Times è stato ordinato di testimoniare contro un imputato se non voleva essere arrestato.

 

Ad aggravare le preoccupazioni dei giornalisti e dei funzionari governativi con cui essi hanno contatti, le notizie emerse dai documenti riservati ottenuti da Snowden hanno rivelato un’ ampia attività di sorveglianza delle conversazioni telefoniche americane  e del traffico e-mail da parte della National Security Agency . Numerosi giornalisti con sede a Washington mi hanno riferito che i funzionari sono riluttanti a dare informazioni , anche non classificate, perché temono che le indagini sulle fughe di notizie e la sorveglianza da parte del governo rendano più difficile per i giornalisti proteggerli come fonti. “Mi guardo dal chiamare qualcuno ora, perché il contatto può essere scoperto attraverso un controllo dei tabulati telefonici o delle e-mail”, ha ammesso R. Jeffrey Smith, un giornalista esperto di sicurezza nazionale per il Center for Public Integrity, una influente testata giornalistica nonprofit di Washington. “Ciò lascerebbe una traccia digitale che rende più facile per il governo monitorare quei contatti”, ha spiegato .

 

“Penso che abbiamo un problema reale “, ha detto Scott Shane, redattore esperto di sicurezza nazionale per il New York Times. “La maggior parte delle persone sono scoraggiate dalle inchieste penali aperte su queste fughe di notizie. Sono spaventate a morte . C’ è una zona grigia tra le informazioni classificate e quelle non classificate , e la maggior parte delle fonti stavano in quella zona grigia. Ora però le fonti hanno paura di entrare in quella zona. Si è sviluppato un effetto deterrente. Se consideriamo che una copertura aggressiva delle attività di governo sia alla base della democrazia americana, queste oscillazioni fanno pendere la bilancia tutta dalla parte del governo”.

 

Nello stesso tempo, mi hanno detto molti colleghi giornalisti, i portavoce designati dalle amministrazioni sono spesso insensibili o ostili alle esigenze della stampa, anche quando i giornalisti sono stati indirizzati loro da funzionari che non avevano nessuna intenzione di parlare con loro da soli. Nonostante le ripetute promesse del presidente Barack Obama, secondo cui la sua amministrazione sarebbe stata la più aperta e trasparente nella storia americana, i giornalisti e i militanti per la trasparenza pubblica dicono di essere del tutto delusi.

 

“Questa è l’ amministrazione più mostruosamente chiusa che io abbia mai seguito nel mio lavoro’’, si è lamentato David E. Sanger, veterano corrispondente-capo da Washington del New York Times.

 

(…)

 

* * * * *

 

 

Della vicenda, ricorda il Rapporto, si sta interessando anche l’ Unione europea, che a settembre ha aperto una indagine conoscitiva per determinare l’ impatto delle attività di sorveglianza delle autorità americane sui cittadini europei.

 

Ecco una sintesi della prima fase dei lavori.

 

L’ impatto dei programmi della NSA (National Security Agency) e di altre agenzie sulla privacy dei cittadini e la libertà di stampa e la mancanza di controllo democratico su questi programmi erano le principali preoccupazioni espresse dai parlamentari e dai giornalisti sentiti giovedi , nella prima di una serie di audizioni sull’ attività di spionaggio da parte degli Stati Uniti e dei paesi dell’Unione europea.
 
“Lo scopo di questa indagine è quello di determinare l’impatto di tali attività di sorveglianza sui cittadini dell’Unione europea ” , ha spiegato il leader della Commissione d’ inchiesta sulle Libertà Civili Claude Moraes (S&D,UK) .
 
“La sorveglianza ha un enorme impatto sulla gente. L’  NSA non è vincolato dalle leggi comunitarie e non si preoccupa delle nostre leggi: quindi può intercettare chiunque nel nostro paese senza alcun tipo di mandato”, ha sottolineato Jacob Appelbaum, giornalista investigativo ed esperto di sicurezza informatica nel suo intervento. “Questo non è un problema del post 9/ 11 – gli Stati Uniti stanno facendo questo da molto più tempo”, ha aggiunto.
 
In gioco la libertà di stampa

 

L’ uso delle leggi anti-terrorismo del Regno Unito che hanno consentito di tenere in stato di fermo David Miranda (il compagno di Snowden….., vedi….) e la minaccia del governo britannico di avvalersi del diritto di chiedere la distruzione dei materiali detenuti dal Guardian sono due problemi che i legislatori devono considerare , ha detto il direttore del quotidiano, Alan Rusbridger, in videoconferenza. Aggiungendo che tutto ciò è “di forte ostacolo al giornalismo”, è come ” gettare sabbia negli ingranaggi ” .

 

Sul tema della necessità di salvaguardie legali dell’ Unione europea per la libertà di stampa, Rusbridger ha sottolineato che ” i giornalisti europei non hanno la stessa protezione dei giornalisti degli Stati Uniti”, sottolineando che l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ( diritto alla libertà di espressione ) “non ha lo stesso peso” del Primo emendamento della Costituzione Usa.

 

L’ importanza del giornalismo d’ inchiesta e la necessità di proteggere gli informatori è stata evidenziata dai deputati durante il dibattito. ” I legislatori possono avere un ruolo importante di protezione del giornalismo investigativo e di promozione di questi tipi di dibattiti’’, ha detto ancora Rusbridger . “Vi prego, trovate il modo di proteggere il giornalismo. E’ solo il giornalismo che potrà darvi un punto di vista imparziale. E, vi prego, pensate a qualche meccanismo di sorveglianza’’, ha chiesto ai parlamentari europei.

 

E’ essenziale il controllo democratico

 

“Per noi il grande problema è il controllo”, ha dichiarato Jacques Follorou, di Le Monde . “In Francia, il dibattito finora si è concentrato soprattutto sui mezzi tecnologici piuttosto che sul diritto e le libertà dei cittadini (…). Il punto è che queste tecnologie possono essere utilizzate per altri scopi oltre che per combattere il terrorismo”, ha sottolineato .

 

“La questione chiave in questa analisi è capire perché i nostri sistemi di check and balance hanno fallito ” , ha detto Sophia In’t Veld (ALDE, NL) . “Siamo in uno scenario in cui non ci sono assolutamente pesi e contrappesi”, ha aggiunto Carlos Coelho (PPE, PT ).  “Ci dovrebbero essere dei forti controlli per prevenire questo tipo di sorveglianza di massa”, ha rilevatoCornelia Ernst (GUE/NGL, DE).

 

“Questa discussione è importante per i legislatori di tutti i Paesi. Il Parlamento in questo campo ha un ruolo molto delicato’’, ha concluso Rusbridger .

 

I prossimi passi

 

La Commissione per le libertà civili ha programmato dodici incontri che si svolgeranno entro la fine dell’ anno. Una risoluzione dovrebbe essere messa ai voti nelle sedute plenarie della Commissione, in programma una a dicembre e una a gennaio 2014.

 

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