‘’Non geek ma neppure tecnofobi’’: i giornalisti italiani a un livello digitale ‘’basico’’

Questionario1 L’ intera comunità dei giornalisti italiani usa ormai costantemente Internet per lavoro e due giornalisti su tre  utilizzano, almeno una volta alla settimana,  strumenti digitali più complessi  (aggregatori, newsfeed, Gdoc, Skype), ma più della metà non possiede un blog, né aziendale né personale.
Sono alcuni dei risultati emersi da una Ricerca sul rapporto fra i giornalisti italiani e le tecnologie digitali condotta dal Gruppo di lavoro ‘’Qualità dell’ informazione, pubblicità e nuovi media’’ dell’ Ordine dei giornalisti, pubblicata su Qualinfo.it, il sito del Gruppo.

Insomma, secondo il sondaggio, i giornalisti italiani non sono dei ‘’geek’’ (dei fissati per la tecnologia) ma non sono neanche dei tecnofobi, come qualcuno poteva immaginare.
Dal quadro emerso, secondo Qualinfo.it, si può dire che il giornalismo italiano nella media è a un livello di utilizzo “basico” del digitale.

Avvertenze.

 

La Ricerca si basa su un questionario a risposta volontaria, somministrato via web e aperto a chiunque. I 907 giornalisti che hanno partecipato al sondaggio – spiega il Gruppo di lavoro dell’ Ordine – costituiscono quindi un campione autoselezionato.  Anche se, ormai,  l’ intera industria giornalistica italiana funziona unicamente con strumenti digitali e la partecipazione al sondaggio non presupponeva una particolare esperienza sul piano dell’ utilizzo degli strumenti digitali. Per cui, pur se i dati riguardano quel campione particolare e non sono immediatamente trasferibili sull’ intera popolazione di giornalisti, è possibile dire che essi indicano probabilmente delle linee comuni a tutta la popolazione giornalistica attiva.

E la decisione di partecipare al sondaggio segnala semmai nei partecipanti un interesse più motivato nei confronti delle condizioni della professione.

 

 

Alfabetizzazione.

 

Questionario2

I dati mostrano comunque che il processo di alfabetizzazione digitale nel giornalimo italiano è ancora abbastanza lento, sottolinea nel suo intervento di ‘’lettura’’ dei dati  Vittorio Pasteris .

 

Lo smartphone è uno strumento molto utilizzato nella vita privata (a naso pensiamo si tratti di Iphone), mentre le dotazioni telefoniche aziendali sono ancora decisamente poco smart. Ancora più blando l’uso di tablet o Ipad che sono ancora un futuro prossimo.

 Se dal piano hardware passiamo a quello più software le cose non cambiano di molto. Il blog non è uno strumento molto utilizzato professionalmente in media, anche perché molti giornalisti sono arrivati in Rete quando la blog mania era già finita. Sul tema social network anche i giornalisti sono un po’ malati di Facebook, come tutti gli italiani, per cui FB resta il loro social più utilizzato. Nonostante se ne parli molto di più nell’ultimo periodo Twitter non è così diffuso come si potrebbe pensare.

 Tutta da rivedere anche è la coscienza d’uso della Rete e la sua netiquette che per molti sono ancora un arcano da approcciare.

 

 

Arretratezze.

 

Ma nel complesso, come osserva Michele Urbano, ‘’il giornalismo italiano, pur con tutti i suoi limiti, dimostra di stare al passo dei tempi’’.  Semmai, aggiunge:   

 

L’ arretratezza sta piuttosto in altro.

Nel rispetto dei diritti contrattuali, ad esempio. Come commentare che 123 intervistati, pari al 13,56% del campione dei giornalisti che hanno risposto al questionario, dichiarino di avere come contratto quello di impiegato?

   

 

I non iscritti all’ Ordine.

 

La Ricerca, secondo Giovanni Boccia Artieri, consente anche una lettura più profonda del processo di innovazione e del modo con cui la professione lo segue:

 

   Se leggiamo nel dettaglio i dati notiamo una naturale relazione inversa fra anzianità di servizio dei giornalisti che hanno risposto al questionario e l’uso degli strumenti e le competenze digitali. Si tratta però di dati molto meno da digital divide generazionale di quelli che coinvolgono la popolazione italiana: anche le fasce più anziane si informano online e usano i social network in modo significativo.

Ma proprio per questo i dati vanno letti più in profondità, per tentare di cogliere gli elementi di discontinuità professionale.

 

Discontinuità che, secondo Boccia Artieri, è possibile intuire nella posizione dei non ancora iscritti all’ Ordine (il 4,2% del campione), quella

 

manciata di rispondenti che si trovano in una condizione di necessaria sensibilità nei confronti di un mercato editoriale in trasformazione. Sono questi, nel comparto della loro condizione professionale, ad usare maggiormente Internet come realtà informativa (94.7%), ad usare aggregatori di feed RSS per il lavoro o strumenti di condivisione (68.4% ), meno presenti sui blog (2.6%) perché la realtà emergente delle social news impone di essere più presenti sui social network (su tutti con un 10% di scarto con le altre categorie professionali): su Facebook con account lavorativo e personale (57.9% ) e Google+ (52.6%) e ad usare Twitter (50%) – gestendo spesso anche l’account della testate per cui lavorano.

 

Sono, continua Boccia Artieri,

 

micro indicatori di una condizione che vede la professionalità del giornalista passare dalla sua esposizione in pubblico per farsi conoscere e riconoscere e costruire una corrispondenza fra professionalità e reputazione, come le logiche della Rete ci sta insegnando in questi anni. Con un’attenzione per le realtà di un’informazione che si produce e distribuisce sempre di più anche attraverso strumenti di connessione che consentono di unire il fattore news con la qualità delle reti sociali.

Sono indicatori infine della necessità di “fare Rete”, e si tratta di capire se una volta passati ad altra condizione abbandoneranno questa loro disponibilità alla connessione o se questa, invece, sarà un punto di forza.

Quello che è certo è che sono questi giornalisti che stanno sperimentando forme di “cura” dell’informazione e logiche di produzione e di circolazione dell’informazione che rappresentano l’adattamento al presente che il giornalismo italiano va cercando.

 

 

Solo silenzio nelle redazioni?

 

‘’E quel grande casino vitale nelle redazioni’’, che fine ha fatto?, si chiede negli interventi di ‘’lettura’’ del sondaggio Enrico Galeazzo, esprimendo ‘’il punto di vista di un giornalista non entusiasta del copia-incolla’’.      

 

Non ho dubbi sul fatto che internet sarà il media del futuro. Lo è anche nel presente, con tutti i suoi limiti, le sue distorsioni e approssimazioni. E’ un mondo che va regolamentato, monitorato, anche per non permettere agli editori di affermare che, in fondo, il giornalismo si può fare digitando un paio di pulsanti sulla tastiera di un pc, o con il telelavoro, quest’ultimo la forma più alienante e umiliante del mestiere di giornalista.

Di certo so che nelle redazioni – se si escludono alcune cronache di giornali, qualche rubrica di approfondimento radiofonica e rare trasmissioni televisive – i telefoni squillano sempre meno, i lettori non bussano più alle porte e troppo spesso regna quel silenzio che tanti anni fa avrei considerato paradisiaco, ma che ora reputo opprimente.

Un po’ di dati

 

1)      Il 98,5% dei giornalisti che hanno partecipato al sondaggio usa internet come fonte di notizie (893 su 907) e il 93,4% lo fa tutti i giorni.

 

2)      Il  66,1% del campione utilizza regolarmente, almeno una volta alla settimana,  strumenti digitali lievemente più complessi  (aggregatori, newsfeed, Gdoc, Skype), mentre il 21,3% li utilizza raramente e il 12,6% mai.

 

Questionario3

 

3)       Più della metà, il 60,6%, non possiede un blog, né aziendale né personale.

 

4)      Per quanto riguarda le reti sociali, mentre l’ 81% dei giornalisti del campione  hanno un account Facebook (personale, aziendale o entrambi), la percentuale si riduce al 58% per Twitter e al 54% per Google+.

 

E’ un dato in linea con quello della diffusione dei tre social network nella popolazione globale degli utenti di internet , ma c’ è un’ inversione tra g+ e twitter: quest’ ultimo strumento è più usato dai giornalisti rispetto alla media degli utenti italiani.

 

5)      Poco più della metà del campione (il 51,3%) ritiene di usare la Rete in modo informato e consapevole e il 38,4% sente il bisogno di approfondire alcune tematiche. Per il restante 10,3% del campione che non è informato sulle regole e la netiquette, il 6,6% ritiene comunque di usare la Rete senza imbarazzi, mentre solo il 3,8% si trova in difficoltà.

 

6)      Il 6,7% del campione non possiede un pc portatile di proprietà, mentre il 27,1% possiede un pc aziendale e il 66,2% ha solo un portatile personale.

 

7)      Quasi un giornalista su 3 (il 31,7%) non possiede uno smartphone. Quelli che ne hanno uno aziendale sono il 16,6% mentre il 51,9% ne ha solo uno personale.

 

8)      Quanto ai tablet, il suo uso è confinato al 32,6% del campione:  5,07% ne ha uno aziendale; 25,7% uno personale e l’ 1,9% li ha entrambi. Il 67,4% non ce l’ ha.

 

9)      Per quanto riguarda la sicurezza e l’ uso delle password, più della metà del campione (il 56,4%) sceglie password in maniera da evitare che possano essere facilmente ‘’rubate’’, mentre un giornalista su 4 (25,2%) utilizza parole semplici e facilmente memorizzabili e il 18,3% usa sempre la stessa password per diversi utilizzi.

 

10)   Solo il 31,9% del campione cambia le password periodicamente, mentre la maggioranza (il 48%)  le cambia solo quando lo richiede il sistema e il 21% utilizza sempre le stesse password.

 

– – – – –

 

Il testo integrale della Ricerca è su Qualinfo.it .

 

Lo studio è stato realizzato dal Gruppodi lavoro su  ‘’Qualità dell’ informazione, pubblicità e nuovi media’’ del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti (Maurizio Di Gregorio, Gianni Dimopoli, Enrico Galeazzo, Remo Guerra, Laura Incardona, Pino Rea, Michele Urbano), con la consulenza di Giovanni Boccia Artieri e Vittorio Pasteris, delle Università di Urbino e Torino.

 

I dati sono stati curati statisticamente da Emma Scopelliti e Alessio Cimarelli.