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La carica dei “mook”, un nuovo (vecchio) modello di editoria giornalistica


 Qualche giorno fa Lsdi si è interessato alla polemica nata in Francia attorno al Manifesto per un altro giornalismo di ‘’XXI’’.

 

Se questa giovane rivista ha osato dispensare lezioni di giornalismo al resto della stampa transalpina è in qualità di alfiere di un nuovo modello di pubblicazione giornalistica, il “mook”, contrazione di magazine e book.
Vediamo più da vicino questo fenomeno tornato in auge da qualche anno e che, nel caso della testata capofila, ‘’XXI’’, ha portato anche un grosso successo commerciale.

 

Cosa che in un momento di forte crisi nel campo editoriale ha prodotto naturalmente una fitta serie di iniziative analoghe. Non tutte fortunate allo stesso modo

 

 

 

di  Andrea Paracchini

 

 

Un “mook”, contrazione di “magazine” e “book”, non è un’ invenzione francese. Il modello storico più significativo è senza dubbio Granta, rivista fondata a Cambridge nel 1889, resuscitata nel 1979 e tuttora in forma. In Francia, è la casa editrice Autrement che ha introdotto il termine nel 2007 con la creazione della collezione “Le Mook”. Dietro la promessa di un “libro-magazine per quanti desiderano il mondo altrimenti”, l’ editore propone da allora dei fascicoli dedicati ad un unico tema, sviscerato in lunghi articoli affidati a diversi autori, giornalisti ma anche specialisti.

 

E’ però alla rivista XXI, nata anch’ essa all’ inizio del 2008, che si riconosce il merito di aver interpretato la formula nella maniera più efficace. XII è la creatura di Laurent Beccaria e Patrick de Saint-Exupéry. Il primo viene da una famiglia di editori con un’ esperienza nell’ edizione di nicchia. Patrick de Saint-Exupéry arriva invece da Le Figaro, dove era “grand reporter”.

 

 

Il prodotto del loro incontro è una rivista di 200 pagine, stampata su carta pregiata, piena di avvincenti reportages di svariate pagine scritti con grande cura e bello stile. Venduta esclusivamente in libreria o su abbonamento al prezzo di una quindicina di euro, XXI è un oggetto elegante, maniacalmente fedele a se stesso eppure sempre originale, da conservare ed esibire. “Un oggetto culturale boboïssime (fighettissmo, ndt) per eccellenza”, l’ha del resto definito una blogger letteraria de L’ Express. Ma anche un incredibile successo commerciale che nessun esperto di marketing avrebbe potuto mai prevedere. A cinque anni dalla sua nascita, questo trimestrale diffuso in libreria o su abbonamento vende 55.000 copie a numero, conta una decina di giornalisti in redazione e ha generato 450.000 euro di utili lo scorso anno.

 

Uno schiaffo a quanti dichiaravano morta la carta stampata a beneficio di schermi mobili dove fruire istantaneamente di un’ informazione dematerializzata e multimediale, sempre in tempo reale.

 

La rivincita dello slow journalism, come qualcuno l’ ha definito un giorno. Un giornalismo che si prende tutto il tempo necessario per approfondire gli argomenti di cui tratta e che non perde mai di attualità perché non ne è schiavo. Un giornalismo che sostiene di ritornare alle origini stesse del mestiere e che, ad opera di un gruppo di colleghi tedeschi, si è persino fissato delle regole (qui la versione tedesca, qui la traduzione in francese; Lsdi ne aveva parlato qui).

 

 

 

Stesso modello

 

In una Francia attraversata dalla crisi della stampa, dove la pubblicità cala, i giornali chiudono e nessuno sembra davvero sapere come uscire dall’ impasse, un simile successo non poteva passare inosservato. XXI è quindi diventato rapidamente un vero e proprio modello da seguire.

 

A fine maggio 2010, lo stesso giorno in cui i francesi facevano la fila per l’uscita dell’IPad, arriva Usbek & Rica (dal nome dei due protagonisti di Lettere Persiane, il romanzo di Montesquieu), un “mook” che si propone di fondere attualità, uchronia et utopia. Nel marzo 2011, la stessa premiata ditta Beccaria-Saint-Exupéry lancia 6Mois, un mook dedicato al fotoreportage. Qualche mese dopo Muze, una rivista femminile che aveva conosciuto una sorte infelice, rinasce sotto forma di “mook”.

 

Nel 2011, è la volta di Feuilleton, un trimestrale di 256 pagine in formato A4. Un vero “mattone” composto per due terzi da una selezione di articoli stranieri tradotti, reportages d’autore di quelli che si trovano nei numeri “Storie” che Internazionale pubblica a natale e a ferragosto. Alcuni risalgono a svariati anni fa, ma mantengono un interesse, in ossequio alla filosofia dello slow journalism. Nel primo numero, si poteva così leggere un testo di Daniel Mendelsohn sulla biblioteca del Vaticano e un racconto di Orwell pubblicato da Tribune nel 1946. Nell’ultimo, un racconto inedito di Francis Scott Fitzgerald, la trascrizione del processo alle Pussy Riot e un reportage su Guantanamo, un tempo culla della cultura cubana.

 

 

Ma è solo l’inizio. Oggi è difficile anche solo provare a dare un elenco esaustivo dei “mook” esistenti in Francia: Crimes et châtiments, che tenta di parlare di cronaca nera “in maniera elegante” e “senza sensazionalismi”, Rukh che racconta il mondo arabo in maniera originale, Macrocosme dedicato alla scienza, Charles, un “mook” sulla politica[1]. Molti sono nati dall’ entusiasmo di giovani venuti dal giornalismo, più spesso dal mondo dell’ editoria.

 

Alcuni hanno potuto contare su un sostegno finanziario adeguato: Adrien Bosc, venticinquenne fondatore di Feuilleton, aveva a disposizione 270.000 euro di capitale racimolati anche grazie a Pierre Bergé, il magnate della moda che nel 2010 aveva rilevato in cordata il quotidiano Le Monde. Altri, la maggioranza, hanno dovuto un po’ arrangiarsi. Altri, sono nati dall’ iniziativa dei grandi gruppi della stampa tradizionale che hanno fiutato la tendenza e tentato la strada del “mook”.

 

France Culture, il canale culturale dell’emittente radiofonica pubblica, lancia con l’ editore Bayard France Culture papiers, 192 pagine di trascrizione di alcune trasmissioni radiofoniche. Ad agosto 2012, il gruppo L’Express Roularta lancia Long Cours, trimestrale di grandi reportages stampato in 35.000 copie. Un mese dopo, i fondatori di VSD, storico magazine francese, lanciano We demain. Persino L’ Equipe, il celebre quotidiano sportivo, si è buttato nella mischia con Hobo, il primo “mook” dedicato al fotogiornalismo sportivo.

 

 

 

“Mook”: stesso modello, fortune alterne

 

Da XXI a We Demain passando per Muze, gli ingredienti alla base della ricetta “mook” sono più o meno sempre gli stessi: una fogliazione importante (228 pagine per We Demain, 350 pagine per 6mois) che si traduce in una presenza fisica “tangibile” (siamo attorno al chilo di peso) e una grande cura materiale. Il tutto, senza pubblicità, ad un prezzo più simile a quello di un libro che a un magazine per una distribuzione in libreria, o su abbonamento, con una periodicità di tre o sei mesi.

 

Esistono però eccezioni, trasgressioni anche significative al dogma di XXI. Muze, ad esempio, offre uno spazio “Atelier d’ écriture” alle produzioni – poesie, critiche e racconti – delle sue lettrici, impensabile in titoli come XXI o Feuilleton che puntano sull’eccellenza del contenuto. Lo stesso Muze rompe l’ ostracismo nei confronti dei nuovi media ed è disponibile già dal 2011 su Ipad. Il piccolo Rukh, invece, è sceso a compromessi sul prezzo ed è in vendita a “soli” 7 euro.

 

Questo perché la ricetta “mook” non garantisce il successo di pubblico e critica di XXI. Lanciato nel marzo 2012, Hobo non è andato oltre al primo numero. La storia di Usbek & Rica è ancor più emblematica. Il progetto aveva un orizzonte breve, tre anni per quattro numeri all’anno ma la pubblicazione è sospesa già nel giugno 2011: partito con una tiratura di 40.000 esemplari, il mook aveva convinto solo 300 abbonati e 10.000 lettori fedeli. La vendita in libreria, che grazie ad una distribuzione più precisa doveva permettere di abbattere il tasso di reso, si rivela inefficace. Così, a gennaio 2012, voltafaccia: Usbek & Rica riparte con una “nuova” formula: il prezzo è diviso per tre e il giornale sbarca anche in edicola in formato…magazine. A fine 2012, la rivista meditava persino ad una declinazione on line in collaborazione con il pure player Owni.

 

 

Analizzando la trasformazione della sua rivista, Jérôme Ruskin commentava severamente:

 

 

“Non credo che ci sia un vero mercato. Per me, XXI è un incidente industriale, nel senso buono del termine. Ma non c’è posto in libreria per venti mooks.”

 

Senza pubblicità, infatti, la soglia di equilibrio per questo genere di prodotti si situa attorno alle 15.000 copie vendute. Una rivista di ultra nicchia come Charles ne vende 5.000, Feuilleton o Muze 10.000. Il panorama comincia ad essere affollato e c’ è da chiedersi, come fa Télérama, se ci sia abbastanza spazio sugli scaffali delle librerie per dare la giusta visibilità a tutta questa generosa offerta. Per il sociologo dei media Jean-Marie Charon il fenomeno è da relativizzare.

 

 

“Siamo a dei livelli di diffusione modesti (…) ben lontani dal milione di copie di Femme actuelle o dalle 300.000 di Elle. Il pubblico per questo genere di oggetti è ristretto.”

 

 

E anche poco noto, dal momento che l’assenza di inserzionisti autorizza gli editori a non investire troppo nell’ analisi del lettorato. Ciò non toglie che il fenomeno “mook” sia ancora in piena effervescenza. Il fondatore di Feuilleton, Adrien Bosc, ha appena lanciato Desports, una raccolta di articoli letterari sullo sport e gli atleti. Il primo numero parla molto in italiano, con un testo di Pasolini sul calcio e uno di Nanni Moretti sulla pallanuoto, fra gli altri.

 

Il sito Gonzai ha invece deciso di tentare la complementarietà con la carta creando la sua declinazione “mook”. Il primo numero è stato stampato in 1.500 copie grazie a 600 pre-ordini su Ulule, una piattaforma di crowdfunding molto nota in Francia, sulla quale aveva già precedentemente raccolto quasi 10.000 euro.

 

La pubblicità copre solo il 10% del budget e per il secondo numero è appena stata lanciata una nuova campagna di sottoscrizioni per 6.000 euro.

 

 

E poi ci sono nuovi progetti ancor più ambiziosi. Annunciata l’anno scorso di questi tempi al Festival international de la bande dessinée di Angoulême, la Revue Dessinée si propone di offrire 200 pagine di reportages e inchieste…tutto a fumetti! E’ stato del resto XXI a dare spazio e dignità per primo in Francia al reportage a fumetti (graphic journalism).

 

Il primo numero – costo di realizzazione 25.000 euro – dovrebbe uscire a settembre 2013, in versione cartacea venduta in libreria a 15 euro e in digitale “arricchita”, accessibile attraverso un’ applicazione per Ipad al prezzo indicativo di 6 euro. Il progetto conta sul sostegno dell’ editore Gallimard e di alcuni privati ma anche su 11.000 euro raccolti su Ulule. I creatori stimano il costo di un numero a 25.000 euro.

 

 

Nel frattempo, XXI intende proseguire la sua tournée delle librerie (120 incontri nel 2012) per coltivare il legame con lettori e i librai. Ma anche offrirsi una piccola concessione multimedia: a partire dal numero di aprile 2013, tre reportages a numero saranno disponibili in audiolibro da scaricare a pagamento sul sito della rivista.

 

 


[1]  E poi ancora Ravages, Cassandre, Schnock, Charles, Le Tigre, Alibi, Le Believer, Tango, Le Majeur, Pylône Transfuge, Bonzaï, Standard, Kiblind, Let’s Motiv, Frog, Paradis

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