Il giornalismo non si è mai sostenuto solo con i soldi dei lettori

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 NiemanLab è tornato  sulla Ricerca sui modelli di business sostenibili per il giornalismo diffusa alla fine di ottobre pubblicando un intervento di due dei tre ricercatori che avevano lavorato al progetto Submojour  (Sustainable Business Models for Journalism), Johanna Vehkoo e Pekka Pekkala.

 I due ricercatori spiegano che, analizzando 69 startup di 10 paesi, avevano rilevato come le fonti di reddito utilizzate varino molto da paese a paese e che in ogni caso il paywall come risorsa economica principale era alla base solo di una minima percentuale delle testate analizzate.

 Non a caso Pier Luca Santoro aveva cominciato un suo articolo sulla Ricerca, il 2 novembre  scorso, (Il Giornalismo Non è Mai Stato Sostenibile), citando proprio l’ avvio dello studio: ”il giornalismo non è mai stato un prodotto sostenibile in se stesso, ha sempre ha avuto bisogno di altre fonti di ricavo oltre ai soldi raccolti direttamente dai lettori”. 

 Ripubblichiamo qui l’ articolo.

 

 

Il Giornalismo Non è Mai Stato Sostenibile

di Pier Luca Santoro

(Il Giornalaio)

 

“It should be remembered that journalism has never been a viable product as such. It has always needed some other source of revenue than just the money collected directly from the readers”. Inizia così “Chasing Sustainability on the Net : International research on 69 journalistic pure players and their business models”, ricerca coordinata da Risto Kunelius,  professore dell Università di Tampere in Finlandia, che analizza se e come le start up del giornalismo digitale hanno trovato una loro sostenibilità economica.

La ricerca, pubblicata un paio di giorni fa, analizza 69 case studies di altrettanti pure players all digital in Europa, Stati Uniti e Giappone. Un capitolo, realizzato da Nicola Bruno, è specificatamente dedicato all’Italia.

Il rapporto, liberamente scaricabile, analizza la realtà di Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Francia, Italia, Spagna e Finlandia esaminando tratti comuni e differenze in queste nove nazioni. L’analisi dei diversi casi di studio mappa le singole realtà di ciascun Paese, consente la comparazione con le altre testate delle diverse nazioni e identifica i distinti modelli di business e le diverse forme di generare ricavi. A sei mesi di distanza dalla pubblicazione di “Survival is Success” rappresenta una risorsa preziosa per comprendere le dinamiche delle testate solo digitali, la loro realtà e le prospettive.

 

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Complessivamente si evidenzia come vi sia stata una carenza di innovazione in termini di concezione e ricerca di modelli di business nuovi con il problema di come gestire il passaggio dai “old media dollars ai new media pennies” a pesare come un macigno sulla sostenibilità delle testate online. In questo, ben noto, panorama generale, i giornali nati per essere pubblicati solo online sono avvantaggiati, più avanti concettualmente, rispetto alle testate che sono una derivata delle versione cartacea, possono sperimentare con maggior facilità a diversi livelli.

Vengono identificati 3 modelli di sistema mediatico: pluralista polarizzato, democratico corporativo e liberale. L’Italia, insieme alla Francia, viene inserita nel primo caratterizzato nel suo complesso da vendite scarse dei giornali che sono orientati alle elite del Paese, bassa professionalità e forte strumentalizzazione dell’informazione che, guarda caso, è fortemente influenzata dalle sovvenzioni statali.

 

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Per quanto riguarda il nostro Paese vengono analizzate 7 realtà diverse esaminando sia le testate all digital che alcune agenzie di informazione quali Formica Blu, China Files, Effecinque5 e FpS Media. Le testate analizzate in dettaglio sono Varese News, News 3.0 [Lettera43] e YouReporter anche se non mancano i riferimenti a Il Post, Dagospia ed a Linkiesta. Il capitolo dedicato alla nostra nazione racchiude nel titolo: “Italy: An unfinished transition” quale sia la realtà attuale.

I punti emergenti salienti sono i seguenti:

  • Più che competere con i media tradizionali le start up all digital del nostro Paese sono, come avviene anche in Gran Bretagna, loro alleate.
  • Uno staff ridotto che lavora sia sulla produzione di contenuti che sulla generazione di new business, di ricavi, sembra essere il modello più efficiente.
  • Nel complesso l’informazione online in Italia è dominata dallo strapotere del duopolio di Repubblica – Corsera.
  • Il potenziale delle start up è fortemente condizionato dal grave ritardo della penetrazione di Internet.
  • Le start up stanno lavorando sulla produzione di contenuti ad alto valore aggiunto che possono essere di interesse sia per i media che per altre imprese/soggetti.
  • Le diverse forme di generare ricavi spaziano dalla fornitura di contenuti alla formazione passando per organizzazione di eventi e prodotti “speciali”.
  • Le testate all digital sono ancora ben distanti dal generare ricavi che coprano i costi. Uniche eccezioni virtuose, per motivi diversi, Varese News e YouReporter.

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A margine, oltre a ringraziare per la citazione di questa TAZ all’interno del rapporto, si segnala SuBMoJour, progetto della University of Tampere, USC Annenberg and Waseda University che raccoglie un database straordinario di case studies sulle testate online nel mondo, Italia compresa, che rappresenta una risorsa davvero preziosa.