I freelance fra precarietà e libertà, in Francia un libro cerca di guardare oltre

Freelance1

Lo sfogo di Francesca Borri sulla condizione dei giornalisti freelance ha scatenato un dibattito ormai in corso da più di una settimana (una sintesi è su Punto Nave di Andrea Iannuzzi). Ma la questione non è nuova e, soprattutto, travalica le frontiere del nostro paese. La prova: il lungo post che Marc Mentré, giornalista e professore di giornalismo multimediale all’ EMI-CFD di Parigi, ha scritto proprio in questi giorni sul suo blog MediaTrend.

 

Pur non avendo un nesso esplicito col dibattito nostrano, l’articolo – di cui LSDI pubblica qui di seguito una sintesi – permette di guardare ai contributi letti sinora da una diversa prospettiva.

 

 

L’ analisi di Marc Mantré è ampiamente debitrice della ricerca svolta dal giovane sociologo Olivier Pilmis e pubblicata nel volume L’intermittance au travail[1]. Al netto delle differenze, che pure esistono, rispetto alla situazione della professione al di là delle Alpi, dall’articolo emergono almeno due punti che in parte si ritrovano nel dibattito nostrano.

 

– una contrapposizione fra quanti mettono al centro della contrattazione fra giornalista ed editor il lavoro e quanti preferiscono focalizzarsi sul prodotto. I primi, quando parlano di freelance, si concentrano sull’inadeguatezza delle retribuzioni, sulle condizioni di esercizio della professione, sul “precariato”. Fra i secondi invece rientrano i fautori del giornalista “coltellino svizzero”, multimediale e multitasking. Sono coloro che sostengono che oggi il giornalista freelance deve saper offrire un prodotto sempre innovativo, multimediale e completo, anzi “arricchito”. Un po’ come uno start-upper del contenuto multimediale, che sacrifica le rivendicazioni contrattuali per concentrarsi sul prodotto. Olivier Pilmis cerca di capire cosa c’è nello spazio fra queste due visioni.

 

– la necessità di superare la contrapposizione fra giornalisti “permanenti” e “collaboratori” per esplorare nuove forme di stabilizzazione della relazione tra freelance e redazioni.

 

– – – –

 

da

Le pigiste, un journaliste pas ordinaire

(sintesi a cura di Andrea Paracchini)

 

Il freelance, un giornalista non ordinario

 

I freelance sono dei lavoratori atipici rispetto al diritto del lavoro (…) All’assunzione, processo normato e inquadrato, si sostituiscono forme di negoziato che non riguardano soltanto la loro sola “forza lavoro” ma soprattutto un “prodotto” (articolo, contenuto multimédia…). Il rapporto di forza non è più così intrinsecamente svantaggioso come per il dipendente “classico”, per il quale esiste un nesso di subordinazione rispetto al datore di lavoro.
(…)

 

Freelance2
« Nuovi proletari » vs « giornalisti liberi »

 

Secondo Olivier Pilmis, due opposte interpretazione di questa situazione si contrappongono. La prima tende a fare dei freelance una delle figure emblematiche degli “intellettuali precari”, vittime di una “proletarizzazione” che, nell’ambito del giornalismo, conduce a una forte degradazione della qualità dell’informazione. La seconda invece corrisponde a quella portata avanti da alcune organizzazioni di freelance, come ad esempio Profession pigistes.

la crescita costante del numero di freelance può essere il preludio a un rinnovamento del mestiere attraverso, ad esempio, la ridefinizione della maniera legittima di esercitarlo. (…) Il giornalismo freelance libera il lavoratore dai gravami del giornalismo più “antico”, nel quale il legame permanente con una redazione rovina la creatività individuale e lo spirito d’iniziativa”

 

Freelance3Un’ opposizione classica, che rimanda ai dibattiti che hanno accompagnato nel tempo la costruzione della professione.

 

 

Il freelance, un giornalista legittimo ?

 

Se oggi nessuno sembra mettere in discussione l’appartenenza dei freelance alla professione, è bene ricordare che la legge Brachard del 1935 che ha fissato lo statuto della professione (…) escludeva i freelance, questi mercenari dalla “molteplici collaborazioni”, dal suo campo di applicazione. Il rapporto da cui scaturì la legge è esplicito in proposito:

 

I principi d’azione del giornalista sono il gusto che per il suo mestiere, l’attaccamento al giornale considerato come persona morale, l’emulazione. Condurlo a disperdersi, fare del giornale una cassetta delle lettere dove depositare i suoi articoli, significa non soltanto obbligarlo a un lavoro frettoloso, abituarlo ad accontentarsi del superficiale e a dispensarsi della riflessione, ma anche a sottrargli una delle fonti del suo entusiasmo.

 
« Ogni testata, scrive Olivier Pilmis, mantiene allora un mercato interno, occupato da giornalisti ‘permanenti’ e un mercato esterno, sul quale operano i freelance”. La difesa della condizione economica e professionale dei primi implica che ci si debba proteggere dalla concorrenza che possono esercitare i secondi.

 

Risultato: è soltanto nel 1963 che i freelance accedono al sistema previdenziale generale, distinguendosi così dai semplici “amatori”, e il 1974 perché la legge Cresson ne faccia dei giornalisti come gli altri. Con questa legge, secondo Olivier Pilmis, la nozione di salariato evolve. (…) La situazione dei freelance “è più simile a quella dei subappaltatori”. La relazione che si stabilisce fra un freelance e il suo datore di lavoro è dunque piuttosto una forma di “dipendenza economica”.

 

La formazione di coppie

 

I freelance entrano così in una zona grigia fra salariato, indipendenza (certi preferiscono parlare di “autonomia”) e imprenditoria. La contraddizione è totale. La novità della ricerca di Olivier Pilmis sta nell’ approfondire la comprensione della relazione complessa che si crea fra freelance e datore di lavoro. Mostrando anzitutto che la teoria che vorrebbe i freelance “fare affari” su una sorta di “mercato” aperto non ha alcun fondamento.

 

Certo, esistono freelance che lavorano per molteplici redazioni per periodi molto brevi, ma esiste anche una forma di stabilità. In effetti, un quarto dei freelance lavorano per un solo datore di lavoro e più della metà (55%) ne hanno meno di tre.

 

Più interessante ancora, una volta che la relazione è stabilita, le “coppie” freelance/ datore di lavoro sono relativamente durature. « Passato il primo anno, la relazione ha più chances di proseguire che di essere interrotta e oltre il terzo anno, la probabilità di continuare è sempre due volte maggiore di quella di provi fine ». Si costituiscono cioè attorno a un capo redattore o un capo servizio delle “mini-redazioni” o dei pool di freelance..

 

Esiste cioè uno spazio fra il giornalista permanente e il freelance in balia del mercato occupato da freelance che sono a diverso grado integrati nelle redazioni, addirittura in qualità di “freelance permanenti” o tramite contratti a durata, precondizione per un’assunzione.

 

Difficoltà: come entrare nel “cerchio magico” che sfocia in un impiego stabile? I freelance non hanno a tal proposito una strategia coerente e fissa. Olivier Pilmis è colpito dal fatto che i suoi interlocutori evochino sempre “il caso” per spiegare come si è partita una data collaborazione, sia essa duratura o meno. Per il sociologo in realtà è questione di fattori[2] e di scelte che tuttavia non derivano da una strategia cosciente e volontaria, ma che si compiono di fronte alle opportunità.

 

 

Una strana relazione

 

La relazione fra freelance e datore di lavoro è, secondo Olivier Pilmis, “strana”, per non dire “incerta” dal momento che non è chiaro se si scambia lavoro o un prodotto. Il freelance si trova quindi all’intersezione di due mercati: quello del lavoro e quello del prodotto. Una condizione che sfocia sulla questione del “giornalismo di progetto”

 

Una tecnica come il “piazzamento di un pezzo”, tipica dell’attività del freelance, è centrale perché dà il via agli scambi commerciali (…) Essa ricorda che l’attività di freelance è costituita in gran parte da un lavoro di creazione di posti d’impiego [il loro, ndr]. (…) Per questo motivo, la loro attività appare più simile a quella dell’imprenditore. Anche la distanza rispetto alla nozione di ‘disoccupazione’ si può spiegare in parte con la possibilità che i freelance hanno di dare una finalità al loro tempo: quando non sono su una collaborazione, si dedicano generalmente alla ricerca di collaborazioni future.

 

Il freelance si trova quindi in una situazione singolare. E’ alla testa di un’impresa quando si tratta di condurre “progetti”, è anche un dipendente. Atipico però perché sciolto dal legame di subordinazione col datore di lavoro cui è legato da un contratto tacito. Contratto che consiste nel realizzare il progetto di cui il giornalista è spesso l’iniziatore.


[1] Olivier Pilmis, L’intermittence au travail, Une sociologie des marchés de la pige et de l’art dramatique, Economica, Paris, 2013, 208 pagg.

[2] Olivier Pilmis evoca la nozione di side bet facendo riferimento al sociologo statunitense Howard S. Becker. Nelle sue ricerche, Becker mostrava come, ad esempio, un ballerino accetterà degli ingaggi anche quando li considera inferiori alle sue aspettative o al suo livello, dal momento che vuole mostrarsi affidabile nei confronti del suo interlocutore.