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Dopo i brand anche i Governi diventano media: democrazia o controllo?


Grazie alla democratizzazione della diffusione delle informazioni prodotta dal Web e dai social media, oggi molti governi sono in grado di trasformarsi in centri di produzione giornalistica e di agire come dei media. Ma si tratta di un bene per la democrazia o del tentativo da parte del potere esecutivo di rafforzare il controllo sull’informazione? A domandarselo è Mathew Ingram su Paidcontent.org, rilanciando un  pezzo di Politico sul presidente Obama. .

 

E in Italia? Le elezioni consegnano anche a noi un “internet leader” che ha costruito il suo successo sull’uso dei media, opposto a quello berlusconiano. Grillo, Renzi e il Corriere in una piece tutta italiana.

 

 

di Andrea Fama

 

La Tesla Motors è una azienda americana produttrice di auto elettriche,  che ha recentemente fatto parlare di sé per aver smentito una recensione del New York Times giudicata ingiusta, ingaggiando una battaglia di comunicazione con la celebre testata. E non lo ha fatto dovendo ricorrere a un giornale rivale, come sarebbe accaduto fino a pochi anni fa, ma direttamente attraverso i propri mezzi di comunicazione, dimostrando che il campo da gioco dell’ informazione e della comunicazione si è quanto mai livellato grazie alla Rete.

 

Dopo le aziende e perfino gli eserciti, è naturale che, grazie alla ‘’democratizzazione della diffusione delle informazioni’’   prodotta dal Web e dai social media, oggi anche molti governi siano in grado di agire come una testata. Ma si tratta di un bene per la democrazia o del tentativo da parte del governo di controllare l’informazione?

 

A domandarselo è Mathew Ingram su Paidcontent.org, rilanciando un  pezzo di Politico sul presidente Obama e la sua arte nel “limitare, plasmare e manipolare la copertura mediatica di sé e della Casa Bianca” attraverso “vecchi trucchi (fughe di notizie predisposte ad arte, interviste amichevoli)” amplificati dai nuovi strumenti del Web.

 

Obama, scrive Ingram, è stato celebrato come il primo Internet president  della storia in virtù del suo celebre BlackBerry prima e del sapiente uso di eventi Web come la Twitter town hall nel 2011 piuttosto che la promozione dei principi fondamentali dell’Open Government quali trasparenza, partecipazione e dialogo diretto con i cittadini.

 

Trasparenza o controllo dei media?

 

Tuttavia, strumenti e strategie che hanno reso il presidente più umano e avvicinabile per qualcuno, sono percepiti dalla stampa tradizionale come il tentativo dell’ amministrazione Obama di dribblare i media e far passare il suo messaggio in modo diretto, senza il timore di essere messo alla prova.

 

Non è certo una novità che le amministrazioni di tutto il mondo cerchino di evitare le domande dei giornalisti, di indirizzarne i contenuti se non di assicurarsene i servigi. Ma oggi creare e distribuire grandi quantità di nuovi contenuti, siano essi scritti, audio o video, è estremamente semplice, e con la crisi corrente le redazioni sono sempre alla ricerca di contenuti gratuiti. Ed ecco che, secondo alcuni, la Casa Bianca si è dotata di una propria “rete di distribuzione”, ribaltando gli equilibri un tempo in favore dei media.

 

Infatti, sintetizza Ingram, se prima i governi, come le aziende, dovevano “cooperare” con i media perchè gli erano necessari per  diffondere i propri messaggi, oggi non è più così. Non così tanto almeno. E ancora non pare chiaro se questo sia un bene o un male per la democrazia e la società in generale.

 

… e in Italia?

 

“Avere più informazione è sempre un bene, anche se viene direttamente dal governo?”. È con questa domanda che Ingram chiude il suo articolo.

 

A giudicare dai comunicati stampa fasulli lanciati sfrontatamente dall’ultimo governo tecnico e ripresi supinamente dalla stampa generalista, verrebbe da dire di no anche a me, generalmente convinto che l’abbondanza di fonti e informazioni sia comunque un bene (la patina opaca e confusionaria dell’overload informativo è un effetto collaterale da pagare, ma comunque ovviabile con l’uso corretto di metadati, ad esempio).

 

Ma più che il governo in sé, sono alcuni dei nostri governanti ad essere veri media di sé stessi.

 

Media e politica e il pensiero corre lesto a Berlusconi. Ma quella è un’altra storia (una storia analogica, tuttora inconcepibilmente vincente forse grazie a un digital divide che è anche un po’ cultural divide).

 

Oggi, infatti, anche l’ Italia ha eletto il suo “Internet leader”. L’ ascesa dirompente di Grillo si fonda in primis su un blog e su una manciata di tweet ben assestati (oltre che sulla vacuità comunicativa di molta concorrenza).

 

Attraverso il Web il trascinatore genovese è riuscito a costruire e comunicare sé stesso e il proprio Movimento senza mediazioni, senza cioè il filtro o la lente distorsiva dei media tradizionali, i quali, volenti o nolenti, lo hanno comunque raccolto e rilanciato, contribuendo ad amplificarne la portata e l’efficacia.

 

I paragoni più impietosi li ha forniti la Tv. Nei tradizionali salotti che un tempo avremmo definito catodici si sono avvicendati vertiginosamente per settimane i vecchi leader della vecchia e nuova politica nostrana, a discettare e a commentare in politichese i video di un Grillo che di fronte a piazze reali fisicamente stracolme urlava di una rivoluzione in streaming che avrebbe scosso il palazzo dalle fondamenta.

 

Confrontando stilemi e paradigmi di una campagna elettorale sempre più centrata sul fumo della comunicazione piuttosto che sulla sostanza dei fatti, non è un caso che i veri vincitori siano stati gli imbonitori più abili, analogici o digitali che siano: Berlusconi con le sue lettere e i video-messaggi è Maometto che va disperatamente alla montagna; Grillo con i suoi post, i tweet e lo streaming è la montagna che si materializza e va speranzosa da Maometto, riversandosi in piazza (e alle urne).

 

E non è un caso neanche il fatto che all’indomani della strana vittoria-sconfitta del PD in molti abbiano evocato Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze, infatti, sebbene in misura più terrena rispetto a Grillo, è tra i pochi che riesce a parlare direttamente ai suoi italiani, tra i pochi a poter essere considerato una sorta di “media entity” a sé (basti pensare alla campagna-slogan sui rottamatori).

 

Ed è emblematico che proprio Renzi e Grillo, insieme al primo quotidiano italiano, siano i protagonisti di questa piece raccontata da Arianna Ciccone che sintetizza in salsa nostrana l’assunto di partenza.

 

Il Corriere riporta un virgolettato di Renzi e titola “Se mi chiamano, pronto a guidare il governo”.

 

Renzi smentisce di proprio pugno (di proprio mouse) prima su Twitter e poi su Facebook: “Adesso faccio il Sindaco … Capisco i rimpianti, ma preferisco vivere di progetti. E ora scrivo una enews per essere ancora più chiaro”.

 

Il Corriere non rettifica. La spiegazione la fornisce direttamente Fabio Savelli, autore dell’articolo, dal suo account Twitter personale: “@_arianna @matteorenzi @dariodivico @corriereit È un retroscena, ma ovviamente la fonte primaria è il sindaco di Firenze” (March 1, 2013)

 

 

Nel frattempo Grillo cavalca a modo suo la notizia del Corriere: “(Renzi) ora si candida a premier, ma non aveva perso le primarie? Questi hanno la faccia come il culo”.

 

Spengo il PC. Chiudo il giornale. Esco a fare due passi.

 

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