#Chigileaks: il governo Monti fra bufale e silenzi (in 4 tweet)

immagine in primo pianoIl governo continua a giocare sul filo sottile delle parole in un deleterio equilibrismo semantico. E il mondo dell’informazione, purtroppo, spesso non aiuta a fare chiarezza.

 

Dopo l’annuncio trionfale del 22 gennaio, infatti, il Consiglio dei Ministri ha annunciato nuovamente di aver introdotto il FOIA anche in Italia: “si stabilisce il principio della totale accessibilità delle informazioni. Il modello di ispirazione è quello del Freedom of Information Act statunitense”, ripete il nuovo comunicato stampa.

 

Ecco, non è vero e non poteva esserlo.

 

 

Le ragioni reali risiedono nelle incredibili resistenze che, trasversalmente e a tutti i livelli di governance, si oppongono a concrete misure di controllo dell’operato pubblico.

 

Mentre le ragioni tecniche sono già state efficacemente spiegate qui, in un comunicato – mai smentito – della Iniziativa per un Freedom of Information Act in Italia (www.foia.it).

 

Certo, si dirà, non si dovrebbe pontificare senza aver prima letto il testo definitivo. Concorderei, se non fosse che la stessa Presidenza del Consiglio nel comunicato ribadisce che “Il testo conferma sostanzialmente l’impianto di quello già approvato in sede preliminare”.

 

O meglio, il comunicato avrebbe dovuto recitare “Il testo conferma sostanzialmente l’impianto di quello già approvato in sede preliminare e mai reso noto da questa Istituzione nonostante le pressanti richieste della società civile e in barba al principio della trasparenza e della totale accessibilità che questo Decreto avrebbe sancito”. Infatti, noi il testo approvato preliminarmente lo conosciamo bene, ma non già perché reso noto dalle istituzioni, bensì in virtù di una provvidenziale fuga di notizie (oggi su www.foia.it, all’evocativo grido di #Chigileaks, è stata pubblicata l’ultima versione del testo entrato in CdM il 15 febbraio). Ma la fuga di notizie non è una risposta.

 

E questa vicenda di risposte e chiarimenti avrebbe davvero un gran bisogno.

 

Per inquadrare correttamente i fatti bastano davvero pochi tweet.

 

1)    Venerdì 15 febbraio il Consiglio dei Ministri si riunisce e nella totale segretezza approva il Decreto Trasparenza, senza neanche averlo messo all’ordine del giorno. Vi sembra una pratica ortodossa?

 

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2)    Naturalmente, una volta approvato il Decreto che stabilisce gli obblighi di pubblicità della PA il governo cosa fa, lo pubblica? Ovviamente no! Sarebbe troppo facile e banale, meglio limitarsi ad annunciarlo con un comunicato (così, tanto per non togliere agli attivisti il loro pane quotidiano).

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3)    Va bene, allora, leggiamo questo comunicato. Basta scorrere i punti 2, 3 e 4 per accorgersi che qualcosa non va. Nuove definizioni, nuovi principi, nuovi istituti, il tutto per provare a contrabbandare in modo confusionario e opaco quello che non si vuole stabilire chiaramente, ovvero il reale diritto di accesso dei cittadini alle informazioni della PA, così come sancito dal FOIA in oltre 80 paesi del mondo (per introdurlo davvero basterebbero tre semplici e chiare modifiche alla normativa vigente, già ampiamente segnalate al decisore pubblico).  Invece in Italia il concetto viene diluito confermato e poi smentito in tre passaggi diversi, con l’evidente rischio (o era forse il subdolo fine?) di passare dalla trasparenza alla opacità per confusione. In realtà, l’unico passo avanti è l’istituzione dell’accesso civico, che dà diritto a richiedere solo quanto dovrebbe già essere pubblicato per legge. La portata di tale istituto si limita quindi alle inadempienze della PA.

 

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4)    Ma soprattutto, da ingenuo uomo della strada, penso al Sen. Monti e mi domando perchè inserire tra gli impegni futuri della propria Agenda elettorale una misura che sarebbe invece già stata adottata dal proprio Governo tecnico? O, in alternativa, perché dichiarare per ben due volte di aver adottato una misura che invece si intende prendere se eventualmente eletti alla prossima tornata elettorale? Insomma, il Sen. Monti mi sta mentendo da Premier tecnico o da para-candidato?

 

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Tutti questi dubbi e queste domande sono già stati più volte indirizzati ufficialmente all’attenzione del Premier Monti e del suo staff, tramite e-mail e Twitter, a titolo personale e a nome di decine di associazioni riunite insieme.

 

Inutile dire che nessuna risposta è mai giunta, né ufficiale né – come è buona prassi in questo paese – ufficiosa. Eppure, la filosofia alla base dell’open government, che anche l’Italia dice di aver sposato e che riunisce tra gli altri anche i principi di accessibilità pubblicità e trasparenza, mira proprio a rinsaldare il rapporto di fiducia collaborazione e partecipazione tra le istituzioni e i cittadini che esse dovrebbero rappresentare e tutelare, anche informandoli. (Si veda in proposito l’intervista al Relatore Speciale ONU per la libertà di informazione, Frank La Rue, raccolta in esclusiva da foia.it)

 

È nozione comune e più volte ribadita che l’ormai abusatissima trasparenza non è solo una questione di norme, ma è un fattore culturale. E il governo dei professori ha ampiamente dimostrato di non essere culturalmente attrezzato in tal senso.

 

 

P.S. Nonostante lo scivolone del governo sulla questione FOIA, è opportuno specificare che, a quanto risulta dal testo a nostra disposizione, il governo avrebbe recepito diversi degli emendamenti che FOIA.it, insieme a Open Media Coalition e Agorà Digitale, hanno presentato al decisore pubblico al fine di scongiurare il rischio che il provvedimento in questione potesse rappresentare un passo indietro anche rispetto a quanto di buono fatto finora dallo stesso governo Monti (es. l’Art. 18 del recente Decreto Sviluppo, nonché l’indicizzazione delle informazioni pubblicate nei siti e l’Accesso Civico introdotti proprio in sede di riordino): clicca qui per scaricare il documento. Un piccolo grande successo della società civile…