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Social media, chi l’ ha detto che sono una panacea per il giornalismo?

I giganti delle nuove tecnologie possono avere tutte le loro idee su quello che diventerà il giornalismo, ma intanto sono molte le testate che non hanno ancora capito se e quali benefici potrà eventualmente portare questa nuova visione sociale dell’ informazione mentre stanno ancora combattendo una dura battaglia per la sopravvivenza economica.

 

 

di Robert Andrews
(Paidcontent)

Ci rubano la colazione?

 

“Facebook supererà il tetto dei 3 miliardi di dollari di ricavi pubblicitari quest’ anno’’, ha annunciato Rob Grimshaw, di Financial Times, intervenendo  a Madrid all’ International council del Paley Center For Media nei giorni scorsi. ”Questa non sarà una buona cosa per il giornalismo: di fatto lo distruggerà.”

 

Molti editori ora pompano articoli tramite Facebook, che è diventato anche un importante canale di traffico. Il sito del Guardian (guardian.co.uk) ha messo a punto una applicazione specifica via Facebook. Grimshaw non intendeva comunque criticare questi sforzi – ‘’dobbiamo fare i conti con i  social media’’, spiega – ma è preoccupato per il fatto che FB sta cominciando ad arraffare soldi della pubblicità destinati all’ editoria giornalistica.

 

‘’Non me la prendo con Facebook, ma con l’ industria editoriale che si sta mostrando veramente ingenua in questo campo’’, ha detto parlando ai boss del mondo digitale a Madrid.

 

Non è detto che qualsiasi sistema di diffusione sia un buon sistema’’, ha aggiunto. “Dobbiamo trascinare indietro la gente verso FT.com, per poter generare dei soldi tramite loro. Funziona benissimo, abbiamo costruito un modello molto redditizio. L’ idea che il giornalismo fatto da FT possa essere consumato liberamente su qualsiasi piattaforma non è certo una panacea’’.

 

Stanchi del crowdsourcing?

 

Alcune importanti testate hanno anche capito che gli sforzi per coinvolgere i lettori nella produzione giornalistica può non essere cosi positive come sembra.

 

Anche il Guardian, per esempio, è rimasto deluso da Open News List, un tentativo di trascinare i lettori nella pianificazione redazionale dei servizi.

 

‘’E’ un’ ottima cosa che la gente segua il processo di costruzione dei flussi di notizie, ma i lettori non hanno dato quel contributo che noi ci aspettavamo’’, ha raccontato il redattore capo del Guardian Katharine Viner all’ incontro madrileno.

 

“Quanto tempo e quanto impegno possono mai dedicare le persone a decidere e seguire la loro propria agenda informativa?”, si è chiesto il direttore delle News della BBC, Helen Boaden, suggerendo che forse solo dei lettori senza lavoro potrebbero impegnarsi in maniera significativa in questa esperienza.

 

“Molte persone sono felicissime che ci sia un ‘benedetto’ redattore che faccia quel lavoro e che ci sia qualcun altro che gli dica che c’ è di importante nel mondo quel giorno”.

 

Google e Facebook, alla stessa conferenza, si sono presentate come un nuovo modo di fare informazione rispetto allo stile giornalistico tradizionale, ha segnalato il capo redattore del Wall Street Journal Europe, Neil McIntosh, sostenendo perà che il format vincente è ancora incerto.

 

“I nostri lettori hanno bisogno di un filtraggio’’, aggiunge McIntosh. “Si lamentano perché vorrebbero meno cose, non più cose. Vogliono ancora il sommario e la sintesi dell’ articolo, che io pensavo fossero stati spazzati via già 20 anni fa’’.

 

Anche se, tuttavia,  il WSJ ha introdotto recentemente Streaming Stories, un sistema per presentare degli aggiornamenti continui di una vicenda all’ interno di un servizio tradizionale.

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