Per le testate solo-digitale la sopravvivenza è già un successo

La sopravvivenza di una testata online è già un successo. E’ la conclusione di una ricerca del Reuters Institute for Journalism su nove testate digitali ‘’native’’  in Germania, Francia e Italia condotta da  Nicola Bruno – autore, con Raffaele Mastrolonardo, del libro ‘’La scimmia che vinse il Pulitzer’’) e  Rasmus Kleis Nielsen.

 

Delle realtà prese in considerazione solamente due,  Mediapart e Perlentaucher sono a break-even, in pareggio, mentre le altre, inclusi Lettera43, Il Post e Linkiesta per quanto riguarda l’Italia, sono ancora in rosso e sopravvivono solo grazie a contributi esterni.

 

 

Lo studio suggerisce che per sopravvivere- spiega Pierluca Santoro sul sito dell’ Ejo, l’ Osservatorio europeo di giornalismo -, i new comers devono evitare la competizione diretta con le edizioni online dei mainstream media, differenziandosi così come fatto da Mediapart che propone un  giornalismo investigativo di qualità che non ha eguali nel panorama francese.

 

Nel rapporto  di grande interesse l’analisi dei diversi modelli di business ed il diverso posizionamento delle testate:  Mediapart, appunto, si basa sulla produzione di contenuti di nicchia di elevata qualità scegliendo, giustamente, la strada della specializzazione e la remunerazione attraverso un paywall, seppure a costi di abbonamento davvero contenuti. L’altra testata che ha un bilancio economico positivo, la tedesca  Perlentaucher, sopravvive grazie ad un’estrema attenzione al contenimento dei costi ed a un modello di business altamente diversificato come una visita al sito web della testata in questione permette di comprendere già a prima vista.

 

Il rapporto suggerisce che ci sono due problematiche, due sfide da vincere, per i pure players dell’informazione all digital. Da un lato un mercato dominato fondamentalmente, tranne rarissime eccezioni, dalle edizioni online delle testate tradizionali che fanno pesare il loro marchio e la loro capacità d’investimento, dall’altro lato i ricavi da comunicazione pubblicitaria concentrati nelle mani di pochi attori, Google in primis tra tutti ovviamente, che mina le possibilità di ottenere ricavi significativi per le realtà minori.