E’ il dato più rilevante emerso da un sondaggio (“In quale percentuale gli introiti professionali dei giornalisti freelance incidono sul bilancio reale di mantenimento della famiglia e quali sono le soglie di effettivo esercizio della professione?”) condotto da Ines Macchiarola, attraverso un evento pubblico creato su Facebook.
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Dal sondaggio sono emersi questi elementi (il testo è stato ripreso dal blog di Stefano Tesi):
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1) il 38,8% dei professionisti dichiara, con la propria attività , di incidere sul bilancio familiare tra lo 0 e il 5%. Curioso che ben l’86% risulti essere single e aiutato da genitori e parenti per le spese fisse compreso di alloggio, mentre il 14% dichiara di essere coniugato e di vivere grazie al reddito del coniuge, compreso l’aiuto di genitori ormai pensionati.
2) Il 5,5% dichiara di incidere sul bilancio familiare tra il 18 e il 20%: si tratta di single che vivono di altra occupazione nel ramo della comunicazione.
3) il 17% dichiara di incidere tra il 25 e 30%: di questi, una metà è single aiutato da genitori e parenti per spese di affitto o vive con i genitori, l’altra metà è coniugato e aiutato dai rispettivi suoceri pensionati.
4) il 5,5% dichiara di contribuire nel bilancio familiare per il 50% ed è coniugato all’interno di un nucleo familiare sostenuto da due redditi.
5) il 5,5% dichiara di incidere sul bilancio familiare per il 60%. Si tratta di soggetti single mononucleo che esercitano un’attività compensativa di addetto stampa per aziende pubbliche.
6) L’11% dichiara di incidere per il 100% ed è costituito per la metà da soggetti single mononucleo e monoreddito, e per la restante metà da coniugati monoreddito.
7) il 16,6% invece rappresenta la quota di soggetti che sono giornalisti di nome con un’attività da freelance in start up ed in temporanea perdita.
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Conclusione: solo l11% dei freelance vive unicamente dei proventi del proprio reddito professionale, mentre l’80% è sono abbondantemente al di sotto della soglia di indipendenza economica e con un’età tra i 30 – 40 anni in su. Chi ha da sempre esercitato la professione vivendo prevalentemente di questa è di fatto è il 22% sul totale, mentre quasi 17% è rappresentato da neo-autonomi in fase di start up e pertanto titolari di un’attività professionale non consolidata.
Questi nuovi dati integrano, con estrema nitidezza, il quadro che era emerso dal nostro studio sulla Professione giornalistica in Italia, secondo cui, all’ interno del lavoro autonomo (dati 2010),
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solo il 26% degli iscritti hanno un reddito annuo lordo superiore ai 10.000 euro lordi all’ anno.
In percentuale anzi il segmento di lavoro autonomo o parasubordinato con introiti ‘’medi’’ rispetto alla scala dei redditi del settore si è leggermente ristretta, visto che nel 2000 era pari al 28,1%.
Se si sale nella scala dei redditi, nel campo del lavoro autonomo solo 1 giornalista su 10 denuncia un reddito superiore ai 25.000 euro (10,4%), mentre fra i dipendenti a tempo indeterminato quelli che hanno un reddito superiore al 30.000 euro lordi sono il 66,6%, oltre 6 giornalisti su 10.
Si tratta di un divario che – come dicevamo l’ anno scorso – ‘’il passare degli anni non riesce a colmare e che rappresenta probabilmente il problema più complesso che il sindacato dei giornalisti e lo stesso ente di previdenza, l’ Inpgi, si trova ad affrontare’’.
Il sondaggio dunque spiega bene perché ad essere precaria è anche, e soprattutto, la professionalità del precario, come raccontava analiticamente Chiara Baldi nella tesi di laurea (‘’Due euro al pezzo: inchiesta sul nuovo precariato giornalistico’’) che abbiamo pubblicato in occasione del Festival del giornalismo di Perugia:
se un precario guadagna, come attestano alcuni dati, 2,50 euro lorde a notizia, allora come potrà arrivare ad una cifra ragionevole in fondo alla giornata? Semplice, producendo una quantità enorme di notizie di dubbia efficacia.
Essere precari vuol dire anche dover trascurare, per poter mangiare, la propria professionalità . Perché non si potrà sempre cercare lo scoop né sperare di fare sempre l’ “inchiesta della vitaâ€, poiché per questo servono energie e molto tempo. Tempo che un precario del giornalismo non ha e che deve occupare per una missione ben più importante: guadagnarsi da vivere.