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Giglio, rischio di naufragio per l’ informazione professionale

1)  Mentre Bbc e Cnn fanno le prime dirette, le redazioni dei media tradizionali sono ancora in letargo e qualche testata, compreso Il Tirreno – che essendo in duopolio con La Nazione nella zona dell’ Argentario e del Giglio avrebbe dovuto produrre un grande ‘’volume di fuoco’’ – si affidano nelle prime ore del naufragio alla Rete, delegando il compito informativo a Twitter.

2)      In rete viene diffuso un video semi-falso, attribuito alla concitazione e al panico fra passeggeri ed equipaggio all’ interno della ‘’Concordia’’ e relativo invece a un episodio analogo accaduto anni fa in Nuova Zelanda.

 

 

Ci cadono tutti: anche blogger e uomini di Rete agguerriti ed esperti,  non solo i media mainstream, La Rete però si autocorregge presto (eliminando dai flussi informativi quel video, o comunque correggendone l’ attribuzione). Mentre le redazioni delle testate tradizionali se ne accorgono con fatica. Qualcuna addirittura non se ne accorge, tanto che il video ieri, domenica, – racconta Giovanni Boccia Artieri sul suo Mediamondo – è stato mostrato come autentico sia in un servizio del TG3 che delTG2  (ore 13) e anche dal TG Com 24 durante la mattinata.  Il TG1  lo ha messo in onda aggiungendo però (…)  “ecco come potrebbe essere andata la situazione”. Una furbata, aggiungiamo noi.

 

 

3)      Costa Corciere fa la sua informazione ai clienti, saltando i giornalisti, che dormono!!!

 

Nella notte della tragedia – infatti -, quando nessuno fra i grandi siti web aveva notizie sull’incidente e la copertura dell’evento era molto modesta (se ne parlava su Twitter e su alcuni piccoli siti web di informazione locale) – ricorda Massimo Mantellini in un articolo per Punto Informatico di oggi – , Costa Crociere ha pubblicato sul suo blog due comunicati, all’ una di notte il primo e alle 5 del mattino il secondo, con alcune sommarie informazioni sugli eventi. Si tratta di due post quasi formali e con pochi contenuti, tuttavia io – aggiunge Mantellini – non ricordo nessun caso simile italiano in passato, con una grande azienda che in un momento di enorme crisi considera così velocemente la necessità di informare direttamente la propria clientela utilizzando Internet.

 

 

Questi per ora i primi ‘’insegnamenti’’ sul piano mediatico che la ‘’copertura’’ della tragedia del Giglio comincia a dare: lo smarrimento del giornalismo professionale di fronte alla vivacità e alla velocità della Rete; la mancanza di una cultura attenta e vivace di filtro e controllo; la decisione di grandi aziende di produrre direttamente informazione per i propri potenziali utenti scavalcando la mediazione tradizionale dei giornalisti, o affiancando a quelli tradizionale dei propri canali di informazione.

 

 

Per quanto riguarda il primo punto, in particolare, Boccia Artieri segnala

 

‘’la scarsa copertura da parte dei media nazionali a ridosso dell’evento nella notte di venerdì 13 gennaio, per il continuo emergere del tema nei social media che hanno seguito in tempo reale cercando e diffondendo quelle informazioni che sui media mainstream non riuscivamo a trovare.

 Basta leggere lo storify che raccoglie “i tweet inviati dalle persone sul posto e da quelle che hanno seguito la diretta dell’evacuazione di 4mila persone dalla nave da crociera Concordia”, una vera e propria delega informativa che il Tirreno di Livorno mostra, con il crescere della consapevolezza circa la gravità dell’incidente che culmina con il tweet dell’una di notte di Costa Crociere che rimanda ad una “comunicazione importante” circa le difficoltà delle procedure di soccorso a causa della posizione assunta dalla nave’’.

 

 

 

Sul secondo punto, sempre Boccia Artieri osserva:

 

Le difficoltà di “cura” dell’informazione in un ambiente caotico come Twitter o Facebook, in cui la dimensione emotiva e quella relazionale sono fortemente connesse, è nota. Ma, con un atteggiamento di network pragmatism, sappiamo anche che esiste un modo di abitare informativamente questo ambiente. Ad esempio su Twitter ricostruendo come l’informazione è stata trattata – chi ha lanciato il tweet – cercando contenuti connessi – attraverso #hashtag – costruendosi una rete che ha reputazione e affidabilità – attraverso le liste.

Dai media mainstream mi aspetto, allora, almeno la stessa capacità di “cura”, quella di pescare a piene mani dall’emotività dei social network, di rincorrere la tempestività degli eventi cercando testimonianze, ad esempio via tweet, in tempo reale, ma mantenendo la capacità di un giornalismo attento alle fonti e dedito alla verifica. Tanto più che molte volte basterebbe googlare un contenuto per avere risposte o leggersi tutti i contenuti di un #hashtag.

Per quanto riguarda infine il terzo punto, Mantellini rileva:

 

 Paradossalmente la comprensione delle dinamiche di comunicazione in rete sembra oggi essere maggiore nelle aziende che non negli ambienti giornalistici. Le prime semplicemente sostituiscono il soggetto della propria comunicazione (i clienti prima o contemporaneamente ai giornalisti), i secondi sono compressi all’interno di un cambiamento profondo che riguarda prima di tutto loro stessi, con tutte le frizioni e le difficoltà del caso.

 

 

Globalmente comunque la morale può essere questa (ancora Mantellini):

 

 

Resta fondamentale una prassi giornalistica consolidata (che non è necessariamente esclusiva dei giornalisti professionisti) capace di separare i mille rumors di rete dalle notizie poi effettivamente pubblicate e di come questa sia oggi una necessità fortissima (e ancora non troppo frequentata) in primo luogo per i tanti lettori che non hanno voglia né tempo di spulciarsi l’archivio di Youtube per scoprire che quel video con i tavoli che corrono e le persone travolte, si riferisce ad una crociera in Nuova Zelanda nel 2008 e non al tragico naufragio della sera prima.

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