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L’ ultraconservatore Forbes punta tutto sull’ innovazione

L’ esempio della rivista economico-finanziaria americana che, duramente colpita dalla crisi economica (la pubblicità è crollata del 30% nel 2009) e dopo aver licenziato un giornalista su quattro, ha deciso di reagire con forza e di riprendere l’ iniziativa, all’ insegna del fatto che ‘’il futuro è nella sperimentazione’’, come scrive Marc Mentre su Themediatrend – Il giornalista francese analizza qui l’ intervento su Forbes di Lewis DVorkin, ex redattore capo della prima pagina del Wall Street Journal e fondatore di True/Slant, un vero e proprio laboratorio di ‘’distruzione creativa’’ – L’ obbiettivo è mettere ‘’un giornalismo autorevole al centro delle reti sociali’’ – La strategia: dare fiducia agli autori permette di ottenere un contenuto molto più ricco rispetto al tradizionale sistema editoriale; puntare soprattutto su contenuti originali (reportage, analis, etc.);  amplificare il ruolo della comunità, innescando un ‘’circolo virtuoso’’ che finisce per arricchire il sito (che ora conta 18 milioni di lettori unici/mese) e aumentarne l’ attività – Una redazione ristretta e una rete di centinaia di collaboratori esterni super specializzati nel loro campo –  La qualità dell’ edizione cartacea non verrà toccata, mentre su quella digitale DVorkin punta all’ abolizione delle barriere fra redazione e marketing soprattutto, sostituendo il tutto con un ’’continuum’’: con uno stesso programma,  AdVoice, gli addetti al marketing utilizzano gli stessi strumenti dei giornalisti e dei collaboratori, con la sola differenza che il contenuto da essi prodotto è ‘’chiaramente identificato e segnalato’’

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Solo il 5% degli introiti di Libération vengono dal web e uno dei principali obbiettivi dei nuovi proprietari di leMonde è proprio ”accrescere le entrate di fonte web, che rappresentano solo il 5% del giro di affari totale, pur essendo lemonde.fr uno dei siti di informazione più visitati di Francia”.

Gli editori – sottolinea Marc Mentre su Themediatrend – si trovano di fronte a una difficile equazione economica, perché intanto – ma per quanto tempo ancora? – devono continuare la pubblicazione delle edizioni cartacee, che assicurano ancora una gran parte dei loro redditi.

Insomma, mentre tutto è in movimento, c’ è l’ urgenza di sistemarsi meglio sul web anche per cercare di equilibrare la flessione delle vendite del giornale a stampa.

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FORBES: L’ EXPERIMENTATION EST L’ AVENIR DE L’ INFORMATION
di Marc Mentre
(Themediatrend.com)

(…) Una delle difficoltà principali (della situazione attuale dell’ editoria, ndr) deriva dal fatto che per un editore non è possibile ripartire da zero. Peccato, perché il costo dell’ informazione in senso stretto per un giornale cartaceo è relativamente basso, all’ incirca il 15%, come ha dimostrato lo specialista di economia dei media Harold Vogel [Entertainment industry economics: a guide for financial analysis, Cambridge University Press, 2007, p. 343 — che dovrebbe essere aggiornato e ripubblicato all’ inizio di quest’ anno].

Ma che significa ”sistemarsi meglio sul web” per un sito? Krishna Barat, il creatore di Google News, è un buon osserrvatore dell’ informazione online, visto che sorveglia in permanenza migliaia di siti nel mondo intero. Ora, racconta a James Fallow su The Atlantic, ”un attimo dopo che un avvenimento si verifica, praticamente tutti dicono più o meno la stessa cosa”. Questa supermediatizzazione di alcuni avvenimenti, che scacciano le altre cose, questa ridondanza nel modo in cui essi vengono trattati lo inquieta:

Che significa il fatto che un migliaio di persone (i produttori dell’ informazione) arrivano ad avere la stessa lettura di un avvenimento? Perché quest’ ultimo non può avere cinque letture diverse? E nel frattempo perché non utilizzare questa energia per osservare qualche altro avvenimento, altrettanto importante, ma che viene trascurato?

Una questione che secondo Fallow  non è puramente teorica:

Io credo che l’ industria dell’ informazione si rende conto che non sarà mai in grado di sostenere la produzione di articoli così simili.

Gli editori quindi si trovano di fronte la costrizione del tempo (bisogna fare presto) e una doppia sfida: economica, per fare in modo che il web – nella sua accezione globale – prenda il posto della carta, ed editoriale per proporre un contenuto più diversificato.

Forbes ha sofferto molto per la crisi economica, ma resta una testata leader ed è a questo punto che la mia attenzione è stata attirata dall’ ambizioso rinnovamento realizzata da Lewis Dvorkin e spiegata in un lungo post [questa mutazione è stata seguita anche si #ForbesBiz]

Forbes è una rivista economica nota, dal taglio conservatore (per esempio non esita a comparare Obama a Lenin], che vuole essere ‘’lo strumento del capitalista’’. Il suo sito è in testa alle classifiche dell’ informazione economica negli Stati Uniti. Secondo il sito di ranking Alexa, esso fa parte del drappello di testa in termini di traffico e di volume di ricerca rispetto ai suoi concorrenti diretti, come businessweek.com, economist.com ed è avanti in termini di pagine viste, rivendicando circa 18 milioni di pagine viste/mese.

Questa stato di apparente buona salute non deve nascondere il fatto che questo gruppo editoriale a carattere familiare (diretto da Steve Forbes, uno dei discendenti del fondatore) ha sofferto molto in occasione della crisi economica (la pubblicità è crollata del 30% nel 2009), cosa che l’ ha spinta a licenziare praticamente un giornalista su quattro dell’ organico 2009.

E’ in questo contesto che il gruppo ha deciso di reagire con forza e di riprendere l’ iniziativa puntando soprattutto sull’ innovazione sul suo sito. Ed è  in questa ottica che Forbes ha appena rafforzato il suo stato maggiore, con un nuovo Ceo, Mike Perlis, che assomma esperienza nel settore bancario (Softbank Capital) e in quello della stampa, avendo diretto Ziff Davis Media, un gruppo specializzato nell’ informazione tecnologica e nel gaming, un nuovo direttore del marketing, Jorge Consuegra, ex direttore della sezione esteri di Yahoo!, e, quindi, con Lewis DVorkin.

Quest’ ultimo conosce molto bene la stampa perché ha lavorato al New York Times, a Newsweek, e a Forbes negli anni ’90 prima di assumere l’ incarico prestigioso di redattore capo della prima pagina del Wall Street Journal. E conosce bene anche i media non ‘’tradizionali’’ perché è sbarcaro in AOL (prima versione) prima di sviluppare la propria start up.

True/Slant, da un anno un laboratorio di idee

Una particolarità: Lewis DVorkin non è stato reclutato secondo uno schema classico. Forbes ha acqusito la start up, True/Slant, che lui aveva creato e di cui Forbes era uno degli investitori iniziali.

True/Slant è stata lanciata nell’ aprile del  2009 e chiusa nell’ agosto 2010, dopo l’ acquisizione. Nel corso di quest’ anno di esistenza è stata soprattutto un laboratorio sull’ informazione, in un processo di ‘’distruzione creativa’’, come proprio Lewis DVorkin spiegava nell’ aprile 2010.

Dava qualche chiave:

  1. ingaggiare giornalisti che avevano lavorato per i ‘’vecchi’’ media insieme a quelli dei media digitali;
  2. pochissimi addetti a tempo pieno: True/Slant impiegava 5 persone fisse e 300 blogger;
  3. rifiuto di qualsiasi ‘’controllo editoriale’’, considerato come una ‘’reliquia del passato, che non ha più alcuno spazio nel mondo del web’’.

… e faceva un primo bilancio:

  1. Il fatto di dare fiducia agli autori permette di ottenere un contenuto molto più ricco rispetto al tradizionale sistema editoriale, e tanto peggio se resta qualche errore di stile o tipografico;
  2. gli articoli che avevano più successo erano contenuti originali (reportage, analis, etc.);
  3. il ruolo della comunità è essenziale, che si tratti di collaboratori/blogger o dii lettori; il loro contributo permette di creare un ‘’circolo virtuoso’’ in cui i loro suggerimenti – espliciti o impliciti – permettono di arricchire il sito, aumentarne l’ attività, ecc.

In breve, Lewis DVorkin sembra posseduto da due ossessioni: ‘’più si va veloci e più il valore cresce’’  e ‘’bisogna offrire sempre di più’’.  E, appena nominato alla testa della redazione (il suo incarico ufficiale è “Chief Product Officer”) di Forbes, si è impegnato ad applicare le idee che aveva in mente a True/Slant, ma su tutta un’ altra scala.

Come spiega Zekee Turner sul New York Observer, in un articolo dal titolo molto esplicito, Darth DVorkin Arrives at Forbes, il suo arrivo, il suo progetto e i suoi metodi hanno suscitato (e continuano a farlo) dei timori e, in particolare, sul versante della qualità del contenuto. In effetti, non si trattava di fare un semplice lifting, ma di ricostruire completamente Forbes.

Quello che Lewis DVorkin sostanzialmente mette in pratica si articola in quattro punti:

  1. il contenuto. Si tratta di rovesciarne il modello di produzione. Cosa che passa per un rafforzamento della redazione con l’ assunzione di una dozzina di giornalisti e soprattutto attraverso un reclutamento di 250 ‘’collaboratori’’, che possono essere giornalisti, o universitari e imprenditori, ma, soprattutto,  tutti esperti nel loro campo. L’ importante è che tutti producano, e molto, ‘’fra i 125 e i 150 post quotidiani, fra redattori e collaboratori’’. E’ significativo che non venga chiesto ai giornalisti di tenere un blog, ma che questo venga loro imposto.
  2. la diminuzione del numero di ‘’gradini’’ (layers) che separano i creatori di contenuti dai loro lettori. E’ la parte più delicata perché riguarda la ‘’qualità’’ della produzione. In teoria tutto questo non dovrebbe toccare l’ edizione cartacea del giornale, in cui la ‘’qualità’’, la ‘’rifinitura’’, sono delle nozioni essenziali – spiega. D’ altronde l’ edizione a stampa, osserva, deve restare separata dal digitale, in cui la qualità è una nozione evolutiva. ‘’Attualmente quello che conto è l’ attualità; il fatto di aggiornare (le informazioni) in modo permanente e iterativo; la pertinenza; l’ aggregazione; l’ espressione dei singoli; e il dialogo’’.
  3. l’ arricchimento reciproco. Con questo nuovo sistema, ‘’ Forbes costruisce una forza suddivisa fra i diversi contenuti dei creatori, che sono altrettanti marchi individuali, ma tutti legati gli uni agli altri sotto l’ ombrello Forbes.com’’ . Ma va ancora oltre. Vuole l’ abolizione dei ‘’silos’’ e delle barriere che separano la redazione e il marketing soprattutto, vuole sostituire tutto questo con un ’’continuum’’. Per questo c’ è un programma, AdVoice: gli addetti al marketing utilizzano gli stessi strumenti dei giornalisti e dei collaboratori, con la sola differenza che il contenuto che essi producono è ‘’chiaramente identificato e segnalato’’.
  4. L’ importanza delle reti sociali. Lewis DVorkin dice chiaramente che la strategia adottata punta a creare una piattaforma che metta un giornalismo autorevole, che faccia  autorevolezza, al centro delle reti sociali.

Questa nuova circolazione dell’ informazione, elaborata nel periodo di True/Slant e ormai applicata a Forbes, è stata riassunta da Lewis DVorkin nello schema qui sotto, che è solo apparentemente complesso.

Di fatto DVorkin sovrappone due ‘’continuum’’:

– quello della circolazione dei contenuti/articoli (linee continue),  in cui si può notare che uno stesso contenuto può arrivare a un consumatore/lettore in quattro strade diverse (direttamente, attraverso il processo editoriale classico, attraverso i motori di ricerca o attraverso le reti sociali)

– quello dell’ analisi dei dati (linee tratteggiate in rosso). Il punto di partenza e di arrivo di questa tessitura è negli ‘’analisti’’, che permettono di migliorare i contenuti, la riferibilità, l’ attrattiva del collaboratore, e le ‘’indicazioni’’ editoriali  (“playbooks”, “recommandations”]

In realtà questi due continuum si intrecciano e si ‘’corrispondono’’.

La cosa più affascinante di questa storia è la rapidità della sua realizzazione. Lewis DVorkin è stato nominato nell’ estate scorsa. Si è immediatamente dedicato alla trasformazione del sito, ma affrontandola al contrario di come solitamente si fa. Non ha cambiato prima di tutto l’ home page, ma si è attenuto al suo programma e cioè ricostruire il sito partendo dalle fondamenta, cominciando con l’ ‘’obbligare’’ tutti i collaboratori, che fossero giornalisti o blogger, a  crearsi un ‘’profilo’’ sul sito e poi rinnovando quelli che lui chiama ‘’channels’’, un po’ sul modello che ha costruito – e che ne ha fatto il successo – di The Atlantic.


Un mix di contenuti di informazione e di marketing

Ciascuno di questi ‘’channels’’ , che corrispondono più o meno alle nostre ‘’rubriche’’ – investimenti, tecnologia, ecc. – è una sorte di mini-sito in cui ogni collaboratore deve poter essere chiaramente identificato [da qui l’ importanza della creazione del profilo per ciascuno degli autori) da quelli che DVorkin chiama i ‘’consumers’’ (consumatori), che devono avere la possibilità di seguire questi ‘’canali’’ con facilità, ecc.

Per quanto riguarda i collaboratori, che siano giornalisti della redazione (cronisti come segretari di Redazione/edizione) o collaboratori esterni (giornalisti o esperti), ognuno di loro deve essere  identificato come tale (redazione o esterno), deve alimentare il flusso Twitter del canale o del sito e deve anche promuovere il proprio personal branding, che è uno strumento chiave di riconoscimento sulle reti sociali.

Per i ‘’marketer’’, i loro articoli pubblicati via AdVoice, vengono automaticamente inseriti nel ‘’canale’’ appropriato. Quello che Forbes propone in termini di contenuto è dunque un mix di informazione e di contenuti di marketing, ognuno chiaramente segnalato come tale.

Siamo attualmente nella fase di costruzione di questi canali e solo in seguito, fra qualche mese, maggio o giugno sicuramente, la home page di Forbes verrà modificata.

Difficile dire oggi se questa ricostruzione del sito sarà efficace. Lauren Kirchner,  della Columbia Journalism Review, si interroga in particolare sulla pertinenza di questo modello per un pubblico molto selezionato (per semplificare gli uomini d’ affari) e su una scelta radicalmente opposta a quella adottata dall’ Economist. Ma si interrogherà anche sulle ragioni che potrebbero portare i lettori a ‘’seguire’’, diventandone ‘’amico’’, questo o quel giornalista piuttosto che quell’ altro?

Lewis DVorkin è certamente cosciente di queste difficoltà, ma per lui, è semplice, ‘’il futuro dell’ informazione è nella sperimentazione’’.

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