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Il giornalismo non ci lascerà la pelle, la sta solo cambiando

‘La scimmia che vinse il Pulitzer. Personaggi, avventure e (buone) notizie dal futuro dell’ informazione”, il libro di Nicola Bruno e Raffaele Mastrolonardo uscito da poco per Bruno Mondadori editore, è un appassionante reportage e testimonia come le previsioni sulla fine di giornali e giornalismi siano ”ampiamente infondate” – Otto capitoli dedicati ad altrettanti innovatori che, come Steve Job e Bill Gates negli anni ’70, ”sognano di fare l’ impresa; reinventare le notizie del millennio digitale” e ”rappresentano il primo tassello di un nuovo ecosistema dei media tutto da costruire”

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Distanti dalla cultura apocalittica che periodicamente semina annunci di morte di giornali e giornalismi e nello stesso tempo dalla mistica messianica di un mondo nuovo tutto orizzontale popolato di cyborg felici e connessi, Nicola Bruno e Raffaele Mastrolonardo* hanno ricostruito con ”La scimmia che vinse il Pulitzer’ otto esperienze di innovazione radicale nel campo dell’ informazione descrivendo ”personaggi, avventure e (buone) notizie dal futuro dell’ informazione”.

La chiave è in quella parentesi del sottotitolo. Quel ”buone”, che dà anche il tono generale alla narrazione. Perché ”La scimmia che vinse il Pulitzer” (Bruno Mondadori, 192 pagg,,16 euro) è un grande reportage dal futuro dei media che alla fine ci tira su, dimostrando come le notizie sulla morte del giornalismo siano ”ampiamente esagerate”.

Non si tratta di rassicurazioni generiche, anzi. Ciascuno degli otto capitoli del saggio fornisce anzi massicce dosi di entusiasmo a chi ama il giornalismo e spera che esso possa avere ancora qualche carta da giocare per aiutare a dare un senso a questo mondo in ebollizione.

”La scimmia che vinse il Pulitzer” è un racconto profondo ma leggero, dal ritmo appassionante. E ci sembra pienamente azzeccato il giudizio che ne ha dato Luca Conti: “E’ certamente il libro non fiction che mi son divertito di più a leggere tra i quasi 50 da inizio anno”.

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”Se solo si provava a spostare lo sguardo oltre la retorica dominante – raccontano gli autori nell’ introduzione -, si scopriva che, più che lasciarci la pelle, il nostro mestiere sembrava sul punto di cambiarla. Per diventare cosa non era chiaro a nessuno, tanto meno a noi. Per cui, per capirci di più e per scrollarci di dosso la depressione che si respirava nell’ aria, tra il 2009 e il 2010 abbiamo cominciato un viaggio che ci ha portato a Chicago, New York, Washington, Varsavia, Amsterdam, Bruxelles e altre capitali europee”.

”La scimmia che vinse il Pulitzer” (il riferimento è a un software, Stats Monkey appunto, che trasforma dati numerici in cronache giornalistiche) è il resoconto di questa avventura, ”che si è rivelata più tonificante di quanto avessimo sperato”. Lungo la strada, i due autori (che hanno dedicato questa fatica a Franco Carlini, loro compagno di viaggio e maestro nell’ esperienza di Totem) hanno incontrato ”un gruppo di pionieri pronti a confermare che la battuta di Mark Twain (”La notizia della mia morte è ststa ampiamente esagerata”, aveva detto a proposito di voci sulla sua scomparsa pubblicate da un quotidiano) può essere applicata anche al giornalismo”.

”Che si tratti di disinnescare le bugie della politica attraverso una macchina della verità digitale (quella di PolitiFact, di cui si parla nel proimo capitolo) o di raccontare la vittoria di Obama attraverso nuove forme di storytelling (come fanno i cosiddetti ‘ribelli del New York Times’), le idee degli innovatori che abbiamo intervistato rappresentano il primo tassello di un nuiovo ecosistema dei media tutto da costruire. Un po’ come Steve Job e Bill Gates (che negli anni ’70 preparavano la rivoluzione del personal computer nei loro garage), anche i protagonisti delle storie” di questo libro ”sognano di fare l’ impresa; reinventare le notizie del millennio digitale”.

Storie e personaggi sono divisi in 8 capitoli, ciascuno dedicato a un concetto o a un’ attitudine.

La precisione usata contro i potenti su cui lavora Bill Adair (un reporter in crisi di coscienza che terrorizza Washington con un progetto che smaschera le bugie dei politici e la finta imparzialità dei media / capitolo 1);

La velocità inseguita via Twitter dal ventenne Michael van Poppel (un olandese timido e taciturno e la sua banda di ragazzini battono sul tempo le maggiori agenzie di stampa internazionali / capitolo 2) ;

La partecipazione tramite sms scelta dall’ attivista Ory Okolloh per raccontare storie dimenticate dai media tradizionali (l’ Africa Open Source di una mamma-avvocato che regala al mondo un luogo dove scrivere le storie di cui nessunoi vuole più parlare /capitolo 4).

L’ intelligenza (artificiale) che gli informatici Kristinan Hammond e Larry Birnbaum vogliono regalare ai reporter (è Stats Monkey, appunto La Scimmia che vinse il Pulitzer, un software che scrive notizie di baseball alla velocità della luce e in un inglese impeccabile e che presto potrebbe sbarcare nelle redazioni di mezzo mondo / capitolo 3);

La bellezza dell’ informazione su carta per cui si batte Jacek Utko (architetto col pallino del giornalismo, che coniuga estetica, funzionalità e progettazione per dare nuova vita ai quotidiani / capitolo 7);

La libertà di espressione adattata ai tempi della rete globale promessa da Birgitta Jonsdottir (attivista islandese diventata parlamentare che riesce a trasformare un paese in bancarotta nel paradiso dei giornalisti e del diritto di parola /capitolo 6);

Il cambiamento su cui stanno puntando istituzioni storiche come il New York Times e il Chicago Tribune (Nella terra dei journo-hacker, un gruppo di programmatori con la passione per il giornalismo che rimescolano le informazioni a tempo di jazz /capitolo 8).

Infine c’ è la trasparenza (capitolo 5), col suo – almeno per ora – profeta indiscusso, Julian Assange, fondatore di Wikileaks. Bruno e Mastrolonardo lo hanno incontrato nel giugno del 2010 quando – raccontano – ”la sua creatura era relativamente poco conosciuta e non avedva messo a segno gli scoop più clamorosi”. Gli autori hanno deciso di fermare il tempo e di lasciare il capitolo a lui dedicato così come era stato concepito inixialmente (la cronaca di una giornata trascorsa in sua compagnia), invece che aggiornarlo con le molte e clamorose vicende successive”.

”In fondo – ammettono – che uno dei protagonisti delle nostre storie sia diventato in poco tempo un divo globale non ci dispiace affatto. Ci ha confermato semmai che le notizie sulla morte del giornalismo sono ampiamente esagerate”.

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*Nicola Bruno
E’ cofondatore di effecinque, agenzia giornalistica specializzata in formati innovativi per l’informazione online. E’ stato Journalist Fellow presso il Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford.

Raffaele Mastrolonardo
Da dieci anni si occupa di tecnologia e web per riviste e quotidiani online e di carta. Tra questi, il manifesto, il Corriere della sera, Sky.it. E’ cofondatore di effecinque.

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